Sergio Rizzo-Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 13/02/2010, 13 febbraio 2010
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Svizzera
«SPIRITO DI SOLFERINO» ADDIO. ORA CONTANO DI PIU’ LE TESSERE
«Tutti fratelli!» strillavano indaffarate le donne di Castiglione delle Stiviere improvvisandosi infermiere. «Tutti fratelli!» era il grido che risuonava fra i giacigli insanguinati in quell’ inferno di fango e budella e puzzo di morte. Ma che cosa è rimasto oggi dello «Spirito di Solferino», come lo chiamano le donne e gli uomini della Croce rossa internazionale? La dedizione disinteressata e spesso eroica di volontari che rischiano la vita propria per salvare quella altrui oppure una futura società per azioni affidata anch’ essa alle competenze, oggi nella bufera, di Guido Bertolaso? Perché l’ ultima tappa di questa lunga storia è questa: il decreto che istituisce la «Protezione civile spa» fa scivolare anche la Croce rossa italiana nell’ orbita del potentissimo e discusso maxi-contenitore. Il tutto dopo una serie di ribaltoni dovuti praticamente sempre al colore della tessera politica. L’ ultimo, a novembre 2008. Quando l’ allora presidente Massimo Barra viene sostituito da un commissario nominato dal governo Berlusconi. E’ un avvocato penalista romano con un passato nel volontariato, ex capo dipartimento della Croce rossa, stretto collaboratore del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Francesco Rocca, il prescelto, si presenta così: «Negli ultimi anni è prosperata una piccola casta che teneva i fili dell’ ente. Con me non sarà più tollerata». Passano tre mesi e arriva come portavoce Tommaso Della Longa, che ha una storia da dirigente di Azione giovani, organizzazione giovanile dell’ ex An. Altri sei mesi e sulla presidenza della Sise, la società siciliana della Croce rossa che gestisce il servizio ambulanze nell’ isola, atterra Alessandro Ridolfi, ex braccio destro dell’ ex governatore del Lazio Francesco Storace che da ministro della Salute gli aveva affidato la direzione dell’ Agenzia per i servizi sanitari regionali. Senza dire che, tre mesi prima, fra i sindaci revisori della Sise è spuntato un certo Mauro Maritati, dal 2006 amministratore unico della Ciak servizi, una società di proprietà di Rocca. Tutte scelte indipendenti dalla tessera? Ci mancherebbe... Auguri. Ma certo si fa fatica a credere che Henry Dunant avesse fondato la Croce rossa per farne un posto dove sistemare volta per volta amici del governo in quel momento in carica. Era un rampollo della ricca borghesia ginevrina, che passava per caso a Solferino. Da mesi rincorreva Napoleone III per parlare di affari della sua famiglia in Algeria e pur di raggiungerlo si era avventurato sui campi di battaglia. Ciò che vide in quei giorni terribili del 1859, raccontato poi in Un souvenir de Solferino, avrebbe cambiato per sempre la vita sua e di gran parte dell’ umanità: «Il campo di battaglia è coperto dappertutto di cadaveri e di carogne; le strade, i fossati, i dirupi, le macchie, i prati sono disseminati di corpi senza vita, e gli accessi di Solferino ne sono letteralmente punteggiati. Di tratto in tratto si incontrano pozze di sangue... Gli sventurati feriti che sono raccolti durante la giornata sono pallidi, lividi, annientati. Alcuni, e in special modo quelli che sono stati gravemente mutilati, hanno lo sguardo ebete e sembrano non comprendere quello che si dice, fissando con occhi sbarrati chi rivolge loro la parola. Altri sono inquieti e agitati da un tremito convulso, in stato di collasso nervoso; altri ancora, con le piaghe aperte su cui ha già cominciato a svilupparsi l’ infezione, sono come pazzi di dolore, e chiedono d’ essere finiti, e si torcono, con il viso contratto, negli ultimi spasimi dell’ agonia...». Alla creazione di una forza di soccorso al di sopra delle fazioni, a dire il vero, ci aveva già pensato un ufficiale medico dell’ esercito borbonico, poi parlamentare del Regno d’ Italia, Ferdinando Palasciano. Il quale durante i moti di Messina del 1848 aveva invocato lo spirito umanitario per soccorrere anche i ribelli feriti: rischiata la fucilazione, se l’ era cavata con un anno di galera a Reggio Calabria. Invece Dunant, dopo aver percorso l’ Europa in lungo e in largo cercando sostegni, riuscì nell’ intento. La Convenzione di Ginevra venne firmata l’ 8 