varie, 25 febbraio 2010
Disastro del Lambro: Repubblica, Corriere, Stampa, Avvenire, Messaggero, Libero, Il Giorno Gabriele Cereda e Franco Vanni, la Repubblica 25/02/10 Lambro, è emergenza l’onda nera avanza e si riversa nel Po L’onda nera avanza verso l’Adriatico
Disastro del Lambro: Repubblica, Corriere, Stampa, Avvenire, Messaggero, Libero, Il Giorno Gabriele Cereda e Franco Vanni, la Repubblica 25/02/10 Lambro, è emergenza l’onda nera avanza e si riversa nel Po L’onda nera avanza verso l’Adriatico. I 2500 metri cubi di carburante portati dal Lambro hanno raggiunto il Po in piena, e fra cinque giorni potrebbero arrivare alla foce. Dopo che la massa di veleni ha travolto le barriere approntate dalla protezione civile lombarda, ora si pensa a soluzioni più incisive e coordinate, per evitare l’aggravarsi del disastro ambientale. Enel ha chiuso la centrale idroelettrica di Isola Serafini, nella speranza che la diga possa fermare la corsa di petrolio e gasolio. I presidenti di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto chiedono al governo di dichiarare l’emergenza nazionale, e stanziare subito fondi per contrastare un danno ancora inestimabile. E mentre le Asl verificano che le falde acquifere non siano contaminate, è fatto divieto di prelevare l’acqua del Po e di navigare il fiume. presto per dire quali saranno i danni sul bacino idrografico del Po. Una stima di Regione Lombardia parla di 2 milioni di euro di danno immediato per i campi della Brianza. «Ma la cifra risulterà ridicola - dicono i tecnici - quando l’effetto del disastro sarà davvero quantificato». Confagricoltura prevede «danni duraturi e gravissimi». E se il grosso della massa inquinante ha lasciato la Lombardia per l’Emilia Romagna, in Veneto si lavora per prepararsi all’urto ecologico. Questa mattina a Rovigo sarà fatto un vertice della protezione civile, come nei giorni scorsi ne sono stati fatti a Milano e a Piacenza. Dopo avere osservato la facilità con cui gli oli hanno superato sinora ogni barriera, il governatore Giancarlo Galan taglia corto: «Questo è un dramma - dice - c’è poco da scherzare». Nella richiesta di intervento al governo da parte delle Regioni, si inserisce anche la polemica dei Verdi, che rinfacciano all’esecutivo di avere varato il 2 di febbraio una legge «che depenalizza il reato di scarico industriale nelle acque, da oggi punito solo con una multa che va da 3mila a 30mila euro», come dice il presidente del partito Angelo Bonelli. Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, a cui il Pd chiede di relazionare in Parlamento sul disastro ambientale, risponde ai Verdi parlando di «indegna speculazione su una tragedia ambientale», e annuncia che oggi si recherà nei luoghi del disastro. La Procura di Monza ha aperto un fascicolo per disastro ambientale e avvelenamento delle acque a carico di ignoti. Si vuole capire chi abbia aperto i rubinetti di 7 cisterne di carburante all’ex raffineria Lombarda Petroli di Villasanta alle 3.30 di martedì, innescando la bomba ambientale. Per i colpevoli la politica, compatta, chiede punizioni esemplari. E decine di enti annunciano che si costituiranno parte civile. Gli inquirenti puntano l’attenzione sul progetto immobiliare da 172mila metri quadri (e 500 milioni di euro) di Addamiano Costruzioni, sui terreni della Lombarda Petroli. I responsabili del sabotaggio - almeno tre persone, che conoscono bene l’impianto - vengono cercati nella jungla dei subappalti legati a quel piano di costruzioni. E si aggrava la posizione dell’amministratore della Lombarda, Giuseppe Tagliabue, che ora si dice «un uomo rovinato». A metterlo nei guai sono le carenze di manutenzione, sicurezza e sorveglianza nell’impianto. Al momento dell’irruzione notturna, alle cisterne c’era una sola guardia, che stava smontando il turno. Il governatore lombardo Roberto Formigoni, ha definito i sabotatori «criminali contro cui bisogna ribellarsi». • Rita Querzé, Corriere della Sera 25/02/10 Il gasolio dal Lambro al mare La Regione: stato d’emergenza Sette enormi cisterne coperte dalla ruggine in un’area protetta (si fa per dire) su tre lati da un muro alto quattro metri e sul quarto dai binari della ferrovia Milano-Lecco. Da questo angolo di Brianza’ invaso ieri da folate d’aria degne di un pozzo di petrolio texano – è partito nella notte tra lunedì e martedì il rivolo di gasolio che ora tinge di nero il Po. Da ieri sera l’area è sotto sequestro. Il pm di Monza Emma Gambardella ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per disastro ambientale e inquinamento delle acque. L’unica certezza è l’origine dolosa. Due, forse tre persone, nella notte tra lunedì e martedì hanno aperto le saracinesche delle sette cisterne e attivato le pompe. Gasolio e metano sono stati spinti nei tubi predisposti per portare il liquido nelle autocisterne deputate alla consegna del combustibile. Ma questa volta le autocisterne non c’erano. Il gasolio è caduto a terra, ha