Mario Bernardi Guardì, Libero 25/2/2010, 25 febbraio 2010
EJA, EJA BACCAL IL FASCISMO ILLUSTRATO DALL’ALTRO BENITO
C’era una volta ”Il Vittorioso”, settimanale per ragazzi. Nato nella seconda metà degli anni Trenta, come contraltare cattolico, conservatore e nazionale dell’’Avventuroso” che pubblicava fumetti targati Usa, dove giravano troppi eroi dalla mascella yankee, con troppe ragazze spregiudicate al fianco. ”Il Vittorioso”, invece, sventolava una morale rassicurante, in linea col regime: Dio, Patria, Famiglia, e i classici valori del coraggio, dell’onore, dell’amicizia, della lealtà, della solidarietà.
Ma così come nel fascismo c’era un movimentismo rivoluzionario e libertario, che si nutriva delle eresie del Novecento, era affascinato dalle avanguardie e partoriva riviste di fronda a getto continuo, analogamente anche la stampa per ragazzi più ufficiale e più fedele alla linea si apriva a qualche spirito non proprio conformista.
Come il sedicenne Benito Jacovitti, studente al liceo artistico di Firenze, e destinato a diventare uno dei disegnatori italiani più geniali e stravaganti. Stampa Alternativa ormai l’ha adottato, visto che nel 2007 ha pubblicato Coccobill. Mezzo secolo di risate western, contenente un’ampia antologia del celebre personaggio creato per ”Il Giorno dei ragazzi”, supplemento del giovedì del quotidiano diretto da Italo Pietra, e che adesso ci fa conoscere lo Jac degli esordi (guerra e dopoguerra), con memorabili avventure e personaggi (Eja, Eja, baccalà, a cura di Goffredo Fofi e Anna Saleppichi, postfazione di Gianni Brunoro, pp. 180, euro 23, in libreria nei prossimi giorni).
Dunque, Benito Jacovitti comincia a collaborare al ”Vittorioso” nel 1940. Da qualche anno abita e studia a Firenze, ma è nato a Termoli, nel Molise. La mamma è casalinga, il babbo, ferroviere, è un ardente mussoliniano, il che spiega il nome affibbiato al figlio. Un po’ imbarazzante, dopo il ”45.
Ma in precedenza, il nostro lo porta con fierezza. Tanto è vero che, come racconterà a Carlo Galeotti il 2 febbraio 1995 (è l’ultima intervista di Jac, che muore il 3 dicembre 1997), a sei anni scrive una lettera a Mussolini: «Caro Duce, io mi chiamo come te. Quando tu morirai, io prenderò il tuo posto». E il Duce, che era superstizioso, gli risponde ottimisticamente: «Stai tranquillo, io vivrò a lungo».
Ma dicevamo della famiglia Jacovitti. Borghesia piccola piccola, in odore di povertà. Origini albanesi, credenze ataviche non lontane da quelle del Molise profondo e da tutta la cultura contadina d’antan. Il piccolo Benito è un creativo. Non solo disegna, ma, visto che i suoi non possono comprarglieli, si costruisce da solo i giocattoli.
A Firenze, i primi successi e le prime lire. Guadagnate grazie a una panoramica sulla guerra appena iniziata. Jacovitti (è lungo e secco, e gli amici lo chiamano ”Lisca di Pesce”) le disegna per ”Il Brivido”, un giornale umoristico in vernacolo fiorentino. Le vignette sono tutt’altro che marziali, anzi piuttosto dissacranti: come ricorda la Saleppichi, il ragazzino viene chiamato da un federale e «redarguito per aver rappresentato i camerati tedeschi in modo poco consono allo spirito guerriero». Comunque, l’Azione Cattolica lo scopre e lo segnala all’AVE l’Anonima Veritas Editrice che pubblica ”Il Vittorioso”. Gli chiedono di inventare personaggi fissi e lui crea tre ragazzi, tre amiconi, che diventeranno un mito: Pippo, Pertica e Palla, ovvero il piccoletto che riflette e poi decide, lo stangone che ama polemizzare, il ciccione che ammorbidisce la situazione. ”I 3 P” sono gli spassosi protagonisti di Pippo e gli inglesi, un fumetto patriottico e fieramente avverso alla perfida Albione pubblicato nel ”40, e da allora dovranno vedersela con la guerra, la pace, i grandi eventi e i grandi personaggi della storia.
Jac è nato, viva Jac. Da allora, nelle sue surreali e iperrealistiche
vignette dove compaiono a mo’ di contrassegno e in folle e gioioso rimescolìo, ossa, matite, dita, pesci, vermi, salami, cartelli ecc., ci sarà posto per un’infinità di personaggi: la Signora Carlomagno, una virago amica dei 3 P che sbroglia i guai da allegra giustiziera a colpi di cazzotti fulminanti; il poliziotto Cip, con l’ispettore Gallina, il cane Kilometro e l’antagonista in tuta nera Zagar (un po’ Macchia Nera, un po’ Diabolik ante litteram), e Caramba, Mandrago, Alonso Alonso detto Alonso, Alvaro piuttosto Corsaro, Elviro il Vampiro, Giacinto il Corsaro Dipinto, il giornalista detective Tom Ficcanaso.
