Paolo Baroni, La Stampa 25/2/2010, pagina 5, 25 febbraio 2010
I TRUCCHI DELLA CAROSELLO SPA
L’ex presidente di Telecom Italia Sparkle, Riccardo Ruggiero, è indagato, ma l’ad Stefano Mazzitelli è in carcere. E con loro altri manager della società sono finiti nei guai. L’indagine della Dda di Roma sul maxiriciclaggio di fatture false che ha portato a 56 ordini d’arresto per «associazione a delinquere transnazionale pluriaggravata» però punta più in alto. Ai vertici della capogruppo, insomma a Telecom. Che all’epoca dei fatti era guidata da Marco Tronchetti Provera (presidente), Carlo Buora (vice) e dallo stesso Ruggiero nel ruolo di amministratore delegato.
Chi sapeva, chi decideva?
Scrive il Gip Aldo Morgigni: le modalità operative di Telecom Italia Sparkle (Tis) «pongono con solare evidenza il problema delle responsabilità degli amministratori e dirigenti della società capogruppo alla quale appartiene Tis». E «poiché Tis era la proprietaria dell’intera dorsale della rete di cui si avvale Telecom Italia ed è sostanzialmente la ”cassa operativa” del gruppo è evidente che o si è in presenza di una totale omissione di controlli all’interno del gruppo Telecom sulle gigantesche attività di frode e riciclaggio o vi è stata una piena consapevolezza delle stesse». Anche per questo ora Telecom Italia Sparkle, così come Fastweb, rischia di essere commissariata. Ma tra gli inquirenti ora non si esclude nemmeno che dal seguito degli accertamenti, e soprattutto dagli interrogatori dei 56 arrestati, possano arrivare novità importanti. Mancato controllo o piena consapevolezza della «frode colossale» montata dal gruppo del faccendiere Gennaro Mokbel? «In entrambi i casi - sottolinea il Gip di Roma - il Pubblico ministero adotterà le determinazioni di sua competenza».
Zero controlli interni
La posizione di Silvio Scaglia, ex deus ex machina di Fastweb, scorrendo le 1600 pagine dell’ordinanza appare particolarmente delicata. Lui continua a proclamarsi «tranquillo» circa il suo operato, ma secondo i magistrati avrebbe avallato le operazioni commerciali alla base delle false fatturazioni. A proposito dell’operazione «Phuncards», un’operazione da oltre 200 milioni di euro, ci sono email che informano Scaglia dell’«opportunità» dell’affare e risultano agli atti le sue disposizioni agli uffici commerciale, legale, fiscal e controllo di gestione per esaminarne i relativi contratti. Il Gip parla di «modalità sconcertanti» adottate dai dirigenti «di diritto e di fatto» di Fastweb e Tis responsabili di aver realizzato «una fitta rete di relazioni con appartenenti alla criminalità organizzata, ad associazioni di tipo mafioso e prestanomi stranieri». Con l’unico scopo di frodare il fisco. Per Scaglia c’è la richiesta di arresto, mentre per l’attuale ad Stefano Parisi risulta indagato per le false fatturazioni. «Tutto il livello apicale della società è coinvolto» sostiene Morgigni che insiste sull’«assenza o l’assoluta insufficienza dei modelli di controllo adottati» sia da Fastweb come di Tis. «E si parla del 2003» rimarca. «Fastweb - è scritto nell’ordinanza - non aveva un servizio di controllo interno precostituito, mentre per Telecom Italia Sparkle emerge con evidenza che il servizio Audit interno della controllante Telecom Italia spa si è mosso soltanto a seguito degli accessi disposti dal pubblico ministero presso la società».
