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 2009  maggio 25 Lunedì calendario

Anno VI - Duecentosettantaduesima settimanaDall’18 al 25 maggio 2009Settimana dominata da Berlusconi

Anno VI - Duecentosettantaduesima settimana
Dall’18 al 25 maggio 2009

Settimana dominata da Berlusconi. Sarà bene procedere giorno per giorno.

Lunedì 18 Giornata tranquilla. Il premier si fa vedere a Villa Gernetto (Lesmo) dove parla a una sessantina di imprenditori e annuncia che il PdL riconquisterà di sicuro la provincia di Milano e governerà così tutti e tre gli enti locali (Regione, Provincia, Comune). Fastidi da Fini che dichiara la necessità di non fare leggi «orientate da precetti di tipo religioso». Berlusconi gli fa rispondere da Schifani (il quale dice più o meno: «Non vogliamo uno stato ateo»).

Martedì 19 Arriva la motivazione della sentenza Mills. Il lettore ricorderà: l’avvocato inglese Mills venne condannato dal giudice Nicoletta Gandus a quattro anni e mezzo per aver mentito in due processi in cui era coinvolto anche il Cavaliere, quello relativo alle tangenti alla Guardia di Finanza (1997) e il cosiddetto All Iberian (1998). Come mai l’avvocato avrebbe mentito? Per proteggere Berlusconi - spiega la Gandus - e permettergli di conservare «gli ingenti profitti realizzati attravero il compimento di operazioni societarie e finanziarie illecite». Il documento ribadisce che l’avvocato incassò per questi suoi servigi 600 mila dollari e nel 1996 45 mila sterline. La falsa testimonianza di Mills sarebbe servita a Berlusconi per nascondere le società off-shore attraverso cui faceva arrivare a Marina e Piersilvio «ingenti profitti illecitamente conseguiti all’estero».
Il dossier contenente la motivazione della sentenza (350 pagine) rimette in circolo la polemica intorno al lodo Alfano, quella legge votata in fretta e furia la scorsa estate che tiene al riparo le prime quattro cariche dello Stato da qualunque iniziativa giudiziaria, comprese le fattispecie penali antecedenti alla nomina. grazie al lodo Alfano che, nel processo Mills, la posizione di Berlusconi è stata stralciata e il processo, per la parte che lo riguarda, sospeso. Franceschini chiede adesso che il premier rinunci a questa protezione, Di Pietro pretende le dimissioni e prepara una mozione di sfiducia. Berlusconi, che sta andando all’Aquila, reagisce con un moto di stizza: «Ah, vogliono che me ne vada? Ma sì, chi me lo fa fare…».

Mercoledì Berlusconi minaccia di andare in Parlamento a riferire sul caso Mills e a smascherare «le bugie dei giudici». Lo fanno ragionare e gli mostrano che un attacco in una sede istituzionale potrebbe avere un effetto contrario, con conseguenze imprevedibili sulle elezioni di domenica 7 giugno. E se in Parlamento, con la campagna elettorale in corso, ci fossero poi dei buchi nella maggioranza? E se si andasse, in una situazione di debolezza numerica, a un qualche voto? Il Cavaliere si persuade, dice che andrà in aula dopo il 7 giugno (forse), ma intanto spara a zero contro il giudice Gandus, «un mio dichiarato e palese nemico politico, della quale tutti sapevano essere un’attivissima militante della sinistra estrema, quindi certo non imparziale». Il premier sostiene la sua totale innocenza nel caso Mills. A suo dire ci sono le prove che nessuna somma percepita dell’avvocato può essere fatta risalire a lui. Mills ricorrerà in appello – dice – e al cento per cento sarà totalmente scagionato.

