A.B., La Gazzetta della Sport 25/2/2010, 25 febbraio 2010
ROCHETTE TERZA CON LA MORTE NEL CUORE
VANCOUVER Provate a mettervi nei suoi pattini. Provate a ricordare come vi siete sentiti quando vi è venuto a mancare uno dei vostri affetti più cari. Un genitore, un fratello, un amico vero. Provate a visualizzare quel mondo vuoto. E poi rendetevi conto di quel ha fatto Joannie Rochette. Lei, canadese e un’Olimpiade in Canada. Pensava a questa gara dal 2003, Joannie, dal momento in cui attribuirono a Vancouver l’organizzazione dei ventunesimi Giochi invernali. Aveva 17 anni. Poi giorni, mesi e stagioni con in testa solo un obiettivo. Con in mezzo alti e bassi, è ovvio: mal’ultimo periodo va bene, va alla grande. Tanto che miss Rochette, in una gara durissima, si presenta tra le favorite al podio. Ma domenica mattina, quando l’emozione comincia a farle mancare il fiato, l’orizzonte di colpo si capovolge. Mamma Therese, appena arrivata in città, è stroncata da un infarto. Commozione E’ papà Normand a informarla: Joannie decide di continuare. Mamma avrebbe voluto così. Si allena altri due giorni: corone di fiori e tripli lutz, funerale e sequenze di passi. Poi va in gara. E’ come in trance. Il volto, a centro pista, è una maschera di tensione. Le luci delle telecamere di tutto il mondo sono sui suoi occhi. Ma la ragazza pare imperturbabile. Pattina divinamente, pattina come mai ha fatto. Centra addirittura il personale. E’ terza, splendidamente terza. Meglio fanno solo Yu-Na Kim, che lima il proprio record del mondo e Mao Asada. Alla fine del programma, le lacrime che aveva dentro da giorni, sgorgano copiose. E noi 14.200 del Pacific Coliseum piangiamo con lei. Joannie si batte una mano sul cuore, abbraccia gli allenatori, resta impietrita sul kiss & cry. Il pattinaggio di figura è finzione? Non qui. Non stasera. Non adesso.