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 2010  febbraio 24 Mercoledì calendario

LA SCUOLA CHE CONTINUA A DIVIDERE L’ITALIA

La scuola dei divari incolmabili: Nord e Sud, italiani e stranieri, licei e istituti professionali. Delle opportunità diverse e delle iniquità evidenti. Degli abbandoni, degli edifici da sistemare, della parità negata. Sembra il libro Cuore, ma non è il 1888. il sistema di istruzione datato 2010. Che arranca nelle classifiche internazionali ma costa allo Stato quasi 60 miliardi di euro. Che non riesce a garantire a tutti lo stesso successo formativo e rincorre le nuove tecnologie. Luci emolte ombre. la fotografia scattata dalla Fondazione Giovanni Agnelli. Nel «Rapporto sulla scuola in Italia 2010».
Sotto la lente
Dagli insegnanti (nel 2009) alle fratture che attraversano il sistema scolastico fino ai suoi costi (nel 2010). Su questi elementi si è concentrato il lavoro della Fondazione Giovanni Agnelli. Uno studio durato un anno intero. Con i ricercatori impegnati a individuare le caratteristiche di un sistema rigidamente unitario e nello stesso tempo frammentato, con differenze sostanziali da regione a regione. Proposte e spunti di riflessione. E un nuovo obiettivo: un federalismo che rimuova i ritardi di apprendimento e dimezzi gli abbandoni dopo la scuola dell’obbligo.
La scuola delle differenze
Digitali, di genere, di indirizzo, socioculturali, etniche, territoriali. Ecco le differenze critiche della scuola italiana. L’esempio che meglio definisce la gravità del problema: a parità di età e di istituto frequentato, uno studente del Nord vanta 68 punti Pisa (Program for International Student Assessment, rappresentano il sistema internazionale di valutazione dell’apprendimento dei giovani) in più rispetto al suo « omologo » del Sud. come se un ragazzino di Salerno fosse in ritardo di un anno e mezzo rispetto al suo coetaneo di Brescia. Come se non bastasse, un terzo dei quindicenni del Mezzogiorno non raggiunge la soglia minima delle competenze stabilite dalla comunità internazionale.
Una scuola divisa in un’Italia divisa. Dove i bambini di pomeriggio comunicano attraverso i social network e, la mattina in classe, utilizzano metodi di studio dello scorso secolo. Dove i docenti non sanno usare il computer e le pari opportunità sono raramente garantite. Ma se per i divari tecnologici il cambiamento è possibile, «non è confortante dover segnalare’ dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli’ quanto poco la scuola italiana riesca a contrastare le disuguaglianze sociali».
La forma di esclusione più recente: quella che colpisce i figli degli immigrati, l’8% della popolazione scolastica. L’emergenza: l’abbandono dopo l’obbligo. Il 20% dei ragazzi tra i 20 e i 24 anni non ha terminato le superiori. Uno su cinque, ben oltre la media europea. L’identikit di chi lascia: maschio, spesso straniero, con retroterra socioculturale svantaggiato.
Efficacia, efficienza, equità
Sono le parole chiave individuate dalla fondazione Giovanni Agnelli per migliorare il sistema scolastico italiano. Partendo da un presupposto: è fondamentale scardinare i vecchi schemi legati alla selezione degli indirizzi. Perché ancora oggi i figli dei genitori benestanti o più istruiti fanno il liceo e hanno maggiore successo scolastico, mentre chi arriva da ambienti meno favorevoli si iscrive all’istituto tecnico o professionale, «una divisione contraria a qualsiasi forma di merito». E qui nasce una delle proposte avanzate dalla Fondazione: evitare che il destino dei ragazzi sia determinato già a 14 anni, ma creare un percorso comune che rimandi la scelta a un momento successivo. Gavosto continua: «Se certe decisioni potessero essere prese a 16 anni, sarebbero più ponderate e, soprattutto, autonome».
I costi
Tutti i divari hanno un costo. Soprattutto nella scuola. Nel 2007 la spesa pubblica per l’istruzione è stata pari a circa 60 miliardi (il 3,4% del Pil) di cui 43 a carico dello Stato, 10 degli enti territoriali e 5,4 per affitti figurativi del patrimonio edilizio (che la Fondazione valuta in oltre 100 miliardi). Complessivamente, l’Italia spende 6.620 euro per studente, più della media Ocse (e con risultati peggiori) e con differenze regionali importanti: dai 9.915 euro del Trentino Alto Adige ai 5.834 della Puglia («cifre che dipendono non da ragioni arbitrarie ma da scelte che il Paese ha fatto in materia di politiche scolastiche»). Un costo che si può ridurre, certo (anche in seguito al calo degli studenti al Sud). «Purché’ precisano dalla Fondazione – il denaro risparmiato sia reinvestito in formazione degli insegnanti, in nuove tecnologie, in edilizia (per quest’ultima voce servono almeno 7 miliardi)».
Federalismo, una proposta
Dallo studio dei paradossi dell’istruzione arriva una tra le proposte più interessanti della Fondazione: applicare il federalismo alla scuola. Non tanto per abbattere la spesa’ obiettivo che, viene fatto notare, è già stato raggiunto dal ministero (come dimostra una simulazione) – quanto per responsabilizzare le Regioni «nel raggiungimento di alcuni traguardi formativi». Magari con un patto personalizzato. «A quel punto, sarà lo Stato – conclude Gavosto’ a sorvegliare i progressi fatti». Uno spunto per il governo. E un ultimo auspicio: «Per superare i suoi ritardi, la scuola italiana dovrà concentrarsi sull’efficacia della sua azione e sull’equità della sua offerta. I fatti ci dicono che oggi è possibile. Anche attraverso il federalismo scolastico». Ma a una condizione: «Non si dimentichi la centralità degli insegnanti. Devono essere coinvolti e incoraggiati. Un obiettivo difficile: il disagio professionale dei docenti aumenta di anno in anno».
Annachiara Sacchi