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 2010  febbraio 25 Giovedì calendario

LONDRA, ITALIA, PANAMA, COS FUNZIONAVA IL «TRIANGOLO DELLE CHAT»

«Maurizio, Giovanni, dateci una mano anche voi. Questa storia della qualità non è più tollerabile. Del resto è impensabile contingentare i traffici verso i destini dove facciamo i margini, visto che ci mancano oltre 10 milioni di euro di ricavi netti da fare da qui alla fine dell’anno». il due agosto del 2005. Poco prima della pausa pranzo. Roma è invasa dai turisti, ma il responsabile Wholesale di Telecom Italia Sparkle ha altro per la testa: rispettare i budget entro la fine dell’anno.Spedisce quindi a numerosi colleghi una e-mail per spronarli a lavorare di più. Per convincerli a puntare sui risultati: servono 10 milioni di euro di ricavi per rispettare le tabelle di marcia.
Sarà un caso, ma nel secondo semestre del 2005 Telecom Italia Sparkle ha realizzato con il suo maggiore cliente, la società inglese Acumen Ltd, proprio 10 milioni di euro di fatturato nel settore del traffico telefonico internazionale. Nel 2005 nessuno fece caso alla coincidenza. Ma a cinque anni di distanza la Procura di Roma ha svelato che proprio la società inglese Acumen era al centro di una delle «frodi più colossali d’Italia». Ha ipotizzato – per ora si tratta solo di accuse investigative tutte da dimostrare – che il rapporto di Telecom Sparkle con Acumen fosse volto esclusivamente «al raggiungimento di obiettivi operativi altrimenti impossibili per la società». Ha rivelato una girandola di bonifici e di false fatturazioni che hanno coinvolto – con quali responsabilitàè tutto da stabilire – anche Telecom Italia Sparkle e Fastweb. Ha alzato il velo su una frode che ha sottratto alle casse dello Stato italiano 365 milioni di euro. Che ha permesso di realizzare utili a Fastweb e Telecom Sparkle ma, soprattutto, che ha arricchito un’organizzazione criminale. L’hanno chiamata frode Carosello. Per capirla bisogna fare il giro del mondo insieme ai soldi. «Il Sole 24 Ore» l’ha fatto.
Il carosello delle fatture
Iniziamo il viaggio da Londra. il 13 aprile del 2005. Nella capitale inglese ha sede la società Acumen Ltd, che – in quella data – effettua un bonifico a favore di Telecom Italia Sparkle per circa 2 milioni di euro. Il pagamento è giustificato dall’acquisto di traffico telefonico (si tratta presumibilmente anche di chat erotiche o di altro contenuto), ma già allora agli stessi dipendenti della società italiana la qualità di quel traffico sembrava scarsa. Sta di fatto che 2 milioni di euro entrano in Italia. E non sono 2 milioni qualunque: si tratta, secondo gli investigatori, di denaro appartenente all’organizzazione criminale. Nel viaggio verso l’Italia, giustificato da fatture, i soldi quindi si ripuliscono. Ed entrano nelle casse di Telecom Sparkle. Ma ci restano poco: dopo aver trattenuto una percentuale di quei denari, si dice intorno al 5%, Telecom Sparkle li bonifica – aggiungendoci l’Iva – ad una società di comodo italiana denominata I-Globe. Una scatola vuota, sostengono gli investigatori. I due milioni con l’Iva diventano quindi 2 milioni e 280mila euro. Se l’operazione fosse regolare, I-Globe dovrebbe pagare i 280mila euro di Iva allo Stato. Invece rispedisce i soldi a Londra. Alla stessa Acumen, da cui è iniziato il viaggio. Il tutto – sostengono gli inquirenti – giustificato da fatture false.
A Londra il giorno dopo (siamo arrivati al 29 aprile) il Carosello ricomincia. Acumen – secondo la ricostruzione degli inquirenti – rispedisce gli stessi denari, maggiorati dell’Iva non pagata, a Telecom Italia Sparkle. La quale fa lo stesso: trattiene il 5% circa e, aggiungendo nuova Iva, bonifica i denari (diventati 2 milioni e 645mila euro) sempre a I-Globe. Nello stesso momento un’altra società inglese, Diadem, inoltra a Fastweb un bonifico – giustificato sempre da fatture a fronte di traffico telefonico – da 747mila euro. E Fastweb che fa? Trattiene la sua percentuale. Il resto, più Iva, lo bonifica alla solita I-Globe. La quale mette insieme i soldi di Telecom Sparkle e quelli di Fastweb e – ovviamente senza pagare l’Iva allo Stato – rispedisce tutto alla londinese Acumen. Nuovo giro e nuovo regalo. Il giochetto mette insieme i denari transitati da Fastweb e da Telecom, li mischia, li fa ripassare più volte dall’Italia. Così il bottino lievita ogni volta di un importo pari all’Iva non pagata allo Stato italiano. E, particolare non secondario, permette di ripulire i denari dell’organizzazione.
