Frammenti, 7 febbraio 2010
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FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "ABATE
CLAUDIO"
ABATE CLAUDIO Roma 1943. Fotografo • Figlio di un pittore amico di Giorgio De Chirico, cresciuto a via Margutta, a 12 anni aveva già in mano la sua prima macchina fotografica, a 16 lavorava per il Press Service Agency, a 18 era assistente di Eric Lessing, nome di punta della Magnum, oggi «è uno dei fotografi più ricercati dagli artisti europei, ha nel suo studio decine di migliaia di immagini, rarissime, che testimoniano i passaggi chiave di quell’effervescente momento che va dal 1968 al 1978» (Alessandra Mammì) • «Giulio Paolini lo incorona: ”Se fossi fotografo non mi tratterrei da rifotografare le tue fotografie”. All’infinito: felice ouroboros». (Marco Vallora).
Parrini 13/1/2008
ABATE Claudio. Roma 1943. Fotografo. «Schivo, silenzioso, sempre spettinato. Una specie di genius loci dell’avanguardia […] Con gli artisti c’è nato: figlio di un pittore amico di De Chirico, cresciuto a via Margutta, a 12 anni ha già in mano la sua prima macchina fotografica, a 16 lavora per il Press Service Agency, a 18 è assistente di Eric Lessing, nome di punta della Magnum […] Oggi è uno dei fotografi più ricercati dagli artisti europei, ha nel suo studio decine di migliaia di immagini, rarissime, che testimoniano i passaggi chiave di quell’effervescente momento che va dal 1968 al 1978 […] Con la sensibilità di un artista e l’istinto di un fotoreporter ha preferito gli eventi alle opere (’Non c’è niente di più noioso che fotografare un quadro”). Macchina a mano, pellicole sensibili, luci naturali, ha documentato la forza creativa di un mondo che si affidava alla vita effimera di una performance, di un’installazione, di un’azione nata per gioco. L’avremmo dimenticate se non ci fosse stato lui, in agguato, a fissarle per sempre» (Alessandra Mammì, ”L’Espresso” 6/12/2001) • «Ha confessato a Mario Codognato: ”Preferisco fotografare le opere d’arte, gli artisti si muovono, sono nervosi”. Il bello è che le sue immagini sono nervosissime e le opere ci si muovono dentro, anzi, vivono ancora. Fremono nella luce spesso notturna. Ha ”solarizzato” la sagoma di De Chirico, alla Man Ray, imprimendo la pellicola senza ausilio della macchina, poi ci ha messo sullo sfondo Gino De Dominicis, creando un’opera concettuale: un filo. Sì, perchè Claudio Abate, fotografo dalla nascita è prima artista che testimone princeps di quel momento storico in cui l’Arte Povera si fa Installation & Performance art, come certifica il volume Photology. Ha preso in mano la ”macchina” là dove l’aveva lasciata Mulas. Dalle prime impacchettature acerbe di Christo ai compari di San Lorenzo, fotografati come corposi ectoplasmi, sullo sfondo di nuvole ancora Valénciennes. Dal ”ragno” Pascali a Kiefer, da Mauri a Jan Fabre, alle polacchine usurate di Ontani, messe in cerchio, come una domestica avventura-cerimonia di Land Art alla Long. Là dove i corpi stessi degli artisti si bloccano, si cementano in ”opera d’arte”. dunque l’arte che è fotografia di un’istante, più che non la fotografia un’arte che documenta l’attimo dell’arte. L’ha capito Giulio Paolini, quando gli scrive che egli gli ha permesso di ”rivedere” certe sue opere, di trovarle diverse, perchè Abate non documenta supinamente, inventa lui l’opera. E Paolini lo incorona: ”se fossi fotografo non mi tratterrei da rifotografare le tue fotografie”. All’infinito: felice ouroboros. Scelta opinabile, frustrante, ma d’autore: non svelare in didascalia i luoghi storici ove ha rubato e ”riscritto” queste opere, ci pensi la memoria o la fantasia. Eppure chi ha un po’ di memoria (molte di queste icona son parte dell’archivio vivente Villa Medici) suggeriscono un’inquietante verità: che certe opere funzionano molto meglio in questi scatti di nobile ospizio, che non nella loro verità nuda. Un esempio? Quel bidet di Micol Assael, che levita come una santa, ingollato d’acqua, e sotto un trio di bicchieri, che accoglie il pianto del Tempo» (Marco Vallora, ”La Stampa” 26/11/2007).
Parrini 13/1/2008
Un terzo tipo di documentarismo è quello dei fotografi che hanno «sposato» il mondo dell’arte contemporanea, inseguendo gli artisti e le loro opere: ritroviamo Pascali sotto il suo ragno, Claudio Abate, oppure Giacometti il giorno in cui vince il Leone d’oro a Venezia,
Rocco Moliterni, la Stampa 15/06/2009