Giovedì C’è l’assemblea della Confindustria, parla la presidente Emma Marcegaglia, si occupa di crisi, occupazione, necessità di interventi dello Stato, ecc.. Alla fine, invita il premier, seduto in prima fila accanto a Fini, a salire sul palco e salutare gli imprenditori. Berlusconi sale e lo accoglie un’ovazione, finita la quale parte in quarta: tralascia del tutto i temi tipici di quella riunione (il Pil, la recessione ecc.), ricomincia a pestare sui giudici («alcuni sono pericolosi, più per i cittadini che per me»), soprattutto introduce a sopresa un nuovo tema polemico: il presidente del Consiglio non ha poteri, l’unica istituzione che conta è il Parlamento, «pletorico, 630 deputati quando ne basterebbero 100, inutile, alcuni parlamentari non si vedono mai, perché imprenditori, professionisti che hanno cose più importanti da fare che stare lì per un giorno con le mani dentro la scatoletta del voto e votare centinaia di emendamenti..., non sanno neanche quello che votano, si limitano a guardare il capogruppo per sapere se devono dire sì o no...». Segue il solito bailamme: Fini difende deputati e senatori («Il Parlamento è un interlocutore ineludibile…»), altri membri dell’opposizione ricordano che le Camere non sono state poi così inefficienti quando s’è trattato di approvare proprio il lodo Alfano o la riforma federalista voluta dalla Lega.

Venerdì Berlusconi annuncia che promuoverà una legge di iniziativa popolare, con la quale milioni di cittadini chiederanno al Parlamento di ridurre il numero di deputati e senatori rispettivamente a 300 e 150. Invano gli si fa osservare che in Parlamento giacciono molte proposte di riforma del genere e che in ogni caso saranno poi le Camere a dover approvare il provvedimento, e in doppia lettura poiché si tratta di modifica costituzionale. Il premier non è minimamente interessato a questi tecnicismi: appellandosi direttamente al popolo, e su una riforma generalmente condivisa, il Cavaliere realizza il suo sogno di tagliar via le mediazioni dei politicanti e anche, più modestamente, di distogliere la discussione dal caso Mills. Il bagno di popolo, oltre tutto, potrebbe preparare la campagna per il sì al referendum, se il 7 giugno il PdL prenderà almeno il 40% (e la Lega non supererà il 10).

Sabato Berlusconi: «Sto veramente pensando a una legge di iniziativa popolare, con milioni e milioni di firme, per tagliare il numero di deputati e senatori. Voglio vedere poi il Parlamento che non l’approva. L’opposizione per fare le riforme? Non è necessaria». Titoloni in prima pagina su tutti i giornali.

Domenica Repubblica, che stampa ogni giorno le ”Dieci domande al premier” a cui finora non ha ricevuto nessuna risposta, pubblica una lunga intervista a un ex fidanzato di Noemi Letizia, di nome Gino Flaminio, 22 anni, operaio a mille euro al mese. Il giovane racconta che Berlusconi un certo giorno dell’ottobre 2008 trovò su un tavolo, dove l’aveva dimenticato Emilio Fede, un book con le foto della ragazza e il suo numero di cellulare. Il Cavaliere chiamò, riempì di carinerie telefoniche l’incredula signorina («Sei divina, devi mantenerti pura come sei» eccetera), e poi continuò a telefornarle con una certa frequenza. Al fidanzato Gino, a cui la storia pareva incredibile, Noemi fece ascoltare direttamente il premier in azione accostandogli il cellulare all’orecchio mentre quello poetava. Seguì un invito a Villa Certosa per la settimana di Natale-Capodanno, a cui Noemi andò entusiasta con l’amica Roberta e trovandosi poi in compagnia di un’altra quarantina di bellezze. Sette giorni di festeggiamenti a quanto pare del tutto familiari (così ha appurato, fino a questo momento, il Corriere della Sera) ma che provocarono tuttavia la rottura con Gino. Il quale è adesso sotto minaccia di querela da parte di Benedetto Letizia, il padre della ragazza. Da sottolineare: sia Noemi che la sua amica Roberta erano in quel momento minorenni.

Lunedì Il Cavaliere conclude la settimana con un’intervista alla Cnn (registrata il sabato precedente). Su Noemi: «Non c’è nulla, nulla di nulla che sia minimamente negativo. Abbiamo chiarito la situazione e ancora di più la chiariremo in futuro, anche se all’inizio io non ho voluto che si entrasse nei rapporti tra me e questa famiglia perchè ritengo che abbiano diritto alla privacy e segretezza, perchè fanno parte della mia vita privata». Sui giudici: «Sono militanti politici». Su Veronica: «Ha creduto a quello che hanno scritto i giornali di sinistra».