Filippo Facci, Libero 24/2/2010, 24 febbraio 2010
FOLLIE GIORNALISTICHE: TRAVAGLIO FINISCE VITTIMA DI SE STESSO
Marco Travaglio ha sbroccato sul serio, ma per spiegarlo è necessario un riassuntino. Giovedì scorso, ad Annozero, c’era lui che stava parlando delle pericolose frequentazioni di Guido Bertolaso, dopodiché un interlocutore, Nicola Porro del Giornale, gli ha fatto notare che una pericolosa frequentazione poteva essere capitata anche a lui, dopodiché, lui, Travaglio, ha avuto una reazione oggettivamente spropositata e ha preso Nicola Porro a maleparole («liberale dei miei stivali», e anche peggio) dopodiché Maurizio Belpietro ha cercato pacatamente di tornare sull’argomento, dopodiché è stato preso a maleparole anche lui («raglia, raglia pure») dopodiché, complice Michele Santoro, alla fine Porro e Belpietro non sono riusciti a dire quello che volevano dire. In una pubblica lettera a Santoro, poi, Travaglio ha scritto che Porro e Belpietro «non sono giornalisti», «frequentano corsi specialistici», «passano a ritirare la paghetta», «se non si abbassano a sufficienza vengono redarguiti o scaricati dal padrone», del resto «non hanno alcun obbligo di verità», non temono denunce perché attingono a un berlusconiano «fondo spese», fanno «i froci col culo degli altri» e si divertono perché «sguazzano nella merda e godono a trascinarvi le persone pulite per dimostrare che tutto è merda». Nel caso, rileggere.
Dopodiché Santoro l’ha mazzulato: ma Travaglio, come stordito, ha ricominciato come se nulla fosse. In una sua rubrica su internet, e in una contro-replica sul Fatto, ha premesso che a Ballarò «hanno concesso a Bertolaso di farsi una serata di gala a spese del contribuente» e che comunque le cose che ha detto Bertolaso «sono stronzate, eppure gli è stato consentito di dire queste stronzate a Ballarò». Mentre ad Annozero, per contro, Porro e Belpietro hanno fatto «quello che fanno sempre, gli avvocati d’ufficio» e per il resto lo hanno calunniato: «Mi calunniano», «calunnia personale», «falsità, diffamazioni, calunnie». Sono tutte espressioni di Travaglio. Ora, primo: rendetevi conto.
Rendetevi conto della deriva di questo qui, l’unico giornalista della Terra. Sono tutti «merda», dicono «stronzate», manco Santoro va più bene. E neanche Di Pietro – ma qui lo perdoniamo.
Secondo: non c’è nessuna calunnia. Travaglio ha frequentato intimamente un poliziotto tre mesi prima che lo arrestassero perché vendeva notizie e prima che lo condannassero per favoreggiamento di un mafioso, un prestanome di Bernardo Provenzano. Nessuna calunnia: è Travaglio che ogni volta sposta il tiro e si difende da un’accusa che nessuno dei citati gli ha fatto: «Io di quelle vacanze ho documentato fino all’ultimo centesimo», ha scritto, «me le sono pagate io», «mi dovrei vergognare dopo che addirittura ho documentato tutto con gli assegni». Continua cioè a indignarsi, Travaglio, per una velata accusa che solo Giuseppe D’Avanzo di Repubblica buttò lì tempo fa: che si fosse fatto pagare le vacanze dal citato prestanome di Bernardo Provenzano, qualcosa cioè che nessuno ha mai scritto (su Libero e su Il Giornale) e che semmai è stata giudicata un’ipotesi ridicola e improbabile per esempio dal sottoscritto. E allora qual è il problema? Il problema è che Travaglio, anche solo della frequentazione del tizio poi condannato, si vergogna come un ladro: «Mi ha detto che c’era un villaggio turistico», ha cercato di liquidare la faccenda l’altro ieri, «e sono andato a affittarmi una casetta dove, tra varie decine e decine di persone, c’era anche la sua». Si vergogna, cioè, che questo tizio gli abbia invece organizzato le vacanze, fatto pagare una cifra ridicola al momento del conto, prestato arredi e suppellettili per la casa disadorna, ci abbia giocato a tennis, e, con famiglia e figli, abbiano sguazzato nella solamente piscina del residence. Si vergogna di questo perché «ha una reputazione» e la sua purezza ne risentirebbe. Siamo vicini alla pazzia.
Terza e ultima questione. La scusa ufficiale per cui Travaglio ha sbroccato, a suo dire, sarebbe questa: gli interlocutori, per esempio quei venduti di Porro e Belpietro, divagano dal tema e parlano d’altro, senza contare che «se stai zitto autorizzi qualcuno a pensare che hai qualcosa da nascondere, se invece parli dovresti parlare per mezz’ora». Ora: l’attinenza del tema l’ha già spiegata Belpietro su questo giornale. Va però detto che se Travaglio avesse anche ragione - e non ce l’ha la cifra stilistica che lamenta è quella che lui ha perfezionato meglio di chiunque. Le puntate di Annozero in cui ha monologato di tutt’altro, rispetto al tema della serata, non si contano: dipende dal tema e dagli ospiti. Una volta, per dire, c’era Di Pietro che era sotto la lente perché gli avevano inquisito il figlio a Napoli: Travaglio fece un monologo su Previti e su Cirino Pomicino. La delegittimazione-divagazione è proprio il cuore del linguaggio travagliesco: «Il pregiudicato Caio», «l’ex socio di mafiosi Tizio», «il ladro latitante Sempronio», tutte liquidazioni da due secondi e che sì, è vero, se parli dovresti spiegare, «dovresti parlare per mezz’ora». Travaglio lo pretende solo per sé: altrimenti gli interlocutori tacciano, al limite non vengano invitati ad Annozero. Lui ha una reputazione. Non è come i giornalisti del Giornale che «prendono lo stipendio da un pregiudicato», ha scritto sabato a proposito di divagazioni, non è «come quelli di Libero, che continuano a fare i direttori di un editore, Angelucci, che è stato arrestato due volte». Solo arrestato, tra l’altro, e non condannato: ma questo lo si specifica, qui, perché siamo servi e abbiamo tempo. Non abbiamo una reputazione, non ce l’ha Angelucci, non ce l’ha nessuno dei migliaia che il nostro sputtana per mestiere. Ce l’ha Travaglio, la reputazione. Quale, però, non gli è chiaro.
Filippo Facci, Libero 24/2/2010