Angelo Varni, Il Sole-24 Ore 24/2/2010;, 24 febbraio 2010
ANDREA COSTA, IL RIFORMISTA OSTINATO
Ci sarà anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopodomania Imola per portare solenne e autorevole testimonianza di adesione del paese alle celebrazioni organizzate dalla città natale di Andrea Costa per il centenario della morte. Uno dei padri fondatori del socialismo italiano: di quel socialismo denso di tutti gli umori di una società profondamente arretrata e alla ricerca di un concreto cammino di emancipazione a favore del mondo del lavoro, anche a scapito della rigorosa e coerente elaborazione di un’univoca linea teorica.
Nella sua biografia, infatti, di appassionato cultore del mito garibaldino, prima, di agitatore anarchico, poi, di primo deputato socialista e di amministratore municipale, in seguito, fino all’ultima carica da lui ricoperta di vicepresidente della Camera dei deputati, stava tutta la traiettoria di chi intendeva guidare le masse popolari dentro il processo unitario e farle partecipi della realtà istituzionale democratica nata dal Risorgimento.
Quando, dunque, nel 1879, dopo aver patito esilio e prigionia in Italia e all’estero, Costa scrisse la famosa
Lettera agli amici di Romagna, solitamente vista quale punto di passaggio dal rivoluzionarismo spontaneista all’impegno nella concreta lotta sociale volta a migliorare passo dopo passo le condizioni di vita degli emarginati, non vi fu in lui alcuna abiura delle precedenti scelte.
Era l’imporsi di un "riformismo" fatto di organizzazione partitica e sindacale, di leghe, di cooperative, di battaglie elettorali nei Comuni, di confronti legislativi nel Parlamento, con la convinzione, però, che si trattasse di operare a fianco di ceti lontani dalle condizioni materiali che, in altri paesi, stavano consentendo un simile articolato progredire e quindi impossibilitati ad abbandonare gli empiti ribellistici e le scomposte utopie di totale rivolgimento dell’esistente. Che rappresenta, poi, il dramma costante e insuperato del riformismo italiano: lo stesso che sempre ha coinvolto i gruppi dirigenti nei momenti in cui cercarono di dare uno stabile e moderno assetto allo Stato sorto dopo aver raggiunto l’unità.
Anche questi, infatti, si trovarono da subito a fare i conti con programmi di modernizzazione da contrattare di volta in volta con i settori più arretrati di un conservatorismo disponibile ad accettare gli ordinamenti liberali e la dialettica della società capitalistica. Così la più rigida centralizzazione si sostituì ai necessari equilibri di un decentramento auspicato dal migliore liberalismo; l’occhiuto e poliziesco controllo delle tensioni sociali prese il posto di una corretta valutazione delle istanze del proletariato; l’oppressiva fiscalità tagliò corto nei confronti di un meditato accumulo del risparmio; il clientelismo localistico spense le speranze di ragionati interventi a favore dei territori più svantaggiati.
Eppure, nonostante tutto ciò, il paese seppe a fatica crescere e questo avvenne proprio perché uomini come Andrea Costa, sull’una e sull’altra sponda delle contrapposte ideologie, riuscirono a trovare spazi di dialogo per realizzare programmi riformatori, sempre ferocemente contrastati, eppure capaci di tanto in tanto di guardare alle fasi di sviluppo sociale ed economico raggiunte dalla migliore civiltà democratica europea. , in fondo, la storia dei nostri 150 anni unitari: dal connubio cavouriano all’ambiguo trasformismo di Depretis, dal giolittismo all’ingresso dell’Italia nelle istituzioni europee, su su all’Italia repubblicana.