Goffredo Buccini, Corriere della Sera 26/02/2010, 26 febbraio 2010
PENNARELLI UGUALI E SCHEDE MANCANTI. E C’E’ CHI PAGA 100 DOLLARI A SACCO
Le schede vanno via come il pan’i granu calabrese: a sacchi, dicono. «Un sacco, cento dollari al postino, questa era la vulgata in Sudamerica». Per «firmarle» basta passarsi il pennarello, come a scuola: «A Toronto nel 2006 ne usarono uno arancione decine di volte». E naturalmente c’è sempre qualcuno che mette i piedi nel piatto, come quel candidato idiota che sbraitava perché aveva «pagato per duecento voti» e se ne trovava «cento in meno»: «Gridava alla truffa, pensi lei».
Qualche politico più giovane, che ha fatto da balia asciutta ai due turni elettorali (2006 e 2008) nelle circoscrizioni estere, sotto pegno di anonimato la racconta così, la galleria degli orrori, con un ghigno amaro. Il vecchio Mirko Tremaglia, che della riforma è stato il padre nobile, invece è furibondo: «No, meglio: scriva incavolato come una bestia». Con chi, scusi? «Coi miei, con il Pdl». Si capisce. Trovarsi tra le scatole Nicola Di Girolamo, proclamato senatore dagli italiani d’Europa e «schiavo» da una bella grinta come Gennaro Mokbel nelle intercettazioni di un’inchiesta antiriciclaggio da due miliardi di euro, beh, è dura da mandar giù. «Quello, senatore non doveva proprio esserlo! La giunta l’aveva cancellato. Ma i furbi del Pdl hanno sospeso la procedura in aula, ed eccoci qua». Certo qualcosina, nel meccanismo, forse non funziona a prescindere. L’antico ragazzo di Salò freme di sdegno: «Sì, a prescindere! Come quando il console di Filadelfia mi scrisse: le comunico che 300 italiani non voteranno perché l’agenzia che avevo incaricato s’è dimenticata di notificare le schede». Partirono denunce. «Ma il problema – dice Tremaglia – più che la legge sono le persone».
E dire che, in barba ai soliti disfattisti antitaliani sempre pronti a sminuire il peso della patria nel mondo, a Palazzo Madama, dentro la pattuglia dei senatori eletti oltreconfine, forse c’è perfino il prossimo presidente dell’Argentina. Ma sì, Esteban Juan Caselli, fondatore del «Pueblo de la libertad» in quel di Buenos Aires e raccomandato ai selezionatori berlusconiani direttamente da un cardinale (era ambasciatore di Menem presso la Santa Sede) ha deciso di sloggiare la presidenta Kirchner. Certo, con tutti gli impegni da futuro capo di Stato, Caselli, detto Cacho, dalle nostre parti si fa vedere pochino, con buona pace dei contribuenti che gli pagano lo stipendio da parlamentare e dei 48 mila che gli hanno dato la preferenza il 14 aprile 2008: ha un modesto 38,3 per cento di presenze al voto d’aula e solo due interventi in Commissione (entrambi lo stesso pomeriggio). Ma alla tv argentina, cui dedica molte energie, ha spiegato che, dovesse entrare trionfatore alla Casa Rosada, chiederebbe «un congedo» al nostro presidente Schifani, bontà sua. « sempre laggiù a fare campagna elettorale, mai a Roma», mugugna Fabio Porta, Pd, stessa circoscrizione. «Beh, è convinto di essere il proprietario del partito in Sudamerica», sbuffa dopo mille tentennamenti il suo collega Aldo Di Biagio, che coordina per il Pdl gli italiani nel mondo. Lui, Cacho, tace sprezzante coi media nostrani: «Niente da dichiarare», fa sapere.
Un filo (politico) sottile lo unisce a Di Girolamo (e lega entrambi a Basilio Giordano e Amato Berardi, eletti nel collegio dell’America centrosettentrionale): il filo ha la stazza falstaffiana di Sergio De Gregorio, senatore un tempo dipietrista e ora berlusconiano, ex giornalista noto per aver scovato Masino Buscetta su una nave da crociera. De Gregorio accoglie tutti come una mamma dentro la sua fondazione Italiani nel Mondo («promuoviamo il made in Italy», assicura) ma è tostissimo: «Mi dicessero che Di Girolamo ha pranzato con Belzebù in Calabria, vorrei le prove!». Girano le foto, in effetti, non di Belzebù ma di un capobastone. De Gregorio è un garantista convinto. Un ringhio contro le procure che stavano inguaiando anche lui («e hanno dovuto chiedermi scusa!»), poi: «Guardi, le elezioni all’estero non fanno una grinza. Certo, può esserci qualche criticità, ma chi lo può dire?». In verità lo dicono in tanti.
C’era una volta il Senador Luigi Pallaro, quel delizioso ottantenne dalla faccia di tolla che proclamava «tratto solo con chi vince» e tenne appeso Romano Prodi e la sua (breve) legislatura alle bizze delle proprie mucche, laggiù nella pampa. Oggi fa quasi tenerezza. I suoi epigoni, i 12 deputati e 6 senatori eletti nel 2008 nelle quattro circoscrizioni-monstre volute da Tremaglia (Europa, Sudamerica, Nordamerica-America centrale e un’insalata di Africa-Asia-Oceania e Antartide) sono accompagnati da tutt’altra colonna sonora. Che il meccanismo elettorale sia criminogeno pare ormai la scoperta dell’acqua calda. Claudio Micheloni, Pd, eletto in Svizzera, non ci gira attorno: «Col voto per corrispondenza così com’è, senza elementi di accertamento dell’identità, possiamo avere il 90 per cento di brogli della malavita, i boss possono controllare facilmente venti, trentamila schede». Insomma, dal folclore di Pallaro alle intercettazioni pulp di Mokbel e Di Girolamo, i tempi cambiano sempre in peggio. Gino Bucchino, Pd, medico fiorentino di Toronto con un pezzo di collegio in Honduras, la racconta così: «Mettiamo che arrivino dal consolato cinque plichi con cinque schede in una famiglia di cinque persone. Il capofamiglia dice agli altri quattro: date tutto a me, ci penso io. Se poi è legato a sua volta a un’altra "famiglia" diciamo più ... allargata, ecco che il sistema si moltiplica alla enne». Le dimensioni dei collegi non aiutano di sicuro: c’è stato mai in Honduras, lei? «Mai, sarò sincero. Ma esistono le mail!».
Va così. Il filo, in questa storia tricolore in giro per il mondo, è sempre teso tra l’inquietante e il grottesco. Marco Fedi, pd da Melbourne, Australia, dice polemico: «Sì, ci vogliono controlli, magari per evitare che uno di noi si candidi alla presidenza di un altro Paese». Beh, potrebbe essere perfino riduttivo per chi, come lei, ha un collegio che va dall’Africa all’Antartide, no? «Lo ammetto, certe dimensioni sono assurde». Quanti voti ha preso, in Antartide? «Okay, le concedo la battuta. Ma tenga presente che in Antartide la prima volta c’erano i ricercatori di una base italiana...». Scontri politici memorabili, dunque. Come quello in Mongolia, sempre nel 2006. Due votanti a Ulan Bator. Finì uno a uno, ovvio: mancavano i centristi.
Goffredo Buccini