Gabriele Romagnoli, Vanity Fair, 3/3/2010, 3 marzo 2010
PER NON MORIRE DA POLLO
Che cosa hai mangiato a pranzo?
Una zuppa.
La domanda sarebbe assurda se non aprisse un’intervista con Jonathan Safran Foer alla vigilia della pubblicazione in Italia di Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, il suo libro più controverso. Ci incontriamo in un ufficio della New York University a un angolo della Quinta strada. Arriva in anticipo, con l’aria di uno che resterà per sempre giovane e non si prende troppo sul serio («Se lavoro qui? Questo è uno dei tanti posti dove non lavoro»). Dopo due romanzi di successo (Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino), scritti quando la sua età cominciava per due, varcata la soglia del tre ha sterzato, è diventato padre di due bambini, padrone di un cane e saggista. Ha scritto un libro documentato, che poggia su un lavoro giornalistico e lascia al lettore la conclusione: vuoi continuare a mangiare animali? un tuo diritto e un tuo problema. Perché l’approccio di Safran Foer si trasforma dopo poche pagine: da morale a pratico. Non è tanto che sia ingiusto uccidere e divorare un pollo, è che quel pollo, allevato industrialmente, uccide te che lo divori.
E, dunque, zuppa?
Sì, per anni ho vagato tradendo i propositi vegetariani, ora non posso più. Ho visto troppo e troppi guardano me. Se mi vendono mangiare un hamburger mi mettono su YouTube e mi rovinano. E comunque non ho più la tentazione.
Scrivere un saggio dopo due romanzi credo sia una decisione intelligente, ma è stata facile?
Assolutamente. E assolutamente soddisfacente.
Problemi?
Due. Il primo è stato confrontarsi con un’industria, quella alimentare, molto tosta. Il secondo è che scrivendo saggi non sei libero come scrivendo romanzi. In letteratura sei nel solo posto dove puoi seguire l’impulso, dove anzi l’impulso viene fuori e ti guida. Qui è stata tutta un’altra storia.
L’industria alimentare, dicevi. Che rapporto hai avuto, prima, durante e dopo il libro?
Prima: nessuno. Durante: nessuno. Dopo: nessuno. E non per mia scelta. Sono loro che non hanno voluto. Ho fatto richiesta di visitare impianti: nessuna risposta. Ho scritto lettere al vuoto. Sono dovuto entrare clandestinamente. E, a libro pubblicato, nessuna reazione. Dei loro prodotti ci danno come strumenti di conoscenza le etichette e gli spot, che mentono. Per il resto, un muro. Ai reading del libro invito sempre qualcuno, se lo desidera, a parlare in difesa dell’industria alimentare. Non lo faccio per far ridere, vorrei davvero che qualcuno lo facesse: niente.
Vorrà dire qualcosa. Che cosa?
Che la gente non sa neppure che cosa siano gli allevamenti industriali. Crede di vivere in un mondo di fattorie, di mangiare carne di una mucca felice. Invece vive su un pianeta in cui i polli stanno nello spazio di una pagina del mio libro, i maiali sono pieni di malattie, nella carne ci sono batteri, escrementi e anche peggio. E vuol dire che l’industria alimentare ha tutto l’interesse a non reagire, non aprire un dibattito. Se pensasse di avere ragione, perché tacerebbe?
Ma qualcuno avrà pur parlato, dopo il tuo libro…
I contadini veri, quelli, sono stati entusiasti. I più arrabbiati invece sono stati quelli del movimento per i diritti degli animali.
E perché mai?
Perché secondo loro dovevo andare oltre. Scrivere che non bisogna assolutamente mangiare carne. Ma io non sono un integralista. Io vi racconto i fatti. In America ogni anno ci sono 76 milioni di disturbi causati dall’alimentazione. un fatto. Volete essere uno di quei casi? Fate pure. Non voglio stabilire se sia giusto o sbagliato mangiare animali, solo affermare che è sbagliato il modo in cui lo facciamo.
Esiste un’alternativa? Esiste la fattoria perfetta, che alleva animali sani e li consegna a una morte decente?
In teoria sì. Nella pratica non esisterà mai.
Perché la gente non ha coscienza del problema? Perché al supermercato vede una fettina incellofanata e le sembra pulita e sicura?
Sì, esatto. Se prendessi cento italiani e li portassi a vedere quel che ho visto cambierebbero idea. La gente non pensa a questo. l’ultimo dei suoi problemi e dovrebbe essere il primo. Non lo fa perché è condizionata dall’industria alimentare.
Che è una lobby potente. Ma loro sostengono che esiste una altrettanto potente lobby contro la carne.
Mi hanno mandato email su questa presunta lobby anticarnivora che disporrebbe di larghe sovvenzioni. Una bufala, non esiste.
Quel che non esiste è un politico che abbia questo tema in agenda. Troppo impopolare?