Le finte prepagate
In base ad una serie di email intercettate la Dda ricostruisce la prima grande operazione di truffa Iva, quella delle «Phuncards». Risale al novembre 2002. Carlo Focarelli della Cmc Italia propone a due dirigenti di Fastweb, Onofrio Pecorella e Andrea Conte, di acquistare carte prepagate non destinate al mercato italiano. L’ipotesi di partenza è un’operazione da 5 milioni di euro. In realtà le «card» non esistono, e addirittura girano delle riproduzioni anche differenti delle tessere incriminate. Ma il business per i vertici di Fastweb c’è tutto e così consultano i legali, testano il sito internet che dovrebbe fornire i «contenuti premium» e alla fine danno l’ok all’operazione: dalle comunicazioni di posta elettronica si scopre che la società di Saglia ha bonificato a Cmc la bellezza di 162 milioni di euro. Da successive verifiche viene a galla che la società che deteneva i diritti sui servizi che dovevano essere venduti attraverso le card era stata registrata nello stato americano del Delaware solo nel novembre 2004, ovvero un anno dopo la cessione delle schede a Fastweb (gennaio-novembre 2003). «Che si trattasse di un’operazione fraudolenta - scrive il magistrato - era ben chiaro alla dirigenza di Fastweb» tanta è la mole di documenti sequestrati che lo prova. Non solo, ma l’operazione «è stata realizzata grazie anche ad un anticipo concesso dalla stessa Fasteweb alle società legate al sodalizio criminale e sue clienti». I soldi, col collaudato meccanismo della truffa-carosello, escono e rientrano dalle casse della compagnia telefonica che poi, nel volgere di pochi mesi si ritrova con un credito Iva di 33,9 milioni.
Il giro dei soldi
E’ un movimento circolare la truffa-carosello, false fatture per false compravendite, che genera un flusso di denaro in questo caso parte da Telecom e Fastweb (e a queste ritornano): ogni 100 euro immessi nel sistema se ne ricavano 20 di credito Iva. Il tutto facendo finta di acquistare servizi telefonici da società paravento come I-Globe e Planetarium per circa 2 miliardi di euro, e poi rivendendole a società di comodo inglesi e finlandesi esenti da Iva. Il gruzzoletto accumulato, l’extra o i «fondi neri» come li chiama il Gip, passava invece su conti di società off-shore accesi presso banche europee, asiatiche, africane e centroamericane legate a società fittizie. I primi bonifici partono dall’Italia tra l’aprile ed il maggio 2005: Tis attraverso il Montepaschi gira 718,2 milioni ad un conto italiano (Antonveneta) della I-Globe ed un anno dopo 259,56 milioni su un conto a Vienna (Raiffeisen); Fastweb (con Antonveneta) versa 154,5 milioni sul conto italiano e 28,3 su quello austriaco. E poi, ancora, bonifica 48,6 milioni alla Planetarium, che ne riceve 809,5 anche da Telecom Italia Sparkle. Sempre presso la Raiffeisen Zentral Bank. A sua volta Planetarium, Vienna su Vienna, dirotta 847,29 milioni alla Globe Phone Network. In tutto, tra Fastweb e Tis, società che il Gip battezza come «finanziatori», escono la bellezza di 2 miliardi e 18 milioni di euro di falsi acquisti. Che valgono a loro volta 336,48 milioni di crediti Iva. Alla fine di una miriade di triangolazioni i due gruppi a tutto luglio 2007 si vedono bonificare da conti esteri (Barclays di Londra, Anglo Irish e Creditanstalt di Vienna) un miliardo e 753 milioni che vanno a gonfiare i rispettivi fatturati.
Riciclaggio «colossale»
I magistrati individuano tre fasi che caratterizzano il sistema delle truffe telecom. La prima: si parte con l’introduzione di capitali illeciti nel circuito finanziario legale, accreditando il denaro su conti di società off-shore accesi presso banche italiane, inglesi ed austriache giustificando queste transazioni con operazioni commerciali fittizie. Quindi, secondo step, si passa alla cosiddetta «stratificazione». Ovvero si dissimula l’origine illegale dei soldi attraverso una serie di operazioni miste per mezzo delle quali avviene il frazionamento dei capitali tra società off-shore. E per evitare i controlli il denaro viene depositato presso banche di Hong Kong, Singapore, Emirati Arabi Uniti, Isole Seychelles, Svizzera e Cipro, «dove l’organizzazione ha accumulato nel tempo enormi liquidità». L’ultimo passaggio è chiamato «reintegrazione».
Una parte dei capitali illeciti viene recuperato attraverso istituti di credito svizzeri, lussemburghesi e sanmarinesi, per essere investiti in Italia attraverso «l’aquisto speculativo di diamanti, immobili, gioiellerie autovetture di lusso e imbarcazioni». La «cresta» sull’operazione «Broker» ha fruttato all’organizzazione 96 milioni di euro. Il solo Gennaro Mokbel, il capo dell’organizzazione, è riuscito a comparsi due appartamenti a Roma, per un valore di oltre 1 milione e mezzo di euro.
Paolo Baroni