Sergio Rizzo, Corriere della Sera 24/02/2010, 24 febbraio 2010
LA MALAPIANTA DEL DENARO
Le accuse dovranno naturalmente essere provate. Ma nella vicenda che ha portato i magistrati a chiedere 56 arresti disorientano l’incredibile ramificazione degli attori e le dimensioni del presunto riciclaggio, con ingranaggi ben innestati nella criminalità organizzata e perfino nella politica. Una fotografia, va detto, scattata qualche anno fa, quando le più recenti disposizioni contro il denaro sporco non erano ancora state approvate. L’impressione è comunque quella di un mondo nel quale i capitali mafiosi, come quelli dei trafficanti di droga o d’armi, possono penetrare in ogni fessura, come l’acqua.
Al punto che viene da domandarsi se un Paese come l’Italia, dove le cosche arrivano a controllare intere fette di territorio, e l’economia irregolare o illegale è un terzo del reddito nazionale, faccia davvero tutto quello che dovrebbe fare. Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha dichiarato guerra ai paradisi fiscali introducendo l’inversione dell’onere della prova: ora è chi esporta i capitali a doverne dimostrare la provenienza lecita. Sacrosanto. Nelle intenzioni dichiarate del governo anche lo scudo fiscale si inseriva in questa logica. Mario Draghi, però, non aveva nascosto le sue preoccupazioni chiedendo al Tesoro di chiarire gli obblighi antiriciclaggio imposti alle banche per il rientro dei capitali. Chiarimento arrivato nei giorni scorsi, mentre il governatore definiva il numero delle segnalazioni (50) arrivate finora dagli intermediari «esiguo». l’aggettivo giusto? Le operazioni di rimpatrio sarebbero state circa 100 mila, mentre le segnalazioni antiriciclaggio arrivate nel 2008 alla Banca d’Italia sono state 14.602: su oltre 100 milioni di operazioni bancarie.
Nelle regole c’è sempre qualcosa da rivedere. Draghi chiede un testo unico e più sanzioni. L’ex procuratore antimafia Pier Luigi Vigna auspica addirittura una legge che conceda sconti ai pentiti. Ma che ne sarà delle 50 segnalazioni, e che ne è stato delle altre 14 mila? Ci saranno indagini accurate e sanzioni esemplari? Qualcuno pagherà, questa volta con il carcere vero? O finirà ogni cosa, come spesso accade, a tarallucci e vino?
Perché la domanda cruciale è la seguente: vogliamo davvero vincere questa guerra? Se la risposta è sì, e non può che essere quella, allora ci si deve rimboccare le maniche. ora di dare segnali chiari e decisi. Oltre a rendere più stringenti le regole, di sicuro bisogna ottenere che in Europa tutti i Paesi si impegnino a tappare i buchi, anche i più piccoli, che ancora esistono nell’Unione: dove i capitali possono andare dappertutto, imitando l’acqua, mentre le banche di un Paese come l’Austria pubblicizzano sui loro depliant la garanzia costituzionale del segreto bancario.
Non solo. necessario anche intervenire senza pietà sui legami poco chiari fra una certa politica, un certo mondo degli affari e gli ambienti fangosi che li circondano. Vanno ripristinate linee di confine morali diventate ormai impercettibili. Perché i fatti delle ultime settimane ci raccontano un’Italia dove si sta tornando pericolosamente a respirare il clima degli anni bui. Un’Italia nella quale, diciamo la verità, le persone perbene hanno sempre più difficoltà a riconoscersi.
Sergio Rizzo