invaso il piazzale e si è infilato nei tombini. Le vasche del depuratore di Monza, già piene viste le piogge degli ultimi giorni, hanno trattenuto il 70 per cento del liquido. Il resto, galleggiando sull’acqua, è uscito fino a tingere di nero prima il Lambro, poi il Po. Il disastro ambientale è enorme e non ancora comprensibile in tutta la sua portata. Si sta cercando in queste ore di valutare la quantità di gasolio e olio combustibile uscita dalle cisterne. Si va dai 2.500 metri cubi delle stime più prudenziali ai diecimila delle più pessimiste. Solo domani l’Arpa della Lombardia sarà in grado di dire se gli inquinanti hanno intaccato la falda intorno aMonza. Di certo vent’anni di lavoro per bonificare il Lambro sono andati perduti in una notte. E ora a temere il peggio sono i contadini del lodigiano. «Il rischio è che la marea nera possa avere inquinato, oltre alla falda acquifera, anche le diramazioni idriche e la rete fittissima di canali e rogge che derivano acqua dal Lambro e che sono utilizzate per l’irrigazione nelle campagne del sud di Milano e del lodigiano», si preoccupa il presidente della Confagricoltura di Milano e Lodi, Mario Vigo. A problema, poi, si aggiunge problema: il depuratore di Monza, intasato da catrame, ora sta funzionando a scarto ridotto e presto dovrà restare fermo tre settimane per essere pulito. Morale: gli scarichi delle fognature di quasi 800 mila persone verranno immessi direttamente nel fiume già in gravissima sofferenza. Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, ha varato un’ordinanza che vieta l’utilizzo delle acque del Lambro. Lo stesso ha fatto la città di Piacenza. La Protezione civile ha messo in stato di allerta tutti i Comuni lungo il Po fino a Ferrara. Il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha chiesto lo stato di emergenza «anche se ciò significa chiedere soldi e in questi mesi di emergenze nel nostro Paese ne sono capitate tante». Lo stesso ha fatto il presidente dell’Emilia Romagna, Vasco Errani. Dal canto suo il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha già detto di sostenere senza condizioni la richiesta. Inoltre il ministero si costituirà parte civile contro i responsabili. «Dichiarare lo stato di emergenza non basta’ è intervenuto sull’argomento anche il parlamentare del Pd Ignazio Marino – fondamentale accertare al più presto i rischi per la salute della popolazione che possono essere anche molto gravi». • Rita Querzé, Corriere della Sera 25/02/10 Le sette cisterne sabotate nella Ecocity mai decollata «Ecocity, il più grande progetto multifunzionale della Brianza». Dove oggi ci sono le sette cisterne violate della Lombarda Petroli sorgeranno a breve villette, uffici e centri commerciali. Lo annunciano gli enormi cartelli che costeggiano la strada che porta allo stabilimento. In fondo ci sono già i numeri a cui telefonare per prendere informazioni. Una città ecologica su terreni satolli di gasolio? Bella grana per i fratelli Addamiano (Giosuè, Rosario e Matteo), gli artefici del progetto. Ma tant’è, gli immobiliaristi originari di Cerignola, in provincia di Foggia, ieri erano irreperibili. Come del resto Enzo Tagliabue, il proprietario della Lombarda Petroli. Gli Addamiano hanno precisato soltanto che il terreno su cui sorge la Lombarda Petroli è ancora di Tagliabue. Come dire: noi con questo disastro non c’entriamo nulla. Qui alle porte di Monza tutti sanno che gli Addamiano e Tagliabue si sono intesi da tempo sul futuro dell’area. Una parte dei terreni che erano della Lombarda Petroli sono già passati di mano e ora ospitano una fila di capannoni. Insomma, le sette cisterne svuotate con le cattive avevano i giorni contati. Come testimonia lo stato complessivo del sito: amianto e degrado dappertutto. Del resto il 15 aprile del 2009 il progetto «multifunzionale» è stato approvato dal consiglio comunale. Insomma, si potrebbe partire a suon di fondamenta e calcestruzzo per costruire 172 mila metri quadrati dedicati a uffici, residenza, commerciale e produttivo. Il tutto – recitano le brochure’ «immerso in un grande parco di 80 mila metri quadrati». Ma ora è l’immobiliare a tardare nella firma della convenzione. D’altra parte il mercato del mattone è ingessato dalla crisi. Sottoscrivere il documento vorrebbe dire mettere liquidità nel nuovo progetto. E gli Addamiano adesso sono impegnati su un altro fronte, la commercializzazione del polo tecnologico di Desio sull’ex area Autobianchi. Cui prodest? A chi conveniva avventurarsi di notte dentro il perimetro della Lombarda Petroli (operazione peraltro semplice, la sorveglianza delle telecamere pare fosse limitata al cancello d’ingresso)? Qualcuno sussurra che la responsabilità potrebbe essere dei vecchi dipendenti dell’azienda, cacciati via ad uno ad uno (oggi sono rimasti solo in cinque). Ma l’assessore regionale al Territorio della Lombardia lascia intuire altre ipotesi. «Questo è un atto doloso di gravità eccezionale – ha detto ieri Davide Boni ”. E se qualcuno pensa che così facendo si possa avere qualche agevolazione urbanistica ha sbagliato Regione». Il presidente delle Provincia di Milano, Guido Podestà, si è addirittura spinto oltre: « Potremmo pensare a un vincolo perenne». «E se si trattasse di un avvertimento mafioso?», sussurrano altri. Le infiltrazioni della ”ndrangheta a Buccinasco sono note, ma anche Desio non è estranea al fenomeno. A dipanare il groviglio delle ipotesi in queste ore è la procura di Monza. Il primo punto da chiarire riguarda la quantità di olio combustibile presente nelle cisterne. La Lombarda petroli aveva autocertificato meno di 5 milioni. Una soglia che permetteva una semplificazione delle procedure di sicurezza. • Andrea Galli, Corriere della Sera 25/02/10 La scia nera lungo il Po «Intervenuti in ritardo» CALENDASCO (Piacenza) – Ancora ci crede, ancora risponde alla chiamata, ancora è una battaglia persa, o forse no: «Ci si sente domani, sul presto eh, mi raccomando. Torniamo e vediamo». Annibale Volpi, 72 anni, si è messo lì, da subito, da pensionato, da osservatore, da soldato, vicino alla grande diga della centrale Enel di Isola Serafini. Ci ha lavorato quasi mezzo secolo, in centrale, sa bene che la diga è l’unica vera muraglia tra la sorgente e il mare. «Chiudetela, maledizione, chiudetela. La marea nera troverà un ostacolo, si fermerà, e potrà esser aspirata, portata via» andava borbottando, invocando. Niente. Qualche grata della diga hanno iniziato a bloccarla soltanto alle 19. Alla stessa ora, quaranta chilometri di fiume prima, a Calendasco, mettevano in piedi una barriera di salsicciotti per assorbire olio e gasolio, barriera con un certo imbarazzo presto rimossa, alle 22, perché troppo leggera, troppo in balia della corrente, troppo inadeguata. I 2.500 abitanti di Calendasco, primo paese del Po nel tratto (emiliano) in cui assorbe il Lambro, son stati svegliati dal tanfo di petrolio che erano le 7, le 7.30. Pareva d’essere dentro un enorme serbatoio di benzina. Hanno guardato il fiume, gli abitanti, oltre le vecchie cascine. Scuro. Scurissimo. Non era in piena; era un rettilineo d’asfalto. Allarme. Telefonate. Alle 8, riunione in Prefettura, a Piacenza. Alle 10, è scattato il piano d’emergenza. Poi, chissà. I salsicciotti non si trovavano, gli uomini – vigili del fuoco, militari, Protezione civile’ che dovevano posizionarli c’erano ma stavano fermi, nessuno dava ordini, e alla velocità di quattro chilometri all’ora l’olio e il gasolio viaggiavano, spruzzavano le rive, vestivano di catrame le oche dell’oasi naturale di Isola di Pinedo, risalivano in Lombardia, puntavano l’Adriatico. «Via, siete matti? Prendete fuoco» urla un pompiere da una sponda, è in esplorazione con la sua squadra. «Calmo, non succede niente» ride smanettando col motore Pierluigi Magistrali, 58 anni. Ha un pontile a Calendasco. A breve varerà una barca coperta per gite, weekend, vacanze. Ci sarà una cameretta per due. In fondo, il Po resta un posto romantico, suggerisce dandogli un’occhiata la compagna Denise, francese, anzi no, sia mai. «Sono bretone. Non sa che dolore, questa marea nera. Non sa quanto petrolio ho già visto inondare le mie terre». Con Pierluigi e Denise, il primo al timone di una barchetta, risaliamo il Po fino al Lambro. Di solito con l’acqua non capita, qui sì: ci sono confini netti. Il Lambro è buio. Il Po no, lo diventerà a breve. I due fiumi si uniscono, fondono, insozzano. «Io, a quelli che hanno aperto le cisterne farei bere una bottiglia di quest’acqua malata» dice Alberto Vidi. Ha 34 anni, lavora sulla sponda, in una ditta che tratta e vende sabbia. La ditta è del padre. Questo è un fiume che si tramanda. «Vuol sapere del Po? Mio papà mi ha insegnato tutto». Tiene sempre a ricordare il buon Annibale Volpi: «Avevo pochi anni, mio padre mi lanciò dentro. Ordinò: ”Impara a nuotare”. Ecco, imparai». Siamo in emergenza, non è il tempo delle polemiche, dice al telefono il presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani. D’accordo; ma in sedi istituzionali, in Lombardia, martedì, più d’uno, glielo garantiamo, ripeteva con una certa tranquillità: il liquame non supererà la barriera di Lodi. Forse si è peccato di eccessiva sicurezza? E arrivando a voi, presidente: proprio impossibile evitare tutte queste ore di ritardo nei soccorsi? Di chi la colpa? «Dobbiamo lavorare per superare il disastro. Più avanti, verificheremo quello che è realmente successo» dice Errani. Sul Po, solitaria e commovente, gira una barchetta dell’Arni, l’Azienda regionale della navigazione interna: cerca di dirottare la corrente scura lontano dall’oasi naturale di Isola di Pinedo. La voce di Massimo Gibertoni, ambientalista dell’associazione Aironi del Po, è dolorosa: «C’è stata più incapacità o rassegnazione? Io ho paura che qualcuno abbia detto: amen». Visto dall’elicottero dei vigili del fuoco, alzatosi da uno sbucciato campetto di calcio a