agosto 1864 e così nacque anche la Croce rossa. Fu una soddisfazione di breve durata. Un avvocato svizzero, Gustave Moynier, co-fondatore dell’ organizzazione, prese in mano tutto e lo estromise. Dunant, che aveva dedicato all’ impresa ogni energia fisica ed economica, riprese a girovagare per l’ Europa e alla fine, ridotto praticamente in miseria, si ritrovò in un ospizio. Un giornalista scoprì la storia, la raccontò, restituì a Dunant l’ onore. Al punto che il nostro fu il primo a vincere il premio Nobel per la pace, nel 1901. Morì comunque quasi dimenticato nel 1910 più o meno contemporaneamente all’ acerrimo rivale Moynier. Il più longevo capo che l’ organizzazione abbia mai avuto: 46 anni di fila. E l’ Italia? Qui la Croce rossa venne alla luce prima ancora della Convenzione di Ginevra, nel giugno 1864, a Milano, grazie all’ iniziativa di un comitato fondato dal medico Cesare Castiglioni. Peccato che lo «Spirito di Solferino» sia stato interpretato poi, diciamo così, all’ italiana. Il principio fondamentale di questa organizzazione immensa, che ha nel mondo 120 milioni di aderenti e 186 diverse strutture nazionali, è l’ indipendenza? Bene: noi siamo riusciti a farne un ente pubblico soggetto agli umori della politica. Cominciò il fascismo, ha continuato la Repubblica. Perché? Il meccanismo del corpo militare, una delle varie strutture della Cri, rende l’ idea. I suoi iscritti sono volontari che dopo essersi formalmente arruolati per essere subito congedati, possono essere richiamati in servizio (e stipendiati) a discrezione dei vertici dell’ ente. Risultato: «Quella che poteva essere una specie di utilissima riserva della Repubblica da impiegare per le emergenze, o le calamità, negli anni si era trasformata in una specie di ufficio di collocamento per raccomandati», dice Barra. In 3000 sarebbero entrati così, senza concorsi, senza graduatorie... Dopo varie polemiche, quel meccanismo è ora sterilizzato. Ma la legge del 1936 che aveva reso possibile la follia è ancora viva: scampata anche al decreto taglia-leggi inutili di Roberto Calderoli. Non si sa mai: potrebbe ancora servire. Barra ha invece dovuto fare le valige: non era più in linea. Misteri dell’ «indipendenza» della Cri. Il presidente, in base alle regole internazionali, dovrebbe essere eletto dai soci. Siccome però l’ organizzazione è un ente pubblico che prende soldi dallo Stato (nemmeno pochi: 134 milioni di euro dal servizio sanitario nel 2008) ed è controllata dalla Corte dei conti, può essere commissariata. Risultato: dal dopoguerra a oggi ha avuto molti commissari, nominati spesso secondo logiche di pura lottizzazione, e solo un paio di presidenti eletti. E al posto di commissario si sono alternati burocrati, politici in servizio permanente effettivo o personaggi destinati a buttarsi in politica, come Maurizio Scelli, oggi deputato del Popolo della libertà dopo avere organizzato come fondatore del movimento «Italia di nuovo» un leggendario incontro con il Cavaliere a Firenze salutato da Massimo Gramellini con leggiadra ferocia: «I suoi giovani hanno svuotato il Palasport in ogni ordine di posti». L’ interesse storico della politica è facilmente comprensibile. La Cri italiana ha 149 mila soci e 5.700 dipendenti. In alcune regioni gestisce servizi cruciali per la sanità, come il servizio 118. In Sicilia controlla la Sise, Siciliana servizi emergenza. Che non è sfuggita alla logica di molte società pubbliche. In un suo rapporto la Corte dei conti ha raccontato che era stata riempita di «personale volontario, lavoratori socialmente utili, precari a vario titolo, senza l’ esperimento di alcuna procedura selettiva». Quanti portantini e autisti? Ben 3.009. A cui andavano aggiunti 301 amministrativi. Il doppio del personale della Croce rossa addetto al «servizio trasporti infermi» in tutte le altre regioni italiane: 1.650 persone. Una stortura. Ma non la sola. Basti ricordare un rapporto dell’ ottobre del 2006. Dove un ispettore della Ragioneria dello Stato, Mario Guida, scriveva che quasi la metà delle autoambulanze in servizio aveva «più di vent’ anni» e aveva fatto «più di 250.000 chilometri». Ma che lui stesso aveva contate 28 autoblu (dopo una rapida dieta: 3 mesi prima ne figuravano 40!) a disposizione del presidente, del vicepresidente e dei vertici del Comitato centrale.
Sergio Rizzo Gian Antonio Stella