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 2009  giugno 05 Venerdì calendario

Torna il panettone dei milanesi Motta e Alemagna lasciano la Svizzera - I simboli del boom economico acquistati da Bauli

Torna il panettone dei milanesi Motta e Alemagna lasciano la Svizzera - I simboli del boom economico acquistati da Bauli. «Ha vinto, però, il pandoro» - Il Natale quando arriva, arriva. Magari anche in un giorno di giugno. Che si va già in giro con le infradito e si tirano fuori dalle custodie gli occhiali come Tom Cruise. Basta leggere sul giornale che il panettone «torna tutto italiano». Motta e Alemagna sono di nuovo da noi. Ed è come se fosse già il 25 dicembre. La Bauli ha comprato i due storici marchi dalla Nestlé e sembra «la vittoria del pandoro». Ma in fondo nessuno ci ha mai creduto alla storia che Motta e Alemagna erano diventati svizzeri. Come quegli emigranti che lasciavano il paese ma sapevi che un giorno o l’ altro li avresti rivisti comparire davanti alla porta. Motta e Alemagna che ci passavi il dito sulla confezione. E seguivi la forma del Duomo o quella «M» che ci stava tutta su un lato. Il panettone che si mangiava solo due giorni e poi si teneva una parte fino a febbraio per San Biagio che «ti protegge dai mali della gola». Simboli di un’ Italia che non era più povera ma che per il benessere bastava una fetta di dolce e un bicchiere di spumante. Il dolce più milanese che della città aveva la sobrietà e una dolcezza che non sapeva di melassa. Farina, uova e giusto qualche candito. Roba di lusso che, per un giorno, ci faceva sentire tutti uguali. Bastava non guardare le posate. Alemagna e Motta che c’ era dentro tutto il sogno di chi ce l’ aveva fatta. Due nomi che parevano usciti dall’ ufficio di un creativo della pubblicità. Ci leggevi la concretezza e la voglia di tirarsi su le maniche. Storie di provincia finite nell’ angolo più bello di piazza Duomo. Gioacchino Alemagna, il piccolo orfanello che diventa garzone di un panettiere. E poi su fino a sfidare Rockfeller. Per una coppia di cigni di porcellana che il magnate americano aveva visto ad un’ asta e lo sveglio milanese gli aveva portato via sotto il naso. E il miliardario a «stelle e strisce» che spendeva milioni in telefonate per convincere Alemagna che dei cigni di porcellana, in fondo, non gli importava granché. Il cumenda che non dimenticava le sue origini, l’ odore della nebbia e la fame che ti morde lo stomaco. Angelo Motta che arriva a Milano con mezza lira in tasca da Villa Fornaci di Gessate. Il primo lavoro quando gli altri vanno ancora a scuola. Anche lui in una panetteria. La fatica, l’ inventiva, la costanza tutte ambrosiane. E anche quando diventerà il «sciur Angelo» resterà il ragazzo di prima della Grande Guerra. Aveva trovato la formula giusta per il lievito e il suo panettone sapeva di buono solo a guardarlo da dietro la vetrina. Lavora anche di notte e in città si sparge la voce di un «certo Motta» che è diventato un mago. E forse non è un caso che Angelo Motta muoia un 26 dicembre. Quasi a non voler «disturbare» il Natale che, adesso, con il panettone era anche un po’ suo. Alemagna e Motta, le confezioni rigide che vedevi nelle mani di tutti e chi ne aveva due era uno proprio ricco. Impiegati e operai a correre a casa col panettone regalato dalla ditta da mettere sotto l’ albero e guai a toccarlo prima che sia il 25 dicembre. E speriamo che quest’ anno non venga la zia sennò finisce tutto e a Santo Stefano come si fa? La crisi arriva negli anni Settanta quando già ci sono i figli al timone delle aziende. E non si parla più di «dare e avere» ma ci sono i signori con le giacche blu che non si capisce cosa dicono. Quelli che «tra un’ ora c’ è il briefing e il budget è quello che è». Quelli che, tempo qualche anno, e Motta e Alemagna fanno le valigie per diventare due marchi della Nestlé, a Vevey, Svizzera. Il panettone, intanto, non è più lui. Cambiano tempi e gusti. Il dolce si chiama dessert ma ha sempre lo stesso sapore. Il Natale è solo quella «settimana bianca» che si paga un po’ di più perché è alta stagione. I garzoni che diventano industriali sono storie che neanche in una fiction di serie B. Se ne va Kakà e, forse, Ibra. Per fortuna tornano Motta e Alemagna. Carlo Baroni La scheda La storia 1. Motta Motta nasce nel 1919 in un piccolo laboratorio artigianale in via Chiusa. A fondarla è Angelo Motta. Nella metà degli anni Venti si espande e apre diversi negozi in città. Negli anni ’ 70 la Motta viene venduta alla Sme, la società finanziaria del gruppo Iri. Nel 1993 vende i marchi alla svizzera Nestlé. La storia 2. Alemagna La parabola di Alemagna comincia nel 1921 a Melegnano. Gioacchino Alemagna che aveva lavorato come garzone da un fornaio nel 1925 apre un caffè a Milano e nel 1933 un bar pasticceria proprio in piazza Duomo. Negli anni del boom apre stabilimenti anche a Napoli. Negli anni ’ 70 la crisi, la vendita prima a Sme e poi a Nestlé.