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 2010  febbraio 09 Martedì calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "ADAMI

VALERIO"

2004
Per caso, per esempio, Adami di ritorno da Roma aveva detto a Marconi: «Ma perché non prendi Schifano? uno bravo». « bravo sì, purtroppo è legato con un contratto a vita alla Sonnabend. Figurati se me lo molla». «Ma no. Guarda che a Roma mi hanno detto che Schifano ha rotto con la Sonnabend» (Corriere della Sera magazine, 02/12/2004)

2009
«Valerio Adami che è un vetrinista, una metastasi di Liechtenstein» (Achille Bonito Oliva su Valerio Adami) (Lea Mattarella, La stampa 04/07/2009)

ADAMI VALERIO Bologna 17 marzo 1935. Pittore. Le sue opere sono caratterizzate da campi uniformi in acrilico separati da forti contornature nere (tipo cartoons) • «Wagner scriveva il libretto e solo in seguito componeva la musica. Così io creo il disegno e poi lo riempio di colore. Il disegno sta alla parola come il colore al suono. Se il disegno delinea un pensiero, il colore, come la musica, offre temperature emotive» (scheda 150093 ARTISTI PER LAURETTA)

ADAMI Valerio Bologna 17 marzo 1935. Pittore. «[...] è un artista che racconta. La sua pittura (e i disegni, naturalmente) è lettura, scrittura, narrazione del mondo. E della vita, intesa come rappresentazione del mondo, sintagma tracciato nello spazio d’una rappresentazione collettiva che tutti viviamo. I suoi quadri si possono guardare come scene d’un teatro dove si sviluppa la nostra storia, una pièce che noi, al tempo stesso, guardiamo e viviamo e che occorre interpretare e decifrare. Di questa rappresentazione l’artista dà qualche traccia privilegiata che i suoi occhi vedono o che la sua memoria conserva; frammenti d’un tutto di cui dobbiamo riempire le assenze per ritrovare un senso che ci sfugge. Come un rebus, un enigma, una sciarada. In questo senso l’opera di Adami è estremamente rappresentativa del nostro tempo, d’una cultura in cui circola l’idea della conoscenza (o della formulazione conoscitiva) frammentaria di Nietzsche come l’idea dell’epifania joyciana, il sentimento dell’assurdo di Kafka, la pluralità dell’essere di Pessoa; la varietà d’infinite combinazioni basate su alcune variazioni nella musica di Schönberg come nella pantomima diretta da un invisibile regista nel teatro di Beckett» (Antonio Tabucchi, ”Corriere della Sera” 25/3/2006). «Dal cromatismo intenso e dal segno incisivo» (Leonetta Bentivoglio) «Si forma all’Accademia di Brera a Milano, e agli anni di studio fa seguire soggiorni in Inghilterra e in Francia, negli anni in cui forme espressive come il fumetto, la pubblicità, la musica e l’abbigliamento giovanile stanno venendo potentemente in primo piano. Dopo un iniziale orientamento espressionista sensibile all’esempio di Bacon (1958), e un periodo (1960) improntato alla bellissima, eversiva, primigenita arte gestuale del momento, il suo stile prende la forma per la quale è soprattutto noto: quella di un’enunciazione narrativa, fantastica e umoristica, nel segno del fumetto. Al modellato tradizionale dell’olio, sostituisce i campi uniformi dell’acrilico separati da forti, caratteristiche, contornature nere: due elementi che si rifanno esplicitamente all’impatto visuale dei cartoons. D’altra parte, la semplificazione delle forme caratteristica del fumetto viene reinterpretata, spingendola verso un’astrazione geometrizzante, un’elegante levità di linguaggio. Rispetto all’esempio di Lichtenstein, di cui evidentemente tenne conto, la sua è una formula più marcatamente ironica, anzi improntata a una sofisticata, intellettuale negatività: con il suo risolvere la pittura in forme ispirate, con molta leggerezza e umorismo al fumetto, enuncia sottilmente l’impossibilità dell’arte, la sua fine, quel suo imminente risolversi, forse, in qualche altra militanza avvertita come più seria [...] Il museo, La galleria, il dipingere vengono sentiti come sorpassati, storicamente finiti, come dimensioni alle quali è impossibile rapportarsi senza distacco e ironia [...] Nel corso degli anni Settanta, la nota garbatamente dissacrante, smitizzante, del suo lavoro di Adami risuona dalle pareti delle più prestigiose gallerie e istituzioni museali del mondo. Anche questo fa parte del gioco: vedere a quale livello, dentro quali istituzioni e situazioni consacrate si riesce a far sentire una voce che in qualche modo smentisce l’aulicità della pittura, il suo prendersi troppo sul serio. Portato in alto da un curriculum espositivo ineccepibile (negli anni Cinquanta e Sessanta, le gallerie San Fedele, del Naviglio e Marconi a Milano, l’Attico a Roma, il Cavallino a Venezia), a partire dagli anni Settanta può lanciare autorevolmente la sua formula dalle pareti della Gallerie d’art moderne e della Maeght di Parigi, oltre che dalle principali gallerie e istituzioni pubbliche di Stoccolma, Ulm, Berna, Duesseldorf, Zurigo, Tokyo, Chicago, New York: un’ampiezza di riconoscimenti esaltante, che fa di lui, in un decennio, un classico della seconda metà del secolo» (Gloria Vallese, ”Arte” n. 12/2000). «Tra i libri di riferimento della mia formazione ci sono stati gli scritti in cui Wagner esprimeva la sua opposizione alla musica dell’epoca e alla mondanità dell’arte, tema oggi attualissimo e tensione che condivido in pieno. Non solo: in Wagner ritrovo il mio legame con l’India, paese in cui ho vissuto e lavorato, e culla di un pensiero che l’opera wagneriana fu tra le prime a svelare […] Wagner scriveva il libretto e solo in seguito componeva la musica. Così io creo il disegno e poi lo riempio di colore. Il disegno sta alla parola come il colore al suono. Se il disegno delinea un pensiero, il colore, come la musica, offre temperature emotive» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 16/3/2003). Vedi anche: ”Capital” n. 1/2003 (scheda 150096 ARTISTI PER LAURETTA PIU’ AMPIO)