Piacenza con mezzo quartiere che fotografava col cellulare, il Po è sempre più buio. Olio e gasolio tengono quasi sollevati tavoli, sedie, secchi, insomma il solito letamaio trascinato dal fiume. Il presidente Errani si domanda, spaventato: «Quanto costerà la bonifica?». Pierluigi Magistrali accarezza il suo pontile, Annibale Volpi si concede un momento di debolezza («Provo orrore»), Alberto Vidi si preoccupa che camion e jeep dei soccorsi – vigili del fuoco, militari, Protezione civile – non siano d’ostacolo sulla stradina che porta alla ditta, tra i campi e il Po. • Ermanno Olmi, Corriere della Sera 25/02/10 Il sentiero delle papere e il mio fiume profanato Io le ho viste le papere che volavano a pelo d’acqua sul Lambro. Due anni fa. Facevo delle riprese nell’area industriale dismessa della Falck a Sesto San Giovanni, dove tutt’intorno ai capannoni si estende una vastissima zona lasciata libera alla spontaneità della vegetazione. Tanto che, in pochi anni, lungo le sponde del Lambro si è formata una barriera di alberi così fitta e intricata, con cespugli e rovi impenetrabili che proteggono la quiete del piccolo fiume. Addirittura, in qualche slargo erboso, piccoli acquitrini riparati da canne (che si chiamano col nome buffo di Mazzasorda) sono rifugio sicuro di aironi e fenicotteri che vengono a sostare e qualcuno addirittura nidifica. Un territorio, questo, dove solo alcuni anni fa i mastodonti dell’Industria, con la baldanza di portatori della modernità, prendevano possesso delle terre agricole e per diritto in nome del progresso assoggettavano la Natura al loro primato. Non è passato neanche un secolo e i colossali altiforni di fuoco e ferro giacciono spenti nel mortificante abbandono dell’inutilità. Ed è stata proprio questa decadenza che ha generato un nuovo evento, questa volta non più programmato dall’uomo ma dal suolo medesimo che senza più oppressioni, abbandonato a se stesso, ha silenziosamente ricomposto le sue ferite e trovato l’armonia delle sua condizione primigenia. La frequentazione della troupe per le riprese del documentario aveva una certa regolarità, e così ogni volta andavo a spiare la famigliola di papere che abitavano le rive del Lambro. Notai che frequentavano soltanto un breve tratto del corso d’acqua, esclusivamente in un punto dove il fiume compie un’ansa piuttosto stretta, tanto che in soli pochi metri impedisce la vista da una parte all’altra. Pensai che questa dislocazione fosse una intuitiva strategia di difesa. Infatti, bastava un fruscio di passi sul sentiero che le papere, con pochi colpi d’ala erano già in volo e si mettevano al coperto nascondendosi alla vista degli importuni. Tuttavia, col tempo mi resi conto che la continuità delle nostre visite avevano modificato il loro comportamento. Un po’ alla volta, da una visita all’altra, ritardavano di poco poco la loro fuga. Esitavano sempre più incerte tra l’istinto, ma per una sorta di legame ancestrale con la Natura che ci ha generato in ogni forma di vita e che lascia sottintendere in tutte le creature il principio del «sentimento». Ma per noi che pretendiamo il benessere a tutti i costi, sarebbe tempo che ci domandassimo quali sono i sentimenti che pratichiamo per dare significato alle nostre esistenze. Se fossimo davvero onesti con noi stessi, dovremmo fare un elenco di cui vergognarci. A cominciare da qualche innocua paperella che si godeva nella quiete del fiume il suo minuto spazio di sopravvivenza. Vederla nelle immagini della tv profanata dal liquido ributtante e mortifero del petrolio mi ha fatto sentire ancora una volta in colpa. Ormai è un’immagine emblematica ricorrente. Ho parlato soltanto di un piccolo frammento di questa tragica realtà. Ma che insieme a tante altre sparse nel mondo ci fanno intendere le dimensioni di una visione che potrebbe diventare apocalittica. Esagero? «La regione Lombardia chiede lo stato di calamità» Ma è ora di dichiarare lo stato della nostra stupidità. • Francesco Spini, La Stampa 25/02/10 L’onda nera non si ferma: nel Po i veleni del Lambro La marea nera adesso è nel Po. «E nel fiume che è tutt’altro che in secca diventa ancora più difficile da gestire, perché la chiazza si frammenta, si disperde», spiega il dirigente dell’Autorità di bacino del fiume Po, Francesco Puma. L’ultimo punto utile per fermare il gasolio e le sostanze oleose sversati nel Lambro due giorni fa a Villasanta, vicino Monza, dalla dismessa «Lombarda Petroli» era ieri sera lo sbarramento Enel di Isola Serafini, tra Piacenza e Cremona. La marea è passata, arriverà al mare. Insomma, le barriere artificiali e le panne di assorbimento che sono state posizionate da vigili del fuoco, protezione civile, genio dell’esercito a Melegnano, San Zenone, Salerano, Castiraga, Chignolo Po e più giù, son servite solo in parte. Per questo a Piacenza si protesta, mentre in Lombardia assicurano che sul Lambro «gli sbarramenti hanno funzionato molto bene». Due notti fa da quelle