Cinzia Di Cianni, La stampa 10/06/2009, 10 giugno 2009
I TEST PER RISVEGLIARE LA CONTESSA DRACULA
Era un vampiro o una vittima della peste? Di chi erano i resti trovati in una fossa comune risalente al XVI secolo nella Laguna di Venezia? E perché il cadavere fu violato? Forse le indagini molecolari, chimiche e radiologiche che saranno condotte sullo scheletro sveleranno il mistero. Di quella che fu una donna restano un busto e un cranio, con un mattone cacciato a forza in gola. Finora è l’unico ritrovamento di un presunto vampiro sottoposto a esorcismo, «anche se - precisa Matteo Borrini, autore della scoperta - la pratica era molto diffusa».
Dal 1347 quasi ogni generazione europea fu decimata da epidemie che continuarono fino al XVIII secolo. La prima ondata - la «Morte nera» - uccise un quarto della popolazione del continente, stimata in 100 milioni di persone. In Italia, invece, fu molto grave l’epidemia del 1576-1577 (ricordata a Milano come la «Peste di San Carlo Borromeo») e quella che devastò il Nord nel 1630-1632 e immortalata nei «Promessi sposi». Le scarse conoscenze alimentavano la superstizione: si accusavano del contagio gli ebrei, le streghe o i vampiri, soprattutto donne.
Nel 2006 la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto ha avviato una campagna di scavi in un’isoletta a 3 chilometri a Nord-Est di Venezia, il Lazzaretto nuovo. Fin dal 1468 la Serenissima l’aveva destinato alla quarantena di merci ed equipaggi privi di patenti di sanità, chiamandolo «novo» per distinguerlo da quello nei pressi del Lido. Un secolo dopo, però, la distinzione aveva perso ogni significato. Il morbo devastava la città e neanche i morti trovavano pace: poiché la terra scarseggiava, le fosse erano continuamente riaperte per accogliere nuove salme. Nel camposanto del Lazzaretto Nuovo, in 16 metri quadrati, sono saltati fuori un centinaio di corpi.
Gli scavi sono stati diretti da Borrini, che è archeologo all’Università di Firenze e antropologo forense. Individuato lo scheletro, ha condotto un’indagine a 360°, ricostruendo non solo le circostanze della morte, ma anche il contesto sociale e sanitario che ha alimentato la leggenda del vampiro «nachzehrer», comparsa in Polonia nel Trecento e finita in Laguna 3 secoli dopo. «La morte - ha spiegato al meeting dell’American Academy of Forenisc Sciences di Denver - dovrebbe risalire all’epidemia del 1576. Purtroppo metà dello scheletro fu distrutta, ma ciò che rimane è eccezionale. Il corpo fu deposto nella nuda terra, in un telo. Il rituale esorcistico del mattone in bocca fu eseguito post-mortem: il vampiro non subì le torture inflitte alle streghe».
Confrontando antichi documenti, leggende polacche e tradizioni slave, Borrini ha scoperto che il «nachzehrer» era considerato un «cucciolo» di vampiro, che diffondeva la peste per «diventare grande». Stava quieto sottoterra, «dove mangiucchiava il velo funebre come fosse latte per un neonato - precisa l’antropologo - ed emetteva sinistri grugniti». Poi, con magia postuma, diffondeva il morbo per succhiare il sangue dei corpi che erano sepolti accanto a lui. Una volta adulto, usciva dalla terra per compiere le sue scorribande ematofaghe. «La leggenda nasceva dalla scarsa conoscenza della decomposizione del corpo. Riaprendo le fosse, gli scavatori spesso intercettavano cadaveri dall’aspetto gonfio e raccapricciante, che erano interpretati come un fenomeno soprannaturale». Ma fu un dettaglio ricorrente a definire il «nachzehrer». Se il sudario scivolava nelle mascelle, l’azione dei batteri lo degradava più velocemente e, quindi, il tessuto scompariva, come fosse stato mangiato. «Quando un cadavere presentava queste caratteristiche, l’esorcismo prescriveva di infilargli in bocca qualcosa che non si potesse masticare: una pietra o un mattone e così il ”nachzehrer” era condannato a morire di fame».
«Ora sui resti prevediamo alcune indagini molecolari - spiega Olga Rickards, antropologa dell’Università di Roma Tor Vergata -. Così faremo luce sulle origini genetiche e geografiche, oltre che sulla dieta». Prima di tutto si estrarrà un po’ di collagene dalle ossa. «Questa sostanza è sintetizzata dalle proteine contenute negli alimenti e contiene alcuni isotopi stabili, come quelli del carbonio e dell’azoto. I valori sono modificati dalla dieta e forniscono indicazioni sui cibi assunti nei 10 anni che precedono la morte». Un altro strumento saranno i test degli isotopi dello stronzio nello smalto dei denti. «Rivelano la composizione geologica del luogo dove una persona ha trascorso i primi anni di vita e permettono un confronto con quella del luogo di ritrovamento». Se poi il materiale osseo risulterà in buone condizioni, si procederà con lo studio del Dna mitocondriale, che racconterà la storia al femminile della donna vampiro.
«Infine procederemo con l’analisi di altri marcatori del Dna nucleare e lo confronteremo con i dati molecolari delle popolazioni attuali di varie aree». Forse sapremo se lo scheletro «sosteneva» una popolana della Laguna, una cortigiana giunta da terre esotiche o una parente della nobildonna ungherese Erzsébet Báthory, detta la «Contessa Dracula»: la più celebre rappresentante della dannata stirpe dei vampiri.