Torniamo agli anni della guerra. Per disegnare le sue strisce (ma nel ”43 illustra anche Pinocchio per la Scuola Editrice di Brescia), Jac si alza alle quattro del mattino. Ma ce la fa a diplomarsi e ad iscriversi ad Architettura. Dopo il crollo del fascismo, come racconta a Galeotti, finisce al Nord, con le truppe germaniche, insieme ad altri universitari e, in divisa tedesca, fa lavori di pulizia in una caserma. Poi scappa, un prete lo aiuta dandogli dei vestiti da civile, torna a Firenze e qui si nasconde per 4-5 mesi fino alla Liberazione. Sono di questo periodo Battista l’ingenuo fascista, lo smitizzante Eja,eja, baccalà, le vignette con i personaggi che non fanno in tempo a dire «buongiorno camerat...», alzando il braccio nel saluto romano, perché immediatamente arrossiscono, si bloccano imbarazzati e correggono il tiro salutando a pugno chiuso: «Ehm...ehm...cioè...volevo dire...buon giorno compagno!».
Jac uomo qualunque, italiano della zona grigia che non si schiera né con i partigiani né con i repubblichini e che poi, dopo la grande paura del rosso ”48, sceglie il biancofiore democristiano a garanzia della libertà, della Cristianità e dell’Occidente? Beh, diciamo piuttosto, che in Battista l’ingenuo fascista c’è il ritratto dell’italiano medio, non necessariamente mediocre né pavido, che nel fascismo ha creduto, che a Mussolini voleva bene, che non ama la guerra ma finisce con l’ac-
cettarla, che di fronte ai furori della guerra civile non si schiera. E che, nel dopoguerra, fatica a orientarsi, spiazzato e anche un po’ schifato di fronte ai tanti cambiamenti di casacca, alle tante, nuove parole d’ordine dei partiti, non meno roboanti di quelle del Pnf. Fondamentalmente, un vinto non convinto, irritato da quello che Flaiano chiamava il «fascismo degli antifascisti» e cioè il conformismo dogmatico, ottuso e bigotto dei neo-convertiti al Pci.
Battista e le altre storie esprimono insomma il disagio di chi non crede più al vivere pericolosamente, ma si accontenta di sopravvivere, magari con i compromessi del tengo famiglia, ma con un retrogusto amaro e protestatorio, e un goccio di residua dignità. Battista è il tipo che nottetempo andrebbe a scrivere sui muri di Roma frasi come ”Aridatece er Puzzone” (e cioè Mussolini) e che agli intimi confessa: «Si stava meglio quando si stava peggio», perfetta sintesi di disincanto e scetticismo.
Il fatto è che ai personaggi di Jacovitti non la puoi dar da bere. Così come non la beveva lui, che si definiva «estremista di centro» e «anarcoide». Oddio, di destra lo era, visto che nel ”48 aveva realizzato manifesti elettorali per i Comitati Civici, negli anni Cinquanta aveva disegnato una vignetta per la campagna elettorale del Msi, quarant’anni dopo, avrebbe
collaborato con una sua pagina settimanale all’Italia di Marcello Veneziani. Soprattutto, però, era uno spirito libero, se preferite un vero libertario, che reagiva a tutti i conformismi, facendone polpette.
Il ”vietato vietare” del ”68 ludico-goliardico avrebbe potuto essere il suo contrassegno. Dunque, nulla gli fu più indigesto della funerea, dogmatica deriva della sinistra gruppuscolare, con i suoi truci e trucidi slogan. Tanto valse a trasformarlo in un fascista carogna per quei lettori di ”Linus” negli anni Settanta Jac era un collaboratore della rivista diretta da Oreste del Buono che non apprezzavano le sue sfottiture politiche equamente ripartite tra destra e sinistra. Del Buono cercò di mediare, ma alla fine Jac, satiro incondizionato, se ne andò.
Girovagando dappertutto, visto che tra l’80 e l’82, mentre continuava a spopolare il fortunatissimo Diario Vitt da lui illustrato, disegnò tavole erotiche per ”Playmen”. Possibile, un cattolico come lui? Cattolico sì, ma non toglietemi estri e malestri, diceva Jac. In paradiso o all’inferno, continuerò a sbizzarrirmi con le bizzarrie dell’umanità. E concludeva: «Quando Jacovitti sverga le piripicchie, tutte le biscagliette vengono in goffa a far zunzù».
E bisognava tacere e acconsentire, come di fronte alla supercazzola di ”Amici miei”.
Mario Bernardi Guardì, Libero 25/2/2010