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 2009  giugno 10 Mercoledì calendario

LIBIA IN ITALIA


Istituto nazionale per il Commercio Estero - Ufficio ICE Tripoli . Maggio 2009


I recenti interessi dei fondi sovrani libici nei confronti di ENI, Telecom e di altre
aziende italiane, oltre all’acquisizione di una quota rilevante in Unicredit,
manifestano quanto l’azione di Tripoli tenda a costituire un investimento più
differenziato e profondo di quello effettuato in Italia in passato. L’accordo di
cooperazione firmato tra Italia e Libia il 30 agosto scorso ha rilanciato i rapporti economici tra i due paesi, dotandoli del necessario quadro politico. Queste partecipazioni libiche e gli investimenti italiani in Libia in determinati settori,
anch’essi facilitati dal trattato, fanno parte di una più ampia politica della Libia
orientata ad una differenziazione dell’economia – ancora fortemente
dipendente dalle entrate petrolifere – e all’acquisizione del know-how
necessario allo sviluppo interno.
Negli ultimi mesi, come mai in passato, la Libia ha manifestato un interesse
crescente per diverse aziende italiane. L’ultimo in ordine di tempo è stato
quello per ENI. Il 6 dicembre scorso una nota della Presidenza del Consiglio dei
ministri ha reso pubblico questo interesse. Il prossimo ingresso della Libia in
ENI con una quota di capitale rilevante è stato concordato con il governo
italiano e avverrà ”quando le condizioni della Borsa lo consentiranno”. Come 1
dichiarato dalle autorità italiane e libiche l’obiettivo del Libyan Energy Fund, il
fondo sovrano che acquisirà la partecipazione sul mercato, è di giungere ad
ottenere il 10% del gruppo. L’operazione dovrebbe avvenire in tre fasi. In una
prima fase, tramite acquisizione di azioni sul mercato la quota salirà sino al 5%
del capitale; in un secondo momento la partecipazione dovrebbe essere
accresciuta all’8% e in una fase conclusiva, ancora da verificare, la quota
dovrebbe essere ulteriormente aumentata al 10%. Il fondo libico si appresta
quindi a diventare il secondo azionista della compagnia energetica italiana,
dopo lo Stato italiano, che ne possiede il 30% ed esercita sul gruppo una serie
di poteri speciali attraverso il ministero dell’Economia e quello dello Sviluppo.
Nelle settimane precedenti vi erano state chiare manifestazioni di interesse
verso diverse società italiane, in particolare, oltre a ENI, erano state chiamate
in causa Telecom, Impregilo, Terna e Generali. Questo interesse verso ”altre 4-
5 operazioni assai interessanti, tutte nei settori di maggior successo
dell’industria italiana”, manifestano quanto l’azione di Tripoli tenda a costituire
un investimento più differenziato e profondo di quello effettuato in Italia in
passato. La prima partecipazione libica in Italia avvenne nel 1976. La Libia
attraverso la Lafico (Libyan Arab Foreign Investment) entrò nel capitale della
FIAT - proprio nel momento in cui quest’ultima attraversava un periodo di forte
crisi - con una quota iniziale di circa il 9,7%, fornendo una iniezione di liquidità
fondamentale per il rilancio dell’azienda torinese. Allora come oggi la Libia
aveva accumulato ingenti capitali dopo che negli anni precedenti le entrate
petrolifere libiche erano straordinariamente cresciute per gli alti prezzi del
greggio. Tuttavia quella operazione, che si concluse dieci anni dopo con un
realizzo molto vantaggioso per Tripoli, non ebbe seguiti e rimase un caso
isolato.
L’operazione relativa all’ENI fa invece seguito a quella avvenuta il 16 ottobre
scorso quando la Lybian Investment Authority (il maggior fondo sovrano libico
con una dotazione di circa 50 miliardi di dollari), la Central Bank of Lybia e la
Lafico hanno comunicato di aver acquistato sul mercato una quota di UniCredit
raggiungendo il 4,23% del capitale. La Lafico era già presente in UniCredit
(allora Capitalia – Banca di Roma) dal 1997 con una quota dello 0,56%. Il 23
ottobre i libici hanno poi annunciato di avere raggiunto il 4,9% nella banca
italiana.
Le motivazioni che stanno dietro a queste operazioni sono essenzialmente
economiche: una di natura più contingente, l’altra più strategica e legata allo
sviluppo futuro della Libia. Dal punto di vista finanziario, come nel caso
dell’ENI, le azioni delle società italiane, dopo il collasso dei mercati seguente
alla crisi mondiale, costituiscono un buon investimento per chi disponga di
liquidità. L’ENI nel corso del 2008 - pur essendo uno dei gruppi più solidi del
settore energetico a livello mondiale – ha patito in borsa gli effetti della crisi
finanziaria e del conseguente crollo del prezzo del petrolio, svalutandosi
dall’inizio dell’anno di quasi il 35% del suo valore di Borsa. L’operazione
d’acquisto, che ai prezzi attuali – in continua oscillazione – potrebbe venire a
costare circa 6 miliardi di euro, nell’ipotesi di una partecipazione del 10%, si
prospetta vantaggiosa per entrambe le parti. La Libia rafforza i legami con
un’azienda che estrae nel paese 800 mila barili di petrolio al giorno (di cui 300
mila di esclusivo utilizzo dell’ENI) e investe parte dell’ingente liquidità
accumulata in questi anni con la vendita di greggio in una delle più redditizie
imprese industriali italiane. Dal canto suo l’ENI consolida i rapporti con un
paese in cui è presente fin dalla fine degli anni ’50 con attività di grande valore
strategico. La Libia rappresenta per la compagnia petrolifera italiana il primo
paese di produzione su scala mondiale con investimenti, in prospettiva, stimati
sui 15 miliardi di euro. Circa un anno fa l’ENI ha concluso un accordo strategico
con la società di Stato libica LNOC, che le ha consentito di prolungare fino al
2042 la durata dei suoi titoli minerari per l’estrazione di petrolio e fino al 2047
quelli per l’estrazione di gas.