Le cose stanno incominciando a cambiare. L’allevamento industriale è la prima causa di riscaldamento globale. Chi si batte contro questo deve battersi contro quell’altro. Al Gore ha cominciato, per dirne uno.
Dagli qualche argomento da sostenere.
Ci stanno riducendo a cavie. Lo sapevi che una donna che beve tanto latte industriale ha tre volte più probabilità di partorire gemelli? Che cosa c’è in quel latte? Che cosa c’è nella mucca da cui proviene? Che cosa ci fanno ingurgitare senza che lo sappiamo? Se la gente sapesse non diventerebbe per questo vegetariana, ma mangerebbe in modo più responsabile, taglierebbe il superfluo. E sai che cosa succederebbe? Un miracolo. Basterebbe che gli americani togliessero dalla loro dieta la carne una volta a settimana e sarebbe come aver fatto sparire di colpo cinque milioni di auto.
Vorrei ricordartelo: vivi nel Paese dove è appena stato eletto al Senato un tipo che si presentava così: «Sono Brown, guido un furgone. E, immagino, la frase seguente sarebbe: mangio bistecca. Come la mettiamo?
Brown fa parte dell’epidemia di ignoranza. Noi possiamo scegliere di stare avanti alla curva della storia o farci superare. Una cosa non possiamo più tollerare: i negazionisti. Quelli per cui non c’è stato l’Olocausto, non esiste il riscaldamento globale e mangiare carne fa benissimo. Non è vero. Punto.
Tu sei stato un fan di Obama. Lo sei ancora. Bene, perché non fa qualcosa? Non dovrebbe essere anche questo un pilastro del cambiamento?
Il governo non va contro l’industria alimentare, non ce la fa.
Continuo a dubitare che il cambiamento possa avvenire se non è imposto dall’alto.
Potrà succedere che qualche singolo Stato approvi una legge, ma a livello federale dubito. E la trasgressione è messa in conto dall’industria. Lo scrivo: c’è un’azienda che ha fatto 27mila trasgressioni, pagato le relative sanzioni e ancora le è convenuto. Il suo presidente guadagna la stessa cifra in stock option.
Adesso devo fare l’avvocato del diavolo: con tutto quel che soffrono gli umani dovevi andare a preoccuparti degli animali? Non c’era Guantanamo, volendo, o il Congo?
Due obiezioni. La prima: questa cosa è determinante per le sofferenze degli umani. Il cibo che deriva dall’allevamento industriale è la prima causa di malattie e di degrado ambientale. La seconda: non è che occupandosi dei suini poi non penso più al Congo. Anzi, ho allenato la sensibilità. Sono diventato un essere più attento, cosciente, responsabile. Di libri sull’Olocausto ce ne sono a frotte, su questo tema gli scaffali erano quasi vuoti. Volevo rompere il silenzio. In America Eating Animals (in italiano: Se niente importa. Perché mangiamo animali?, ndr) è stato un best seller, ha avuto recensioni migliori dei precedenti romanzi. Poi vedremo tra un paio d’anni se avrà avuto effetto sulle coscienze.
Tu usi spesso il verbo vedere. Dici che hai visto cose che noi umani… Ma un libro non fa vedere. Sei consapevole che per aver effetto sulle coscienze avrebbe funzionato meglio un film alla Michael Moore, che la letteratura a volte è un limite?
Quel limite è anche una forza. Le parole evocano, ogni lettore si crea la propria immagine e la porta con sé. Dura più di quella del film. Avrei potuto inserire fotografie ma non ho voluto. Non volevo disgustare, non volevo offrire delle conclusioni, ma soltanto aprire un dibattito.
Pensi davvero che accadrà, che la gente sia interessata?
Sì. Io ho fiducia nella gente. Diciamo almeno nel quindici per cento della gente. Fiducia assoluta in quella con cui vivo. Ma per cambiare le cose non occorre il quindici per cento, basta molto meno. Bastano pochi illuminati e carismatici nelle posizioni chiave.
Tu hai pensato, pensi ancora, che Obama sia uno di quelli. Ma tutti chiedono: dov’è il cambiamento?
Sta avvenendo. al potere da un anno, lasciamolo lavorare. inesorabile, ha i suoi tempi, una delle doti è saper aspettare e resistere. Diamogli tempo.
Non si dà più tempo a nessuno. I media sono frenetici, Obama era la notizia, ora la notizia è il Tea Party, non importa se una cosa è rilevante, basta sia nuova. Come spieghi questo delirio?
Colpa di Internet. Tutto accade in diretta. Clicchi e c’è il futuro. Riclicchi ed è già passato. C’è un vuoto da riempire ogni secondo, non importa come.
Come riempirai il prossimo vuoto nello stomaco?
Vado a prendere un tè sulla Sesta. C’è un buon bar, un altro posto dove non lavoro.