Massimiliano Lenzi, il Giornale 25/2/2010, pagina 36, 25 febbraio 2010
CAVOUR, FARFALLONE FEDELE SOLO ALLA PATRIA
Camillo Benso conte di Cavour, infedele alle donne e fedele all’Italia L’aveva capito il babbo, quando scriveva al figlio trentenne indaffarato a inseguire i suoi amori senza risparmio: « Tu hai una forza di volontà politica, cerca di avere una forza morale e noi ne saremo tutti molto contenti. Guarda il tuo amico Roberto: sposa una donna che gli porta 600 mila franchi di dote. Roberto è alto almeno sei pollici più di te, gioca il whist come te, ma è meno amabile, meno gaio di te in società. Il tuo umore, è vero, è molto instabile ma tu puoi rendertene padrone e fare in modo che noi non siamo vittime della gelosia contro un marito o di un appuntamento mancato...». Siamo nel 1840, e la lettera porta la data del 18 ottobre. Otto anni dopo, Cavour risponderà indirettamente al richiamo paterno dichiarando il suo eterno amore ad una sola femmina, la bandiera tricolore: «Mia sposa sarà la bandiera». A sfogliare le sue avventure, le sue storie, quel nomignolo di «playboy in redingote» che nel libro I mille e una notte gli affibbia Giuseppe Nervini (coautore del volume, insieme a Gian Carlo Fusco e altri), un dettaglio salta agli occhi. Erano, quegli anni, «altri tempi, un’altra concezione della vita e della morte» dove «l’effervescenza patriottica» si giocava pure su un «ben vivace e giocondo equivalente erotico». Per questo, senza bisogno di stilare un catalogo Leporello e mozartiano sugli amori del Conte, è illuminante proseguire la lettura di quell’epistola del babbo. «Tu mi parli della tua idea di accasarti senza essere a carico, niente ti sarebbe più facile che sposarti ma con le tue idee di grandezza tu e tua moglie non avreste di che comperarvi dei guanti. Ti ci vorrebbero 50 mila lire di rendita almeno per vivere passabilmente a Torino. Da quando ho acquistato questa convinzione ho rinunciato al pensiero di vederti sposato finché vivo». Il presunto matrimonio, in quel 1840, non si farà. L’Italia, invece, sì. Perché si può essere statisti e grandi amatori e – magari – restare nella storia. Di avventure amorose, Cavour, ne avrà a bizzeffe: Emilia, Clementina, Costanza, Milania, Mélanie. Di quest’ultima, la Waldor, scrittrice di romanzi d’amore, parlerà pure alla cara zia Vittoria con cui spesso si confidava. E la zia - chissà, forse per un’abitudine di famiglia ”gli invierà, anche lei, una lettera: «Ho letto parecchie opere di questa malinconica donna. Sono scritte bene ma risultano piuttosto insipide. Se ti avesse conosciuto prima, sarebbero state più piccanti e ci avremmo guadagnato tutti». Il tono epistolare, benché le signore di cui si parla non siano le stesse, è ben diverso da quello paterno. Perché Camillo con le donne, siano amanti o parenti, s’intende. Seduttore e patriota, politico e diplomatico. Una vera calamita per l’eterno femminino. Un talento che si porterà dietro sino all’ultimo dei suoi giorni, tanto che sulla sua morte si costruirà una leggenda «gialla», legata – indovinate un po’ a chi? Ma a una donna! Lei è Bianca Ronzani, l’amante fissa degli ultimi cinque anni di vita del Conte e all’anagrafe di diciotto più giovane di lui. Una donna a cui lo storico Francesco Ruffini chiederà addirittura di fare un processo. « alla sciagurata passione sensuale di Cavour per quella donna, passata, dicono, dai favori del sovrano agli amori col Primo ministro, che si deve imputare se l’immenso dolore degli italiani per la morte immatura del Conte fu ottenebrato dall’incubo che la sua non fosse una morte naturale». Di sicuro, nel 1861 la morte di Cavour segnerà la fine di un uomo che aveva molto amato le donne, restando sempre un infedele. A Mélanie Waldor, annunciandole l’addio, anni prima aveva scritto: «No, signora, non posso lasciare la mia famiglia e il mio paese. [...] Felice o infelice la patria avrà tutta la mia vita, non le sarò mai infedele anche se fossi sicuro di trovare altrove dei destini brillanti».
(3. Continua)
Massimiliano Lenzi