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 2010  febbraio 26 Venerdì calendario

L´UOMO DEL BOSS E LE SCHEDE PRE-VOTATE COS IN GERMANIA NICOLA DIVENT SENATORE - MILANO

Il manuale della caccia al voto per il Parlamento italiano, da questa settimana, ha il suo nuovo testo di riferimento: le intercettazioni del caso Nicola Di Girolamo. Una trentina di pagine dell´ordinanza dell´inchiesta Phuncard, dove gli inquirenti hanno raccolto passo passo l´appassionante lavoro della macchina elettorale messa in piedi dal candidato Pdl e dalla ”ndrangheta calabrese per conquistare una poltrona in Parlamento, rastrellando voti tra gli italiani emigrati in Germania nell´aprile 2008. In campo un´organizzazione sui generis. Un po´ brancaleonesca, con un senso dell´orientamento approssimativo («siamo andati a Nord, poi stamo a tornà a sud, poi andiamo a ovest, quindi a est», spiegano al telefono). Ma efficace: «Un plebiscito! – festeggia alle 18.27 del 16 aprile 2008 a urne aperte il neo senatore al telefono con il boss Franco Pugliese ”. 24.500 voti. Un´operazione strepitosa». Costruita, come raccontano le carte della magistratura, su un´impressionante marea di brogli.
La caccia al voto della premiata ditta Di Girolamo-Pugliese è partita un po´ alla buona da Esslingen, 15 km. da Stoccarda solo un paio di settimane prima delle elezioni. In campo due uomini. Roberto Macori (collaboratore di Gennaro Mockbel) nel ruolo di autista un po´ schizzinoso e il vero "cacciatore": Giovanni Gabriele, uomo di fiducia del clan di Capo Rizzuto, o meglio – come racconta al telefono Macori a Di Girolamo – «il capo della direzione germanica». Sede operativa: la sede di un Inter Club presso la città tedesca.
Il piano è semplice. Partenza la mattina («facciamo 4-500 km al giorno, si lamenta Macori) per battere palmo a palmo i quartieri italiani dove Gabriele – preceduto dalle raccomandazioni della ”ndrangheta – raccoglie e compila le schede elettorali con il nome di Di Girolamo. La politica, si sa, è una cosa sporca. Ma così sporca, evidentemente, non se l´aspettava nemmeno Macori: «Siamo entrati nel quartiere turco – racconta il 3 aprile all´aspirante senatore ”. Non sai che vuol dire. Una casa di schifo di disperati italiani, il cane che abbaiava, la ragazzina che cacava». Lui, lo intercettano gli inquirenti, non vuol «metter piede dentro». Gabriele non si formalizza. Sfodera «la sua verve calabrese» – come dice ammirato il compagno d´avventura – e tra cani e bambini si porta a casa 20 voti.
La verve dell´uomo di Pugliese, evidentemente, è assai convincente. Soprattutto se oliata dai soldi garantiti dalla macchina elettorale di Di Girolamo & C. («mandami ancora due sacchi», chiede Macori al telefono a Mockbel). «Stanno scendendo voti da Stoccarda e da Francoforte», li intercettano gli inquirenti. «Ho scritto io 40 schede», dice Gabriele, rimproverato dal compagno che gli raccomanda più prudenza al telefono («Devi parlare con gli elettori, non scrivere»).
La caccia al voto, tra l´altro, non è in atto solo a Stoccarda. Il risiko è europeo. «Tu ti sei fatto la Germania – dice Mockbel a Macori il 10 aprile ”. Uno ce sta a fa la Francia, quello ”ndo stanno oggi si so´ fatti i paesi Bassi». Piovono promesse. E non solo. «Il sondaggio di Marcianise dice 200», dice un più criptico Gabriele. «Sei un mito Giovà, fotografa, fotografa». Tanto per avere le prove. I due calcolano di aver messo insieme mille voti. «Ieri notte abbiamo fatto l´ultimo sforzo al consolato», racconta Macori a Di Girolamo alla vigilia del voto. «State facendo un capolavoro», si complimenta lui.
I conti alla fine tornano. La macchina da voti ha funzionato: «Amico senatore», si complimenta il boss pugliese con Di girolamo il 16 aprile. «Mi hai detto che avrei toccato i frutti con mano – risponde lui – e direi che li abbiamo toccati. Abbiamo davanti un grande futuro». I due acchiappa-voti sul campo lo sanno: ««´Amo gettato le basi – commenta soddisfatto del suo lavoro Macori – cementato proprio, ce potemo costruire il Colosseo qui».
Si vedrà alle prossime elezioni. Di certo Silvio Berlusconi ci aveva visto giusto. E in anticipo. Nel 2006, sconfitto per un pugno di voti da Romano Prodi, aveva lamentato possibili brogli sulla conta delle preferenze degli italiani all´estero. «Non pagano le tasse – aveva detto – dubito possano votare». Forse, viste le carte del caso Di Girolamo, la questione non è solo fiscale.