Marco Ansaldo, La Stampa 24/2/2010, pagina 50, 24 febbraio 2010
NIENTE VELO SONO UNA SCIATRICE
Le ultime foto di una donna iraniana sugli sci risalgono ai tempi in cui "Oggi" e "Gente" si interessavano alle settimane bianche di Farah Diba, la moglie dello Scià. Marjan Khalor, che ha 21 anni, era lontana dal nascere. Probabilmente non sa neppure che è esistita una Imperatrice. Lei appartiene a un altro Paese che non si vuole più chiamare Persia e che l’ha mandata a Vancouver con una scelta che sembra contraddittoria: se l’attuale regime islamico è così radicale nel delimitare il ruolo della donna nella società suona curioso che permetta a una di loro di partecipare alle Olimpiadi invernali, come non era mai successo nella storia. Oggi Marjan esordirà nello slalom gigante nonostante una botta al braccio e alla testa che ha fatto temere il forfait. Il suo clan, di cui è leader il fratello Rostam, ex nazionale e ora tecnico, dice che ce la farà. «Lo devo anche alle donne del mio Paese - spiega con sguardo timido -. Voglio che sappiano che quando si vuole una cosa la si può fare. Non è vero che siamo emarginate nello sport, si fa tutto nei modi dovuti».
«Le donne praticano ogni disciplina - interviene Payam Nazar, che si presenta come fotografo ma poi scopriamo che è un dirigente federale -. L’unico limite è nel nuoto perché non possono stare in piscina con gli uomini». Una volta non potevano neppure sciare sulle stesse piste ma la separazione è caduta perché era necessario spingere il turismo. Certe regole però restano immutate: al villaggio degli atleti si dice ad esempio che in realtà l’iraniana, oltre a vestire sempre con il velo della tradizione islamica, quando smette la tuta di gara non si spoglia mai davanti agli estranei, neppure se sono donne. Sull’argomento si glissa.
La Kalhor racconta che scia da bambina, a Dizin, dove è normale farlo. «In famiglia - rivela - sciamo tutti, anche mia sorella Mitra fa le gare. Siamo gente di montagna. Io mi alleno nell’area dello Shamshak, a più di 3 mila metri di quota. Ci sono 15 seggiovie e i campi da sci sono più in basso. Sono molto frequentati: in tutto l’Iran ci saranno 15 mila sciatori ma appena un centinaio fanno le gare e meno di dieci sono professionisti». Lei lo è da 5 anni, da quando vinse giovanissima un bronzo in Turchia, seguito due anni dopo da un oro e un argento in una gara asiatica nel Libano. Un pool di aziende («ma non quelle di tappeti - precisa - perché da noi li fanno gli artigiani») sovvenziona la Federazione, la fornitura tecnica arriva dall’Europa. Il limite è nella qualità delle competizioni e degli allenamenti. «Non frequento la Coppa del Mondo perché costa troppo così le mie esperienze sono la decina di gare internazionali che si organizzano ogni anno da noi, più un paio in Armenia e in Turchia. Mi manca il confronto con le più forti, per questo mi piacerebbe allenarmi in Italia. Comunque sono felice così. Il momento più bello è stato l’anno scorso ai Mondiali in Val d’Isère, il primo grande avvenimento della mia vita». Non arrivò in fondo al gigante né allo slalom però prese i punti per la qualificazione Olimpica. «E qui è stato un grande onore portare la bandiera del mio Paese nella cerimonia inaugurale».
Suo fratello, l’allenatore-custode che confessa di girare le spalle alla pista quando lei scende perché non regge l’emozione, non si sbilancia sugli obiettivi, nel clan però prevedono un piazzamento tra il 40º e il 50º posto. In Iran è già popolare come un calciatore. «Non ho un traguardo - dice lei -, voglio arrivare davanti alle concorrenti del mio livello: sono qui come rappresentante di una nazione e darò tutto per il suo prestigio. La difficoltà più grave è che la neve da noi è molto più ghiacciata e fatico ad abituarmi a quella canadese». Marjan smentisce di portare il velo anche in gara. «Non c’è bisogno. Nello sci sono completamente vestita quindi non vado contro la religione. Fuori dalle gare invece rispetto la tradizione». Non dice se il mondo che le si è aperto davanti le piace più di quello suo. Resta il dubbio. «Io sono felice di essere qui - conclude - Tornerò a casa con le fotografie fatte insieme alla Vonn, alla Paerson e soprattutto alla Zettel che trovo tecnicamente insuperabile. Sono state gentili, mi hanno trattata da collega. Per il resto vale quello che ho detto a mia madre, che è rimasta a casa perché non aveva i soldi né il cuore saldo per seguirmi qui: prega per me».
Marco Ansaldo