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 2010  febbraio 18 Giovedì calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "ANGIONI

FRANCO"

Ed è anche pubblicità l’annuncio dell’embargo petrolifero alla Serbia. La misura fu già attuata nel 1991-95, al tempo della guerra di Bosnia, e originò un contrabbando capillare che si snodava per tutte le viuzze, i fiumetti, i porticcioli attraverso i quali la Serbia venne rifornita da Ungheria, Bulgaria, Macedonia, Grecia. Fu in quell’occasione che il generale Franco Angioni, all’epoca comandante della Forza mobile della Nato, disse ” difficile bloccare un’isola. Figuriamoci un paese che ha cinque frontiere terrestri e un fiume grande come il Danubio”. Quattro anni dopo la situazione è la stessa».
Fonte: Roberto Fabiani, L’Espresso 06/05/1999

Fiorello ha detto di Bertolaso che ha 106 controfigure. Guida l’auto del Papa facendosi largo tra la folla giubilare di Tor Vergata (e nel 2005 si occuperà dei funerali). Accompagna il generale Angioni ad affrontare i gommoni albanesi in Adriatico.
Fonte: Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 13/12/2008

«In tutte le guerre i servizi segreti cercano di comprare qualcosa», dice Franco Angioni, il generale dei parà che nel 1982 guidò le missioni in Libano. normale che gli agenti segreti offrano soldi? «Dobbiamo fare una distinzione fra guerre tradizionali e guerre asimmetriche, come quella in corso in Afghanistan. Nelle guerre tradizionali i servizi segreti nel 95 per cento dei casi cercano di comprare informazioni utili. E a volte anche operazioni militari. Questo è possibile perché il nemico ha una gerarchia e una disciplina. Ma nelle guerre moderne non è più possibile». Cosa è cambiato? «Anzitutto non si sa chi sia il nemico. Si ha a che fare con tanti piccoli gruppi. Da ognuno di loro si possono comprare informazioni, ma non operazioni, non la sicurezza di essere al riparo da attacchi. Nessuno è in grado di dare garanzie. Anche se pago tutti i gruppi ci può essere sempre il cane sciolto che compie un attentato». Quindi lei non crede che i servizi italiani abbiano pagato i talebani? «Il mondo dei servizi è oscuro e non saprei dire. Però, se offrire aiuto alla gente, medicine, viveri, protezione per conquistare la fiducia, se tutto questo significa comprare, allora dico che è doveroso comprare. E se ce lo rimproverano, non ci fa né caldo né freddo». Anche durante le missioni in Libano si parlò di pagamenti. «Fu una cosa ignobile. Si disse che Andreotti, grazie ai suoi buoni rapporti col mondo arabo, aveva in pratica fatto comprare la tranquillità per il contingente italiano. Ma nessuno spiegava come mai gli americani, che disponevano di notevoli somme, subirono sanguinosi attacchi, e come mai i francesi ci rimisero 89 uomini. Qualcuno non gradì il fatto che a noi fosse andata bene e disse che avevamo comprato il nemico». Secondo lei, un contingente militare che viene di colpo catapultato in mezzo a gente ostile, in un ambiente infido, come deve comportarsi? «Posso raccontare come ci siamo comportati noi in Libano. E lo dico con un certo orgoglio perché ho sentito di recente un generale americano, Petraeus, sentenziare che bisogna parlare con il nemico. Per me ha scoperto l’acqua calda». Nel senso che per voi era una pratica normale parlare col nemico? « la prima cosa da fare. Appena arrivato in Libano mi son fatto indicare i capi delle varie fazioni, tutti quelli che potevano nutrire ostilità nei confronti delle forze multinazionali. Ho parlato a quattr’occhi con ciascuno di loro. Ricordo che il primo fu l’erede del famoso imam Musa al-Sadr scomparso nel nulla durante un viaggio fra Libia e Italia. Dissi: noi vogliamo essere vostri amici, proteggervi, ma dovete far sparire le armi. Lui disse: noi nasciamo con le armi in mano. Allora, dissi, nascondetele. Quando vide che toglievamo le armi a un cristiano maronita, diede ordini agli sciiti di circolare disarmati». Lei diceva che anche gli americani cominciano a convincersi che è necessario parlare col nemico. «Gli americani sono manichei: noi siamo i buoni, loro sono i cattivi e vanno picchiati e basta. Non è così. Con un certa amarezza vedo che solo adesso qualche generale si è accorto dell’opportunità di coinvolgere la gente. Si fossero comportati così dall’inizio, le cose in Afghanistan sarebbero andate in modo diverso».
Fonte: Marco Nese, Corriere della sera 16/10/2009