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 2010  febbraio 24 Mercoledì calendario

GARBO STYLE

Regale, come nelle scene di certi suoi film? Oppure anonima, ai limiti della sciatteria, come durante il volontario esilio dai clamori mondani? Parlando di Greta Garbo non è facile scindere il Mito dallo Stile. Ma se da un aggettivo si deve cominciare, anche in questo caso non può essere che «divina». Sia nella massima seduzione, in pelliccia sul set di «Anna Karenina», sia rinunciataria con maxi-occhiali e tailleur incolore in una via di Manhattan. C’è però un altro aggettivo, più contemporaneo, che spetta di diritto a questa icona senza tempo, carica di magia, ambiguità e silenzi: minimalista. Una divina minimalista, dunque.
L’affascinante connubio, diventato emblema, è il refrain della mostra «Greta Garbo - Il mistero dello stile» che apre domenica (chiuderà il 4 aprile) alla Triennale, durante le passerelle milanesi della moda. Una mostra, la prima in questa chiave, per raccontare attraverso lo stile, un’altra faccia del pianeta Garbo. A metterla in piedi (definizione quanto mai calzante) un marchio che contribuì con diverse tipologie di scarpe a costruire l’immagine della divina minimalista: Salvatore Ferragamo. Fino dal 1927, quando il calzolaio avellinese arrivato ad Hollywood le prende le misure: 39 e mezzo, pianta stretta. Seguiranno altri incontri e acquisti nel corner newyorkese da Saks Fifth Avenue e più tardi (1949) nel negozio di Firenze, dove lei ordinerà 70 paia di calzature a tacco basso e sandali, inclusi i prediletti con laccio rosso alle caviglie.
La mostra, curata da Stefania Ricci, direttore del museo Ferragamo e costruita dall’architetto-scenografo Maurizio Balò, attinge in gran parte al guardaroba ereditato, assieme a pezzi d’arte e d’antiquariato, da Gray Reisfield, unica nipote della diva. Ci sono 7 mise cinematografiche fra cui spiccano quella in velluto nero e pietre indossata ne «La modella» (titolo originale: «Inspiration») e il costume seicentesco con alamari de «La regina Cristina», che tanto riuscì a influenzare la moda degli anni 30. Poi ecco 100 abiti «privati» che vanno proprio da quegli anni 30 ai 70 e ancora pantaloni, camicie, cappelli (che adorava), pigiami, guanti, foulard e bauli-scarpiere. Tracce della leggendaria Mata Hari? «Ci abbiamo provato’ spiega Stefania Ricci – ma il collezionista che in un primo tempo aveva dato una certa disponibilità, non si è rivelato attendibile e abbiamo dovuto rinunciare».
Che eleganza esce da questa carrellata di vestiti e accessori? Un’eleganza dal taglio semplice, asciutto, con tessuti stupendi ma mai appariscenti, un piglio essenziale con dettagli (colletti, fiocchi) curati, ma senza concessioni alla vanità. Da lei ritenuta insopportabilmente «cheap». Lungo un percorso ricco di schermi con immagini dei suoi film di culto, di spazi che sembrano set cinematografici ma anche passerelle, si intuisce quanto la divina minimalista precorresse una tendenza diventata caratteristica di molti stilisti contemporanei. Sia nei colori sobri pur con qualche divagazione fuori tema (turchese, rosa shocking), sia nell’evidente riferimento androgino. Greta, che ebbe diverse parentesi con registi e attori ma amò soprattutto una donna, comprava camicie all’emporio militare, ordinava pantaloni da un sarto maschile e adorava girare in impermeabile anche quando c’era il sole.
Precorritrice nelle tendenze, dunque molto attuale. A partire dalla magrezza cercata con ossessione, soprattutto nei primi anni di Hollywood, dove (pur magra) fu messa sadicamente a stecchetto. Per continuare con la fantasia negli accostamenti senza stagione: cappotti di lana, sandali, cappelli di paglia. Per lei, svedese, il meteo non è mai stato un problema. Chi la indirizzò a questa educazione stilistica? Sulla scena il celebre costumista Adrian della Metro Goldwin Mayer. Poi il regista George Cukor, lo snobissimo Cecil Beaton, fotografo omosessuale che s’innamorò di lei, la stilista americana Valentina, Hubert de Givenchy, in diverso modo presenti nella mostra. Anche se fu soprattutto lei la designer anticonformista di se stessa. Imprevedibile negli umori, negli amori, come nel guardaroba. Ma sempre magnetica. Non a caso quando non potè più occuparsi di lei, il costumista Adrian, depresso, cambiò mestiere.
Gianluigi Paracchini