maledette cisterne monzesi (tre sono state svuotate del tutto) sono usciti, finché a mezzogiorno sono state sigillate, circa 3.500 metri cubi di idrocarburi, pari a 2,5 milioni di litri, stimano le autorità. In parte gli oli vengono trattenuti dal depuratore di Monza, mille metri cubi si avviano a valle, il 40% è trattenuto dagli sbarramenti. Il resto ora è nel Grande Fiume. Non resta che chiudersi in ufficio e fare riunioni su riunioni ai prefetti, sindaci, assessori, tecnici dell’Arpa, Aipo, delle sette province coinvolte, cioè Monza Brianza, Milano, Lodi, Pavia, Cremona e Mantova per parte lombarda, Piacenza in Emilia Romagna. I governatori Roberto Formigoni e Vasco Errani hanno chiesto lo stato di emergenza per le due regioni. E si deve pensare ai colpevoli del crimine all’origine del grosso guaio. La Procura di Monza ha aperto un fascicolo per disastro ambientale contro ignoti. Di certo erano persone che sapevano come azionare le valvole dei serbatoi. Il presidente della (neonata) provincia di Monza e Brianza, il Pdl Dario Allevi, parla del «gravissimo comportamento dell’azienda», la Lombarda Petroli, «che non ha avvertito nessuno dell’accaduto e si è rifiutata di far entrare i tecnici del depuratore e la polizia provinciale, aprendo i cancelli dell’impianto solo quando, ore dopo l’inizio del disastro, gli è stato intimato dai carabinieri». Un intervento più rapido, forse, avrebbe mantenuto l’incidente al solo depuratore. Invece si è piombati nell’emergenza. E nonostante le cose si siano messe male, con la marea che, incurante delle barriere, veleggia verso il Polesine, la protezione civile nazionale - invocata lungo le rive: «Ma dove sono?» - è rimasta nel quartier generale. Niente Bertolaso. «Ma quello che poteva essere fatto è stato fatto - dice al telefono Francesco Curcio, responsabile ufficio emergenze del dipartimento -. Noi ci siamo limitati a mantenere i contatti con le protezioni civili regionali e le prefetture. Abbiamo seguito le cose da Roma». Ora si teme che i danni ambientali possano moltiplicarsi. Il depuratore che a Monza ha trattenuto il 70% del gasolio dovrà star fermo per tre settimane. Gli scarichi di 800 mila persone finiranno nel Lambro senza alcun drenaggio. Il prefetto di Piacenza ha proibito l’utilizzo dell’acqua del Po. A Ferrara l’apprensione coinvolge l’acqua potabile che l’acquedotto pesca nel fiume all’altezza di Pontelagoscuro. Se dovranno interrompere il prelievo, restano quattro giorni di autonomia. In tutto questo i Verdi denunciano che il Parlamento «il 2 febbraio ha approvato una legge che depenalizza il reato di scarico industriale nelle acque», solo con multe da 3 a 30 mila euro. Il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ribatte alle accuse («col sapore indegno di una speculazione su una tragedia ambientale») ricordando che le pene «erano e restano l’arresto fino a due anni» più l’ammenda. • Giovanni Cerruti, La Stampa 25/02/10 L’inutile rincorsa non salverà l’Adriatico I cormorani dell’Isola Serafini volano via alle quattro del pomeriggio. «Loro hanno già capito tutto e noi siamo ancora qui ad aspettare», dice dalla riva destra del fiume Elvio Mostosi, l’assessore all’ambiente del comune di Spinadesco. Passano cinque minuti e proprio sotto la diga dell’Enel, mentre il Po si fa sempre più scuro, sempre più cupo, saltan fuori dall’acqua carpe e cavedani. «Anche loro hanno capito, ma è troppo tardi». I giornali radio stanno ancora raccontando del Lambro intossicato, ma già si è avvelenato il Po. Fino a Piacenza. E da oggi giù fino al mare. «Sta arrivando una macchia larga 18 metri e spessa 50 centimetri, è a due chilometri da voi», avvisano al telefono Mostosi. Solo che l’assessore è qui con Fabio Guerreschi, il responsabile della Protezione Civile del paese. E basta. Aspettano e guardano con terrore la diga dell’Enel. «Perchè la tengono ancora aperta?». Aspettano come aspettavano al mattino su a Orio Litta, dove il Lambro entra nel Po. Dovevano fermarlo prima. E’ troppo tardi, adesso. E’ sempre una rincorsa. Alle quattro del mattino un Lambro color caffè si è tuffato nel Po, a Corte Sant’Andrea. Alle due del pomeriggio, alla foce del Lambro, ci sono appena due vigili del fuoco e Giovanni Pozzoli, l’assessore del comune di Senna. «Aspettiamo». Arriva una troupe della tv tedesca: «Se questa roba entra nel Po arriva al mare Adriatico, in Germania è una storia che interessa molto». A chi abita qui di più, molto di più. S’incontrano vecchi con l’aria disperata: «Il Lambro cominciava a pulirsi, sul fondo cresceva l’erba, erano tornate anche le anguille - dice Virginio Scotti, 79 anni e la bicicletta accanto - Quando sono nato qui si viveva di legna, di ghiaia e di pesca...». Lo sapevano, i vecchi, che il Lambro si sarebbe portato le sue schifezze fino al Po. «Prima è arrivato l’odore, e che spùsa!, giù dalla cascina del Rubìn - ricorda Scotti - Già all’alba quei salsicciotti bianchi che hanno messo di traverso