Corriere della Sera, Fulvio Conti all’ indomani dell’ avvio del maxi aumento di capitale Enel da 8 miliardi (CdS 3 giugno 2009)
Si parla con insistenza anche di un forte interessamento del governo libico per entrare nel capitale Enel. Ci sono novità su questo fronte? «Tutto quello che posso dire è che ho visto da parte dei libici un gran interesse negli ultimi giorni. Credo si stiano avvicinando in qualche modo, però sarebbe scorretto da parte mia esprimere un giudizio in questa fase. Certo, ho letto anch’ io le dichiarazioni rilasciate dall’ ambasciatore libico in Italia, Haffed Gaddur, dove si ipotizza un possibile ingresso nel capitale Enel entro fine giugno con una quota del 2%. E anche Shokri Ghanem, numero uno della compagnia petrolifera di Stato, ha confermato che la Libia sta studiando investimenti in società italiane, come la nostra e l’ Eni.

Il Sole nell’ottobre 2008 dà «piccole quote in Fiat, Eni e Juventus, oltre al controllo di Tamoil e al 46% di Ubae».

Panorama di dicembre 2008: circa 2% in Fiat e circa 7% in Juventus.

Dragoni (Sole), 17 ottobre 2008:
Fiat, Capitalia, Eni, Juventus, Finpart, Olcese. Adesso UniCredit. E domani, chissà, forse Telecom o Finmeccanica. Oppure Eni o Enel.
 lungo, con nomi altisonanti, l’elenco delle imprese italiane in cui sono stati iniettati i petrodollari di Tripoli. Spesso si è trattato di un salvataggio, o di un puntello a situazioni di difficoltà. Il caso più rinomato e controverso è l’ingresso dello Stato libico nel 1977 nella Fiat, con il 15% del capitale ordinario, quando il gruppo torinese rischiava il collasso. Nel 1986 la Lafico (Lybian Arab Foreign Bank) cedette la partecipazione con un incasso di tre miliardi di dollari: l’Ifil degli Agnelli riacquistò il 6,67% del capitale Fiat con un esborso di circa un miliardo di dollari. La parte residua delle azioni ordinarie (8,5% circa del capitale), le azioni privilegiate e di risparmio furono collocate sul mercato da un consorzio promosso da Deutsche Bank e Mediobanca.
Dopo il 2000 si sono intensificate le incursioni di Tripoli. La Lafico è tornata nel capitale Fiat, comprando il 2%, poi ha comprato il 3% di Capitalia e nel 2003 è salita al 5% nell’istituto guidato da Cesare Geronzi (dal 2007 presidente di Mediobanca), con il quale i rapporti erano buoni: l’ex Banca di Roma tenne una riunione del cda a Tripoli. La presenza in Capitalia si è diluita nella fusione con UniCredit. L’acquisto fino al 4,23% annunciato ieri è un ritorno alla vecchia partecipazione, in un gruppo molto più grande. L’operazione è considerata un corollario del trattato di riappacificazione firmato a fine agosto da Silvio Berlusconi a Tripoli.
Lafico ha acquisito anche azioni di aziende tessili finite in dissesto, come Finpart (8,95%) e Olcese (21%). Nelle ultime settimane il fondo sovrano di Tripoli ha manifestato interesse ad entrare in Telecom Italia. Dal 2001 i libici detengono il 7,5% nella Juventus, la squadra di calcio controllata dalla famiglia Agnelli.
«Non credo che la Juventus sia un buon investimento, stiamo perdendo soldi», disse il 7 dicembre 2006 Saif Al Islam Gheddafi, figlio del leader libico, dopo un incontro con Paolo Scaroni dell’Eni. «Per noi ha più senso investire in Eni e Finmeccanica». Chissà che queste non siano le prossime prede.