Gabriela Jacomella, Corriere della Sera 27 febbraio 2006, 27 febbraio 2006
Scrivere per fare la bella vita? Non in Italia - Con i soldi ricavati dal suo primo bestseller si è concesso una pazzia: una giacca di cashmere purissimo, vista e comprata in una boutique londinese
Scrivere per fare la bella vita? Non in Italia - Con i soldi ricavati dal suo primo bestseller si è concesso una pazzia: una giacca di cashmere purissimo, vista e comprata in una boutique londinese. Quasi tremila sterline di oggi, ed era il 1978. L’anticipo dell’ultimo, probabilmente, si è volatilizzato in spese più ordinarie: abiti rigorosamente italiani; gli immancabili calzini - di cashmere, of course ; una scorta di Salon 1990 (il suo champagne preferito, ne stappa una bottiglia al giorno, per l’aperitivo). Sei milioni di dollari a romanzo. Dopo averne sfornati 16, Ken Follett ha fatto «outing»: scrivere, racconta in un’intervista a Style (il magazine del Corriere in edicola venerdì), è la strada maestra che porta a una vita di lussi e piaceri. Altro che sacro fuoco dell’arte, vocazione intellettuale, aspirazione a fama imperitura. «We’re only in it for the money», lo facciamo soltanto per i soldi, dichiarava impudico Frank Zappa nel 1968. Follett, nel 2006, sottoscrive e rilancia. «Quando sognavo di diventare un grande scrittore mi immaginavo a bordo di una Rolls Royce, circondato da fan in adorazione, che alzavano i miei libri urlando "firma, firma, firma"». La macchina non è una Rolls, ma una Bentley rossa. Quanto ai fan, se non strillano è solo, probabilmente, perché nelle librerie londinesi sarebbe considerato davvero poco cool. A Mantova, nelle giornate del Festivaletteratura, poche urla e molti spintoni per arrivare primi all’agognato autografo. « la rockstarizzazione dello scrittore. Quando ero bambino, lo scrittore era uno sfigato: oggi invece ci sono autori, anche tra gli italiani, percepiti come pop star». Alessandro Piperno sul palcoscenico mantovano c’è finito, a settembre, dopo il clamoroso successo del suo romanzo d’esordio, Con le peggiori intenzioni. «Mi dissero che John Grisham era arrivato con il suo aereo privato, io stavo in un albergo a due stelle». Una frase secca che racconta l’abisso tra due mondi: «Da noi esiste un solo bestseller writer, Andrea Camilleri. C’è una differenza tra i mercati simile a quella che c’è nel cinema: se si pensa a quanto guadagnano un attore di Hollywood e uno italiano...». Scrivere per fare la bella vita, insomma, è un motto che può funzionareper Ken Follett («ma è come se lo stesso discorso lo facesse Maradona: prima di poterlo fare, devi diventarlo, Maradona», sintetizza Piperno), o per un Jonathan Safran Foer, che nel 2002, a 25 anni, ha ottenuto un anticipo di un milione e mezzo di dollari per il suo primo libro, Ogni cosa è illuminata. «Da noi un esordiente, con una casa editrice di medie dimensioni, si prende al massimo 5.000 euro. Poi, è chiaro, le cifre aumentano: per Faletti si favoleggiano anticipi da 600 mila euro, a Eco a suo tempo offrirono un miliardo». Carlo Lucarelli, che nei suoi gialli nerissimi ha svelato una Bologna inquietante, tutto meno che Sangiovese e tortellini, fa i conti in tasca ai colleghi e a se stesso: «Il mio primo anticipo, nel ”90, era di 500 mila lire. Il quarto, più "serio", l’ho usato come caparra per comprarmi la macchina a rate». E non era una Bentley. Scrivere per vivere potrebbe essere la versione italiana del motto caro a Ken, con una precisazione: «Si può vivere di scrittura, ma non necessariamente di soli romanzi. Si scrivono anche articoli, sceneggiature. pur vero che è sempre meglio che lavorare. Però per farlo bene ci vuole passione, e la fatica è tanta». Detto ciò, nessuna critica alle cifre a sei zeri dell’editoria anglosassone: «L’importante è non scendere a compromessi - chiude Lucarelli -. Se una casa editrice mi proponesse un sacco di soldi ma mi dicesse che "tira" il giallo plutoniano, mentre io ho in mente una storia d’amore... be’, quello è un compromesso». Mai pensato di fare una serie di gialli usa-e-getta? «No». L’eresia del libro on demand va di pari passo con un altro tabù: l’accoppiata intellettuale-dolce vita. Piperno nel ruolo à la Follett proprio non ci si vede: «Sono un vecchio ebreo tirchio e austero, il mio tenore di vita è rimasto di una sobrietà monacale». Quel che riconosce agli inglesi, invece, è il pregio di «non avere vergogna del loro denaro». Camilla Baresani, una che alla scrittura è approdata senza problemi di conto in banca, lamenta: «In Italia non vedo scrittori amanti del jet-set, alla Capote. Abbiamo un’idea dell’intellettuale sobrio, triste; c’è un pudore molto cattolico, che impedisce di esibire il lusso». Modello pauperista, lo chiama lei. Che conclude: «Io sono una che vende poco. Ma se guadagnassi tanti soldi, mi toglierei di certo parecchie soddisfazioni». Proprio come Ken.