al fiume servivano più a niente. Quell’acqua densa e scura passava sopra e sotto, ha lasciato solo il colore e se n’è andata alla foce». C’è una cosa che Scotti non capisce: «Perchè continuano a dire che stanno fermando l’inquinamento del Lambro quando invece è già arrivato dentro il Po, e se passa Piacenza arriva dritto al mare?». L’ha già passata, Piacenza. Nella notte hanno tentato il miracolo proprio qui a Isola Serafini, dove l’Enel in serata aveva promesso di chiudere le paratie della diga. L’Isola è proprio un’isola, 5 chilometri di Po da una parte, 15 dall’altra, con la foce dell’Adda che si allarga fin quasi a Cremona. «Per noi - dice l’assessore Mostosi, 65 anni, poliziotto in pensione - il fiume è sempre stato una risorsa, mai un problema. Bisogna conoscerlo e saperlo anticipare». Invece, qui sull’argine, l’impressione è che nessuno l’abbia anticipato. E la rincorsa continua. E’ già buio quando i militari del Genio cominciano a sistemare i salsicciotti bianchi - le ”panne di assorbimento” - poco prima della diga Enel di Isola Serafini. Serviranno a poco, perché funzionano con acque ferme, non con questa corrente e questi mulinelli di schiume. E che servano a niente si capisce un’ora dopo, quando la centrale si ferma, apre le paratie e le schifezze che erano nel Lambro e adesso sono nel Po possono riprendere la loro scivolata verso Cremona, poi - e sarà questa mattina - nel mantovano, Ferrara, Rovigo e il Polesine, infine l’Adriatico dove si è già spostata la troupe della tv tedesca. Se ne va lasciando una scia nera, il Po. E una schiuma che alla luce delle fotoelettriche del Genio Militare sembra azzurrina. L’assessore Mostosi non sa nemmeno con chi prendersela. «Succede proprio quello che volevamo evitare - dice - Così s’inquina anche la foce dell’Adda e il Parco Naturale. Ma non potevano pensarci prima, o almeno chiedere a noi?». Nel pomeriggio un fotografo mandato dalla giunta provinciale di Cremona ha scattato immagini davanti alla Centrale Enel con le paratie aperte: «Nel caso, sapremo a chi chiedere i danni». Non solo alla Lombarda Petroli di Villasanta, anche all’Enel e alla sua diga. Si aspetta il mattino e Gianfranco Pezzini, 63 anni, uno che qui ha imparato a nuotare e non ha mai visto il mare, sa già che non sarà come prima. Non ci sono più le anatre. E i cormorani. E i galli cedroni che veniva a cacciare Gianni Brera, nato e cresciuto tra le rane, i gamberi di fiume i canneti a San Zenone. Volati via seguendo il Po. Erano segnalati a Cremona, ieri pomeriggio; adesso saranno già dopo Mantova. In fuga dalla schifezza che viene giù con il Lambro. «Che solo 50 anni fa si beveva - ricorda Virginio Scotti - e i bambini venivano qui nelle colonie elioterapiche...». Prima della diga Enel l’acqua putrida si ferma e s’incarognisce, mulinella, fa onda, cerca la paratia e poi s’infila. Da qui in avanti non c’è altro sbarramento, e non serviranno i mezzi chiesti ieri sera dal prefetto di Piacenza. Ancora una volta, troppo tardi. Lo rincorreranno fino all’Adriatico, questo Po ora sporco e puzzolente. Con i pompieri che lo guarderanno impotenti dalle rive. Con i tecnici vestiti di tute bianche e armati di galleggianti arancioni o salsicciotti bianchi. Quelli che dovevano fermare il Lambro. E adesso inseguono il Po. • Daniela Fassini, Avvenire 25/02/10 Allarme Lambro. Nel Po l’onda nera disastro ambientale. Non so¬no state sufficienti le misure messe in atto dal comune di Monza e dalla regione Lombardia : le barriere collocate non hanno ret¬to e l’onda nera delle 600mila ton¬nellate di gasolio, in poco più di 24 ore, ha raggiunto il Po e sta ineso¬rabilmente scivolando a valle. La protezione civile dell’Emilia Roma¬gna prevede che il materiale inqui¬nante starà nel ”grande fiume’per cinque giorni e interesserà l’asta delle province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Ferrara fino a lu¬nedì. «Gli interventi urgenti attiva¬ti nella regione Lombardia - fa sa¬pere la protezione civile - e in corso di attuazione in Emilia Romagna hanno limitato le quantità di olio combustibile in transito sul Po. Il passaggio della massa di olio com¬bustibile potrà essere segnalato da odore caratteristico di idrocarburi che perdurerà per alcuni giorni e da una colorazione iridescente delle acque superficiali». E il Presidente della regione Emilia-Romagna, Va¬sco Errani, che si è detto ”preoccu¬pato’ e ha sollecitato ”la massima collaborazione per affrontare situa¬zione e ridurre i danni ambientali’ ha chiesto lo stato di emergenza in stretto raccordo con la Regione Lombardia. Intanto proseguono le attività di cooperazione tra le due Regioni, le Prefetture e le Province interessate, l’Arpa, le Protezioni ci¬vili regionali, l’Aipo, i Vigili del Fuo¬co e l’Autorità di bacino. Tutti insie¬me per affrontare l’emergenza am¬bientale che ha riunito nelle prefet¬ture di Milano, ieri mattina e di Pia¬cenza, ieri pomeriggio, le task force delle due regioni. Il