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 2010  febbraio 25 Giovedì calendario

PERTINI, IL PRESIDENTE IMPICCIONE

Di Sandro Pertini i suoi compagni ma non sappiamo se lo ricorderanno nelle celebrazioni del ventennale della scomparsa esaltavano più il coraggio che non l’intelligenza. rimasta celebre in proposito una battuta attribuita a Pietro Nenni: «Povero Sandro, tanto cuore e poco cervello» o quella, identica nella sostanza, di Riccardo Lombardi: «cuore di leone, cervello di gallina». Ma, a fare un bilancio sia pure sommario della sua presidenza, si dovrà riconoscere che Pertini ha lasciato un segno, nel bene e nel male non importa, nella vita dell’Italia democratica adottando uno stile di comunicazione politica e inaugurando una prassi di interventismo del capo dello Stato quali prima non si erano mai visti.
La sua elezione alla suprema carica era avvenuta l’8 luglio 1978 dopo dieci giorni di seduta congiunta delle Camere e dopo ben sedici scrutini. Dietro la sua elezione, dopo le dimissioni di Giovanni Leone, c’erano state le ripercussioni della tragica fine di Aldo Moro. Probabilmente senza neppure rendersene conto, Pertini aveva posto, in un certo senso e di fatto, la sua candidatura quando, durante la prigionia dell’esponente democristiano, aveva condannato la linea «umanitaria» del suo partito contro quella della «fermezza» attorno alla quale si erano arroccate le altre forze politiche. Nel discorso di insediamento durato poco meno di mezz’ora, l’82enne presidente colse l’occasione non soltanto per affrontare i problemi politici più scottanti, a cominciare dal terrorismo e dai suoi legami internazionali, ma anche per ricordare la sua partecipazione alla lotta antifascista e per citare, come maestri ai quali si era formata la sua «coscienza di uomo libero», i compagni di fede e di militanza del movimento operaio di Savona e gli esempi di Matteotti e di Amendola, di Gobetti e Rosselli, di don Minzoni e Gramsci suo «indimenticabile compagno di carcere».
L’ascesa al Quirinale
Si ebbe l’impressione, insomma, che l’ascesa di Sandro Pertini al Quirinale, sostenuto da una maggioranza di «solidarietà nazionale», fosse una sorta di «rivincita» della Resistenza e dello spirito della Resistenza, un ritorno, per così dire, ai vertici dello Stato, di quel «vento del Nord» del quale era stato un prodotto e un portatore. Del resto, non a caso egli aveva sostenuto pubblicamente la necessità di giustiziare Mussolini, aveva appoggiato il lavoro delle commissioni di epurazione e si era espresso contro l’amnistia voluta da Togliatti. Una volta eletto presidente, Pertini avrebbe riaffermato in ogni occasione la sua fede antifascista e resistenziale e avrebbe adottato, anche, contro il parere della magistratura, un provvedimento assai discusso ma simbolico, quello della concessione della grazia all’ex partigiano Mario Toffanin, condannato all’ergastolo per l’eccidio di Porzûs che aveva portato al barbaro massacro dei partigiani ”bianchi” della Brigata Osoppo da parte di quelli ”rossi”.
Pure, Pertini sarebbe diventato un presidente popolare, un presidente amato dagli italiani al punto che una malalingua come Indro Montanelli arrivò a sostenere che non era necessario essere socialisti per «amare e stimare Pertini», anche se, come precisò in altra occasione, aveva poche idee proprie e scarsa «sagacia politica». Il fatto è che, indipendentemente dalla razionalità della sua condotta e delle sue scelte politiche, Pertini riuscì a stabilire un rapporto con la popolazione, accreditandosi come una sorta di bonario «nonno dell’Italia», partecipe delle sue sofferenze e dei suoi problemi. Ed è questa, certo, l’immagine prevalente nella cultura popolare. Ma non è, tutto sommato, la più importante e la più vera. C’è, per esempio, nella biografia politica di Pertini, il momento rilevante dell’attribuzione dell’incarico di formare il governo, per la prima volta, a una personalità non appartenente al partito di maggioranza relativa.
Le invasioni di campo
Tuttavia, quel che conta davvero, storicamente e nella lunga durata, è l’inaugurazione da parte di Pertini di un uso, per così dire, personalistico dei poteri del presidente della Repubblica che ha fatto discutere a lungo gli studiosi di diritto costituzionale. Basterà ricordare qualche esempio. Nell’ottobre del 1979 egli intervenne, in maniera del tutto irrituale, per evitare l’arresto e i provvedimenti disciplinari imposti da leggi e regolamenti ai controllori militari di volo entrati in sciopero per diventare dipendenti civili e ottenere così un miglior trattamento economico. L’anno successivo, nel mese di novembre, denunciò le carenze degli aiuti ai terremotati e la mancata attuazione della legge sulla protezione civile provocando le dimissioni, poi rientrate, dell’allora ministro dell’Interno. Ancora un anno dopo, a ottobre, senza attendere la pronuncia della magistratura, definì la loggia massonica P2 una associazione a delinquere sollecitando il ritiro dalla vita politica e pubblica di tutti quanti erano coinvolti nelle liste di Gelli.
L’elenco potrebbe continuare. Gli ”scostamenti” di Pertini da quella prassi e da quello stile ”notarile” e di neutralità della suprema carica dello Stato che avevano caratterizzato i predecessori (eccezion fatta, forse, per Gronchi con il suo attivismo in politica estera) sono innumerevoli. E hanno aperto la strada a una lettura estensiva dei poteri del presidente della Repubblica che è andata sempre più accentuandosi. E a distanza di venti anni dalla scomparsa di Pertini è questo suo lascito, non sempre positivo, che è bene ricordare.
Francesco Perfetti, Libero 25/2/2010