Le tasse italiane? Vanno a Panama
I giri continuano, anche con altre società. Erano iniziati nel 2003 e continuano fino al 2007. Ad ogni tour Italia-estero il bottino si arricchisce di nuova Iva che, non pagata allo Stato,resta in mano all’organizzazione. Alla fine la frode fiscale costa allo Stato 365 milioni di euro. L’ultimo viaggio del Carosello ha come destinazione Panama, dove si trova la società Broker Management S. a. Si tratta di una società fondata all’inizio del Carosello, nel 2003 da due avvocati locali. Ma il referente è Augusto Murri, titolare di passaporto italiano e in realtà residente a Roma, che gli inquirenti identificano «all’interno del sodalizio». Non è un caso che nel 2007 fosse in barca, al largo delle coste del Venezuela, con il presunto numero uno dell’organizzazione Gennaro Mokbel. E infatti alla sua Broker Management arrivano molti soldi del Carosello. Ma non si fermano qui: la società Panamense li rimette in circolo. Alcuni li bonifica a varie società di tutto il mondo, per permettere al sodalizio di utilizzarli in vario modo. Altri vengono riportati in Italia attraverso gli intramontabili spalloni. Altri vengono spediti nuovamente alle società inglesi da cui il Carosello era iniziato. Per un nuovo giro. E poi per altri ancora. Ecco dov’è finita l’Iva non pagata allo Stato Italiano. In giro per il mondo. Anche in case, diamanti, macchine.
Dopo un po’,però,bisogna sostituire i protagonisti. Così le società di comodo italiane, ma anche quelle estere, in poco tempo spariscono o cambiano sede. I-Globe a quei tempi aveva la sede a Roma, in via Domenico Azuni, e faceva capo a un certo Riccardo Scoponi. Ora si è trasferita a Mosca e al posto di Scoponi c’è un russo che la gestisce, tale Mikhail Nikitin classe 1977. Anche l’inglese Acumen oggi non è più in Inghilterra: la sede si è infatti trasferita in Finlandia, ad Helsinki. Per lo Stato italiano, quindi, recuperare l’Iva diventa quasi impossibile. La frode si completa.
Profitti, profitti, profitti
Bene inteso: non è affatto chiaro quanto questo giro di denaro fosse noto alle due società italiane, Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Sarà l’iter giudiziario a chiarirlo. Gli inquirenti sono convinti che il management delle due società fosse consapevole del fatto che qualcosa non fosse normale, anche perché le compravendite di traffico telefonico registravano – scrive il Gip – un’«assenza di clienti finali». L’audit di Telecom – quando l’inchiesta era già iniziata, nel 2007 – aveva capito che il traffico telefonico venduto alle varie società inglesi e italiane aveva qualcosa di strano. Le telefonate dei presunti clienti erano sempre uguali, con sempre la stessa durata. Erano costanti, come se la notte e il giorno non esistessero. Insomma: avevano tutta la sembianza di una messinscena, creata solo per giustificare il vortice di fatture. L’audit interno aveva evidenziato queste anomalie, di cui nei corridoi di Sparkle si parlava da tempo. Già nel febbraio 2005 un dipendente chiedeva, in una e-mail, «C’è qualcosa di strano oppure mi sfugge qualche particolare, vista anche l’ora tarda?». Qualcosa di strano c’era. Ma quelle compravendite generavano utili: questo interessava più di tutto.
Infatti i profitti sono arrivati copiosi. Nel solo 2005 Telecom Italia Sparkle ha realizzato 275 milioni di ricavi dalla compravendita di traffico telefonico, realizzando 12 milioni di utili. Le cifre salgono nel 2006 e nel 2007, per un totale – scrivono gli inquirenti – di 72 milioni di profitti. «Come vedrai – scrive nel novembre 2005 Arturo Danesi di Sparkle in un’e-mail ”Acumen ci ha consentito di recuperare lo shortfall sul terzo forecast ». Poco importa se già il primo febbraio 2006 alcuni dipendenti notavano, in altre e-mail, la «dipendenza dal cliente Acumen ». Poco importa se la scatola inglese fosse già a quel tempo il principale cliente di Sparkle, superando anche la capogruppo Telecom Italia. Poco importa: gli affari andavano avanti. Cinque anni dopo si è scoperto – forse l’hanno scoperto ora anche i vertici di Telecom Sparkle e Fastweb – cosa c’era dietro. Tocca alla magistratura individuare, in questo polverone di fatturazioni che rischia di fare di tutt’un’erba un fascio, le responsabilità.