piano, già in e¬secuzione, riguarda il posiziona¬mento di barriere su cinque punti del fiume e successivamente è an¬che previsto l’arrivo di speciali at¬trezzature Skimnner che, abbinate ad auto spurghi già messi a dispo¬sizione tramite Enia, provvederan¬no a estrarre la massa oleosa inter¬cettata dalle barriere. Questa verrà inviata negli appositi siti di stoc¬caggio provvisorio. «Siamo di fronte a un disastro a¬m¬ bientale vero e proprio - dichiara Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente - il problema non ri¬guarda solo il fiume Lambro ma tut¬ta l’asta del Po fino al delta. Per ar¬ginare i danni che può causare la macchia d’olio, urge un coordina¬mento nazionale degli interventi delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna». E anche la centrale Enel di Isola Se¬rafini, nel Po piacentino, ieri sera alle 19.15 ha fermato l’impianto, a¬prendo le paratoie inferiori per far defluire il Po dal basso e trattenere così la macchia oleosa nello sbar¬ramento. Attualmente le zone più colpite sembrano essere quelle più distanti dal luogo dello sversamen¬to, vale a dire le campagne del sud Milano e del lodigiano, dove il Lam¬bro si immette nel Po. E sul disastro ambientale provoca¬to al fiume Lambro nelle province di Milano, Monza e Lodi, il governo terrà oggi alle 15 nell’Aula della Ca¬mera una informativa d’urgenza. _____________________________________________________ Negli anni Sessanta il Lambro spumeg¬giava: era l’altra fac¬cia del boom economico, della Brianza ricca e indu¬striale. passato quasi mez¬zo secolo e il fiume non spu¬meggia più ma «ogni giorno cambia colore: una volta az¬zurro pastello e un’altra ros¬so fuoco» scrive in un forum di pesca sportiva un pesca¬tore solito frequentare le sponde del fiume per la sua pratica preferita. Il Lambro, con i suoi 130 km attraverso la Brianza, la zona est di Mi¬lano e parte delle province di Lodi e Piacenza, per la pe¬santissima urbanizzazione avvenuta sulle sue rive da più di 40 anni, è il fiume più in¬quinato d’Italia. « dagli anni 70 che il Lam¬bro è oggetto di ”cure”, con investimenti pari a circa 5.000 miliardi di vecchie lire per il suo risanamento» so¬stiene Andrea Agapito Ludo¬vici, responsabile Acque del Wwf. E prosegue «Nel 1988 era stato istituito un Piano straordinario di bonifica ”Lambro-Seveso-Olona” per riqualificare i tre fiumi più importanti e più degradati dell’area milanese, ma il pia¬no non è mai stato realizza¬to ». E anche il piano di tute¬la delle acque regionale ha ri¬nunciato esplicitamente alla possibilità di un serio recu¬pero del fiume, affermando che sarebbe comunque im¬possibile entro il 2015 rag¬giungere il «buono stato e¬cologico » richiesto dalla di¬rettiva europea del 2000. «Servono troppi soldi – ag¬giunge al riguardo Agapito – e il fiume ha anche problemi importanti di esondazione che colpiscono soprattutto la zona sud di Milano». Dopo la dichiarazione di ”morte biologica” del Lam¬bro, l’entrata in funzione dei tre depuratori milanesi ha ri¬dato al fiume una seppur mi¬nima vitalità e in alcune zo¬ne della Brianza le acque so¬no notevolmente migliorate, soprattutto dopo l’istituzio¬ne del Parco Valle del Lam¬bro. Ma questo non basta certo per salvare la situazio¬ne. «Alla luce di questo disa¬stro – continua Agapito – ser¬ve più che mai un piano di gestione del Lambro per tu¬telare la qualità delle acque ma anche evitare che si veri¬fichino in futuro disastri am¬bientali di questa portata» conclude il biologo ambien¬talista. • Nello Scavo, Avvenire 25/02/10 Quell’annuncio di una grande bonifica per lasciare spazio a nuovi fabbricati Sono le 21 del 28 luglio 2008 quando a Villa¬santa si riunisce l’as¬semblea della ”Lombarda Petroli spa’. Brutte notizie: bisogna mettere una toppa a una perdita d’esercizio di 210mila euro, poi coperta grazie agli utili degli anni precedenti. Non è un buon periodo per la società brian¬zola della famiglia Tagliabue. A parte una imponente o¬perazione urbanistica, nella zona la crisi si sente. Nel gennaio 2008 i dipendenti dei Tagliabue erano 16, ora a libro paga ce ne sono cinque con gli altri in cassa integrazione. Lo stabili¬mento, solo in apparenza di¬smesso, non era però privo di prospettive. Merito di ”E¬cocity’, il piano di recupero «per la realizzazione del più grande progetto della Brian¬za », così viene pubblicizza¬ta la bonifica di 300mila me¬tri quadri da parte del grup¬po ”Addamiano’. Stando al¬l’ultimo rendiconto, la ”Lombarda Petroli’ vanta terreni e fabricati per oltre 6milioni di euro. Nel nuovo comparto produttivo «non saranno più presenti lavo¬razioni pesanti di materia prima – assicura ”Addamia¬no’ ”, a favore di attività di produzione di servizi, com¬mercializzazione e distribu¬zione di beni». Un interven¬to che deve sopportare in¬genti spese di bonifica. Alla ”Lombarda Petroli’, vista l’urgenza e la gravità dello sversamento di veleno nero, per intanto i costi saranno a carico delle casse