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 2010  febbraio 24 Mercoledì calendario

IL MITO DELL’ASSENZA: SCOMPAIO, ERGO SUM

Forse il suo destino era già scritto nei suoi film. Nel 1932, per esempio, malinconica ballerina ospite nel Grand Hotel della gente che va, gente che viene, quando vede fallire l’ultimo sogno d’amore, Greta Garbo pronuncia una battuta profetica: «Voglio essere lasciata da sola». L’anno dopo, in «Regina Cristina», è la sovrana di Svezia che si traveste da uomo per non farsi riconoscere. Dalla finzione alla realtà: nel 1941, umiliata dalle stroncature di «Non tradirmi con me», la Divina decide di ritirarsi. Temporaneamente, pare. Ma in realtà, dopo che il suo progettato ritorno al cinema nel 1949 non si realizza (recentemente sono stati ritrovati i provini de «La duchessa di Langeais», da Balzac), la sua decisione diventa irrevocabile. Nel ”53 abbandona Los Angeles e si trasferisce a New York, nella 52a Strada Est, dove resterà fino alla morte, nell’aprile del ”90. I vicini, i curiosi, i fotografi la ricordano per strada o nei negozi travestita da persona qualunque. Lunghi cappotti o trench, scarpe basse di foggia maschile, cappelli sformati a grandi tese per coprire il volto già occultato dagli occhiali scuri. Tanto diversa da quelle figure sublimi che aveva portato nel cinema, abbigliate nelle vesti sontuose create per lei dal suo costumista preferito Adrian. Sdoppiata, insomma, come la Regina Cristina; ma inavvicinabile, chiusa nel suo mistero. Una vita, è vero, non proprio da reclusa: spesso, prima che la Callas prendesse il suo posto, era ospite dello yacht Christina di Onassis; partecipava a volte a delle feste in Europa, usciva con il grande fotografo Cecil Beaton quando era a New York. Ma quella Garbo era ormai un’altra persona, non aveva più niente in comune con l’immagine che l’aveva resa immortale.
A conti fatti, il periodo della sua assenza è stato molto più lungo di quello della sua presenza. Sedici anni di gloria a Hollywood contro cinquanta di anonimato. Eppure proprio il suo nascondersi finì per accrescere il suo mistero, per dare la sigla sovrumana a quella figura dotata di un fascino che aveva stregato tutti senza mai rivelare i motivi di questa magia. Troppo facile spiegare il suo ritiro con la paura di esporre i segni del tempo sul proprio volto. Roland Barthes, nel ”54 («Miti d’oggi»), preferisce parlare di Essenza contrapposta ad apparenza: «l’Essenza si è a poco a poco oscurata, progressivamente velata di occhiali, di grandi cappelli e di esilii; ma non si è mai alterata». Così, più che di stile, qui si tratta di metafisica, di un’idea assoluta che deve restare separata dal quotidiano fluire e deperire delle cose terrene.
Da simbolo della bellezza, con il suo ritiro, Greta Garbo è diventata il simbolo dell’assenza. Di quel fenomeno contraddittorio di persone celebri che, mentre si negano, in realtà affermano una loro ingombrante, incancellabile presenza. Un destino toccato a molti personaggi dell’era della civiltà di massa, quando l’esplodere dei nuovi mezzi di comunicazione, l’invadenza pettegola dei fotografi e dei biografi non autorizzati creano i casi esemplari degli scrittori Jerome D. Salinger e Thomas Pynchon, del miliardario Howard Hughes, del disegnatore Bill Watterson (l’autore di «Calvin & Hobbes» che dopo dieci anni di strisce sceglie la solitudine), del musicista Syd Barrett (cofondatore dei Pink Floyd, ritiratosi nel 1968 dopo il primo disco del gruppo). Tutti presi da quella voglia pazza di non esserci che colpisce, come un contagio, anche fra noi italiani: ciascuno a suo modo, anche Mina e Lucio Battisti sono figure dell’assenza.
A volte lo sparire si presta pure a inganni e truffe, come è accaduto a J.T. Leroy, ragazzino abusato e malato di Aids, presunto autore di libri choc. La truffa fu smascherata, ma prima aveva dato l’ispirazione per il bel romanzo «Una voce nella notte» di Armistead Maupin, che già metteva in dubbio l’esistenza del piccolo scrittore maledetto. Ora anche nell’ultimo romanzo di Nick Hornby, «Tutta un’altra musica», s’immagina un assente, il rocker americano Tucker Crowe, oggetto di culto per un depresso insegnante inglese. Sì, l’assenza è un elemento irresistibile, ci dice Hornby, ma spesso quello che determina questa febbre è sempre e solo la disperata voglia di credere nel mistero.
Tutto vero, tutto giusto. Però non vale per la Garbo. Anche perché lei, da vera divina, è stata la prima assente della modernità. l’archetipo, di fronte a cui continuiamo a esser presi da meraviglia e stupore.
Ranieri Polese