frammenti vari, 11 febbraio 2010
Tags : Eraldo Affinati
FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "AFFINATI
ERALDO"
2000
"Salvate sì, gli antichi locali, ma come fossero una Pompei della letteratura e del gusto...gli scambi, gli scontri e gli incontri tra chi legge e chi scrive sono emigrati in un altro luogo, su Internet, lì ci sono le nuove correnti di stile e pensiero, senza barriere, aperte a tutti", così lo scrittore Eraldo Affinati (Maria Novella De Luca sulla Repubblica del 28/10/2000).
2008
Il problema, per Eraldo Affinati (prof-scrittore che alla sua scuola, la Città dei Ragazzi, ha dedicato l’ultimo libro), sta ancora più a monte. «Definire con un numero la preparazione è sempre una convenzione tra studente e docente. L’importante non è il 4 o il 6, ma questo patto segreto; la percezione del voto non dev’essere matematica, il giudizio va argomentato, l’oggettività è illusoria. Ai ragazzi va spiegato che il voto è solo l’esito finale di un percorso educativo complesso. E il "4 politico", in questo senso, è una finta soluzione» (Gabriela Jacomella, Corriere della Sera 23/4/2008)
2009
Sembra quasi più ottimista Eraldo Affinati, che pure oggi insegna per lo più a ragazzi orfani ed extracomunitari (su questa sua esperienza si basa il libro La città dei ragazzi). «Non credo esista una generazione peggiore di un’altra. Se quella di oggi sembra inafferrabile, è perché c’è stata una mutazione antropologica. Una volta l’abitudine a leggere un libro dall’inizio alla fine produceva una mentalità diversa. Oggi il meccanismo conoscitivo è più frammentario ma, magari, davanti allo schermo di un computer questi ragazzi mostrano una creatività inaspettata. Oppure mi è capitato che proprio il peggiore teppista, portato a fare volontariato alla Caritas, si mostri a sorpresa il più sensibile ai problemi altrui. Bisogna guardare agli individui, diffidare dei sociologismi». Ma i bulli di una città come Roma sono diversi, per esempio, da quelli di provincia? «Non credo. Ormai, anche in questo, si è realizzata l’omologazione dei comportamenti che Pier Paolo Pasolini aveva profetizzato» (Giorgio Ieranò, Panorama, 19 marzo 2009)
«Non bisogna parlare di ”autorità” quanto di ”autorevolezza”. Perché un vero insegnante dovrebbe instaurare un rapporto affettivo con i ragazzi proprio per raggiungere obiettivi non percepiti come traguardi amministrativi ma come momento di crescita» (Paolo Conti, Corriere della Sera 13/6/2009).