pubbliche. Numerosi testimoni hanno raccontato di aver assistito, nei pressi delle grandi ci¬sterne, al viavai abituale di mezzi di trasporto, segno che l’attività commerciale dell’azienda petrolifera, per dirla con un investigatore, «non è mai terminata». Il pe¬rimetro intorno al deposito non si può dire che fosse un fortino. Una telecamera a presidiare il malconcio can¬cello d’ingresso e nessun sorvegliante fisso. Solo la pattuglia della vigilanza pri¬vata a perlustrare il circon¬dario. I carabinieri hanno sentito i dipendenti in servizio e quelli in mobilità. Di certo c’è che il sabotaggio è stato voluto. «Un operazione compiuta da chi sapeva co¬me fare – spiega un esperto chiamato sul posto ”. Sono state aperte le cisterne e contemporaneamente azio¬nati i motori delle pompe per accelerare l’inondazio¬ne del piazzale dell’azien¬da ». Il metronotte sostiene che alle 3,30 del mattino tut¬to era a posto. Mezz’ora do¬po è scattato l’allarme, ma da un’altra parte. Dai tom¬bini, infatti, il petrolio aveva percorso i quattro chilome¬tri di rete fognaria che colle¬gnao al depuratore di Mon¬za. qui che si accorgono degli scarichi oleosi. da qui che parte la ricerca della fal¬la. Quando i tecnici ambienta¬li finalmente arrivano alla ”Lombarda Petroli’, sco¬prono che alcuni dipenden¬ti sono indaffarati a salvare il salvabile, ma non avevano dato l’allarme e i cancelli li a¬priranno solo all’arrivo dei carabinieri. Intanto un fiu¬me scuro (si parla di alme¬no 5 milioni di litri) si getta¬va nel Lambro fermando il depuratore. L’impianto, che serve 700mila persone, trat¬ta 200mila metri cubi al gior¬no di liquami e adesso fun¬zionerà solo parzialmente. «Quando il sistema si rimet¬terà in moto – teme Legam¬biente ”, il fiume sarà torna¬to allo schifo di vent’anni fa». Le ipotesi sui sabotatori so¬no al momento tre: «Con¬correnza sleale, vendetta di qualche ex dipendente o – spiegano gli inquirenti – un movente interno alla so¬cietà ». Il gruppo Addamia¬no precisa: «Il progetto Eco¬city in fase di realizzazione non è intaccato dall’evento, che riguarda un’area atti¬gua». • Renato Pezzini, Il Messaggero 25/05/09 Lambro, un fiume di gasolio fino al Po: disastro ambientale MELEGNANO (Milano) - Il Lambro è tornato indietro di vent’anni. Fino ai primi anno 90 era il fiume più inquinato d’Italia, portava verso il Po una schiuma marroncina e maleodorante che lo faceva sembrare una discarica di liquami a cielo aperto. Poi c’era stata una ”piccola rinascita”, era pure tornato qualche pesce. Ma da due giorni è un fiume scuro e oleoso che deposita catrame sulle sue sponde, uccide qualsiasi forma di vita, e ha le sembianze di una colata di lava che va verso valle. Non per colpa di un incidente, o per una disgrazia, ma per volontà degli uomini. La Procura di Monza, non a caso, ha aperto un’inchiesta per ”disastro ambientale volontario”. Per ora il fascicolo è contro ignoti, nel senso che bisogna dare un nome e cognome alle persone che martedì notte hanno volontariamente aperto i rubinetti di almeno tre delle sette cisterne in un deposito di petrolio che sta proprio sulle sponde del Lambro a Villasanta, nella verde Brianza a nord di Milano. Un sabotaggio - se di sabotaggio si tratta - che solo mani molto esperte potevano compiere. C’erano 3 milioni e 700 mila litri di carburante e altri oli combustibili in quei ciclopici cilindri di metallo (ora sotto sequestro), almeno 2 milioni e mezzo sono finiti nel fiume. Per dare un’idea: è come se tutti gli abitanti di Roma versassero contemporaneamente un litro di gasolio a testa nel Tevere. Una catastrofe. Anche i titolari del deposito petroli dovranno dare qualche spiegazione ai magistrati. Per molte ore, infatti, martedì mattina hanno impedito ai tecnici di un vicino depuratore e alle guardie ecologiche della Provincia di Monza di entrare nel recinto dell’azienda. Ci sono voluti i carabinieri per forzare il ”blocco”, ma le ore perse hanno ingigantito il danno. Un atteggiamento apparentemente incomprensibile, quello dei dirigenti del deposito. Ma non basta: sulla grande area dove oggi sono custoditi gli idrocarburi c’è già un progetto per lo smantellamento del deposito e la costruzione di palazzi per abitazioni private. E non è escluso che il disastro sia stato causato proprio con l’intenzione di accelerare la chiusura dell’azienda e l’inizio della cementificazione. «Se così fosse sarebbe una follia. Se dovessero essere accertate responsabilità penali, infatti, vincoleremo l’area per un tempo indefinito» promettono sia il presidente della Regione, Formigoni, che quelli delle Provincie di Monza e di Milano. Una parte del petrolio finito nel Lambro è stata recuperata. Vigili del fuoco e protezione civile stanno piazzando delle barriere assorbenti per ridurre il danno, ma è poca cosa rispetto alla massa oleosa che ormai è entrata nel Po e che nei prossimi giorni proseguirà la sua corsa verso il mare andando a inquinare anche le acque dell’Adriatico.