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 2009  maggio 04 Lunedì calendario

PATRIA E NAZIONE UN’IDEA FRAGILE


Che cosa fa una nazione e la sua idea? E quale nazione è stata ed è l´Italia? Nella storia delle interpretazioni delle componenti che costituiscono le nazioni e ne formano l´idea si sono sempre distinti due diversi approcci: l´uno che fa appello all´unità naturalistico-razziale, alla comunità etnica, alla sacralità di un territorio predestinato; l´altro invece, secondo la notissima espressione di Renan, alla «volontà di vivere insieme», all´eredità di una cultura unificante, a memorie e istituzioni condivise. Venendo alla trazione italiana moderna, due i predominanti filoni: da un lato quello repubblicano e democratico di Mazzini, per il quale la nazione ha da essere «una patria» guidata da valori che perseguono la formazione di una «comunione di liberi ed eguali» che abbatte antichi privilegi e barriere e si inserisce nella comunità umana senza pretese di predomini imperiali; dall´altro quello che partendo da Corradini e da Rocco, che celebrava nel 1914 il nazionalismo come «affermazione della propria razza», sentimento «diverso da quello che è altrove» arriva al fascismo, fautore di una nazione prima fondata su una concezione autoritaria statalistica e infine approdata al razzismo di scuola nazista.
Chi osservi la storia dell´Europa moderna osserva che l´idea di una nazione intesa, ad al di là di ogni differenza e contrasto di impostazione, a sorreggere la volontà delle componenti sociali e politiche di «vivere insieme» si è affermata con successo, non certo totale ma consistente, in Inghilterra e nei paesi scandinavi in chiave liberale e in Francia e in Germania in chiavi anche opposte.
In Italia dal Risorgimento in avanti la nazione è sempre stata una costruzione assai fragile e l´idea di nazione si è fatta di toni acuti proprio a testimoniare di una coscienza tormentata e divisa, progetto rivolto a combattere le non sanate fratture interne. Sono andate incontro allo scacco sia l´idea democratica mazziniana sia la liberale monarchica e sia la nazionalistica autoritaria, entrambe incapaci di superare le ricorrenti e profonde divisioni d´Italia. L´Italia uscita dal Risorgimento cozzò contro il "brigantaggio", l´affacciarsi di una questione meridionale specchio della mai venuta meno disomogeneità delle varie parti del Paese, il solco tra democratici sconfitti e conservatori liberali monarchici vincitori; l´Italia dell´età liberale contro i problemi mai superati di un´opposizione intransigente alla classe dirigente liberale da parte dei cattolici che non riconoscevano lo Stato "usurpatore", degli anarchici e socialisti rivoluzionari che avversavano lo "Stato di classe", dei nazionalisti di destra che detestavano democrazia, liberalismo e socialismo; l´Italia tra il 1915 e il 1922-25 contro le lotte incessanti e cruente tra interventisti e anti-interventisti, tra liberali, cattolici, socialisti massimalisti, comunisti, nazionalisti e fascisti; l´Italia del fascismo contro l´Italia antifascista.
L´Italia del 1945, uscita dalla guerra civile, stabilì bensì un patto comune con la Costituzione, ma stabilito il patto, si videro ancora una volta due Italie: la comunista e l´anticomunista, il paese della legalità e il paese dell´illegalità criminale. Il patto costituzionale non fu rotto, ma esso non diede luogo, appunto, a una coscienza condivisa e a una volontà prevalente di "vivere insieme". E ora siamo sempre, mutatis mutandis, di fronte a contrasti tali da impedire che la nazione nominale sia una nazione sostanziale. Non è un caso che da Presidenti come Ciampi e Napolitano sia venuto e venga incessante l´invito agli italiani a imparare a stringersi intorno a memorie e istituzioni condivise.