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 2010  febbraio 24 Mercoledì calendario

SPIANDO NEL GUARDAROBA DI GRETA HO CAPITO DI ESSERE UNICA (COME LEI)

Ha vagamente dell’ingiustizia: ma è così. Più una donna asseconda le sue caratteristiche naturali, più potrà aspirare a diventare unica. Più si fa in quattro per risultare speciale, più verrà sconfitta da un’evidenza d’ordinarietà.
Pensateci. Dalla Madonna a Cleopatra, passando per Virginia Woolf, è così: sia una parentela con qualcuno di molto speciale, un profilo irripetibile o la possibilità di far girare frasi come se suonassero, l’importante, per donne come queste, non è stato tanto percepire di essere diverse dalle altre (quella è una speranza che, in un modo o nell’altro, nutriamo tutte). Loro, a differenza di noi misere e mortali, hanno indovinato (non compreso, attenzione: intuito) esattamente il motivo che le rendeva eccezionali: poi (sempre con un carpiato d’inconsapevolezza) hanno puntato su quello.
E allora ecco che non si muore mai per davvero: ecco che a guardare una vita, le sue scelte appaiono destini, i destini scelte. Ecco che un appartamento di New York si trasforma in un museo. Che un guardaroba ha già nascosta dentro di sé la possibilità di una mostra. Perché di donne come Greta Garbo, il potere ingannevole della leggenda ci fa illudere di sapere tutto: mentre l’assoluta irripetibilità della persona non ci permetterà mai e poi mai di conoscere niente. Proprio per questo l’opportunità di spiarne le stanze, perdersi nelle lusinghe dei vestiti, nella garanzia di realtà della fibbia di una scarpa, ribadisce entrambe le cose: la speranza d’afferrare i segreti di chi s’è fatta Divina e insieme la rinuncia a poterlo fare.
Non è un caso che la prima sensazione che avverti, quando cominci a guardarti intorno, è una specie d’imbarazzo. Che sia dettato dall’ingenuità di quella speranza o dalla messa in conto preventiva della rinuncia, non lo sai. Quello che invece sai è che non saresti stato un ospite atteso, non saresti stato minimamente previsto, nell’appartamento dove la Garbo si ritirò (per proteggersi? Per imprigionarsi?) dopo l’addio al cinema: e anche qui gli umori si fanno contrastanti, perché il rispetto per un posto dove il padrone di casa non ci ha invitato coincide fatalmente, ahinoi, con la più eccitata curiosità per quel posto.
Ormai, comunque, ci sei. Ti aspettavi che si prendesse così sul serio, l’arredamento di Greta Garbo? Non fai in tempo a chiedertelo che un pupazzo di gomma, con la pancia gonfia d’aria e il naso a pallina, semisvenuto con le spalle addosso ai volumi preziosi di una qualche enciclopedia, fa cucù e vi fa sembrare subito scemi:te e la tua domanda.
Prendi e perdi un po’ di tempo, prima di arrivare ai vestiti e alle scarpe: ti stupisci di come quadri di valore convivano con croste il cui valore, evidentemente, deve essere stato tutto affettivo(allora ce l’aveva, degli affetti? Ti chiedi, ed eviti accuratamente di incrociare di nuovo lo sguardo a bottoni del pupazzo di gomma).
Studi la libreria, cerchi ossessivamente almeno un volume di poesie di quella Mercedes De Acosta che la Garbo mai perdonò per aver rivelato alla stampa i segreti della loro rivelazione, ti vergogni della tua morbosità, smetti di cercare.
Arrivi ai vestiti e alle scarpe. Non sei un tipo ossessionato dalla moda, anzi: diciamo pure che non ne capisci niente. Ma tanto non è stata la Garbo a scegliere Ferragamo: è stato Ferragamo a scegliere lei, sempre per quell’incantesimo per cui una così mica poteva seguire uno stile. L’ha determinato.
C’è tutta, quella che Cesare Garboli battezzava «solitudine tecnica» dell’attrice, che qui diventa solitudine espressiva di una Donna imprescindibile da quello che indossa come quello che indossa è imprescindibile da lei: la ritrovi nella serenità di un sandalo, nell’irriverenza del colore del tacco di quello stesso sandalo. In un cappotto che non copre né veste: nasconde, ma senza nemmeno ammettere esplicitamente di farlo. Nelle linee celesti o cupe di gonne che fasciano giusto il tempo per illudere di poter rivelare qualcosa: ma che proprio a quel punto si fanno morbide, non concedendo niente alla banalità con cui il femminile potrebbe dichiararsi.
Concedendo tutto alla complessità con cui il mistero, se una donna somiglia solo a se stessa, si può manifestare.
Chiara Gamberale