Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 24/02/2010, 24 febbraio 2010
I SEGRETI DELL’8 SETTEMBRE AMBIGUIT E INCERTEZZE
Sia l’ordine «111 C.T.» che la «Memoria 44o p», citati da Sergio Lepri in una lettera al Corriere, avevano l’obiettivo di allertare i comandi contro un possibile colpo di mano tedesco per ristabilire il regime fascista. Entrambi i documenti non solo non prospettavano alcun passaggio di fronte, ma non menzionavano neppure un possibile ritiro dell’Italia dalla guerra. Del resto la decisione di firmare l’armistizio fu presa dal re soltanto l’1 settembre pomeriggio e fino all’8 si continuò a pensare di poter tornare indietro, come è dimostrato dalla discussione durante il consiglio della corona del pomeriggio dell’8 settembre. Fino a quel momento continuò la collaborazione con i tedeschi per far fronte a un eventuale sbarco degli angloamericani. Ad avvertire le divisioni nei Balcani si pensò soltanto il 6 settembre, con il «promemoria n.2», che raggiunse soltanto poche unità, e perfino i generali convocati a Roma, come il generale Gambara, furono fatti partire l’8 settembre senza informarli dell’avvenuta firma dell’armistizio, ma con la sola raccomandazione di «evitare qualsiasi incidente – soprattutto di fuoco – con le truppe tedesche». Tale direttiva, derivante dall’illusione dei comandi e del governo di poter mantenere una posizione neutrale e così evitare la reazione tedesca, spiega a mio parere il disfacimento dell’esercito, salvo alcune importanti eccezioni.
Elena Aga-Rossi
eagarossi@gmail.com
Cara Signora, la sua lettera conferma la originalità del metodo con cui Sergio Lepri sta scrivendo «on line» la storia del 1943. Un lettore ha aperto la discussione sostenendo che il re e Badoglio avrebbero lasciato Roma senza impartire istruzioni alle forze armate. Lepri è intervenuto per ricordare che le istruzioni c’erano ed erano contenute in due documenti segreti inviati ai maggiori comandi nel corso dell’agosto. Lei interviene ora per chiarire lo scopo di quei documenti e circoscriverne l’importanza. Segnalo al lettore che lei è stata allieva di Renzo De Felice, è professore di Storia contemporanea all’Università dell’Aquila e ha lungamente studiato gli avvenimenti dell’8 settembre. Il suo libro sull’armistizio («Una nazione allo sbando»), apparso nel 2005 presso il Mulino e due volte aggiornato negli anni seguenti, è il risultato di minuziose ricerche in archivi pubblici e privati.
Come traspare dalla sua lettera, uno dei risultati più interessanti di questa ricerca è la constatazione dell’alto tasso di ambiguità e incertezza che ha caratterizzato la politica di Badoglio e del re durante il mese di agosto e la prima settimana di settembre. Sapevano che l’Italia non era più in grado di combattere. Ma non potevano ignorare che la Germania avrebbe reagito duramente alla notizia dell’armistizio. E non potevano escludere del tutto la possibilità che i tedeschi riuscissero a rovesciare le sorti della guerra. possibile che abbiano sperato, contro ogni razionale aspettativa, di potersi rifugiare in una sorta di neutralità. Ed è probabile che la decisione di partire sta stata presa frettolosamente quando Badoglio seppe che il generale Eisenhower avrebbe diffuso la notizia dell’armistizio con sei giorni di anticipo rispetto alla data concordata.
Come in tutti i fatti storici particolarmente controversi, anche nella vicenda dell’8 settembre esiste una zona avvolta dalla nebbia che nessun documento riuscirà a illuminare. lì che si nascondono le conversazioni confidenziali, le intenzioni, i calcoli segreti: un materiale che i protagonisti, molto spesso, portano con sé nella tomba.
Sergio Romano