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 2009  giugno 10 Mercoledì calendario

DALLE UOVA AI POLMONI, I SEGRETI DEI GIGANTI


Pesante come un paio di Tir e lungo come l’ala di un jet. Ma come faceva a sopravvivere al proprio sfrenato gigantismo?
La vita nell’era attuale - quella dominata dall’uomo e quindi soprannominata con un po’ di rimorsi Antropocene - è un brulicare di nanetti. Noi di rado superiamo i 2 metri d’altezza e, capodogli e balene a parte, sulla terraferma non c’è niente di più massiccio di un elefante, che arriva a 4 metri di ossa e carne (e solo a volte supera le 5 tonnellate). I 35 metri e le 80 tonnellate dell’Argentinosaurus - la creatura più grande mai comparsa - incarnano quindi uno dei grandi enigmi della paleontologia. Almeno finora: il team internazionale guidato da un professore dell’Università tedesca di Bonn, Martin Sander, è convinto di aver messo insieme i pezzi del puzzle che 100 milioni di anni fa facevano vivere e prosperare il re dei dinosauri.
Primo interrogativo. Perché acquisire dimensioni che ci appaiono tanto fuori scala? Una legge dell’evoluzione - nota come «regola di Cope» - stabilisce la soglia d’equilibrio tra maxi-dimensioni e mini-dimensioni intorno alle 10 tonnellate. Chi è grande è più forte e meno vulnerabile, ma allo stesso tempo genera meno discendenti e rischia di più di fronte a improvvisi cambiamenti ambientali. Secondo Christine Janis (Brown University, Rode Island), la famiglia dei sauropodi - tra cui l’Argentinosaurus - aveva beffato questo principio grazie a una soluzione perfetta nella sua semplicità: non si risparmiava nella deposizione delle uova, anche 24 kg alla volta, e le abbandonava al loro destino, sicura che la maggior parte se la sarebbe comunque cavata. Figli e nipoti non mancavano mai.
Secondo interrogativo. Come riuscivano a dilatarsi così tanto? Al contrario di altri «colleghi», come i celebri (e molto sopravvalutati) Tirannosauri, le ossa dei sauropodi mostrano un metabolismo sorprendentemente veloce. Potevano crescere di almeno 2 tonnellate all’anno, un record che resta ancora oggi imbattuto.
Terzo interrogativo. Come potevano «processare» abbastanza ossigeno per non soffocare? Matthew Wedel (Oklahoma Museum of Natural History) ha scoperto che possedevano polmoni simili a quelli degli uccelli contemporanei. Quando espiravano, l’aria veniva subito rimpiazzata da quella contenuta nelle sacche d’aria disposte nel torso. Così i momenti morti venivano aboliti e l’organismo sfruttava al meglio la respirazione. E contemporaneamente le serie di «palloncini» disposti accanto alla colonna vertebrale alleggerivano il corpo, con una trovata che sa di hi-tech.
Quarto interrogativo. Com’era possibile incamerare abbastanza energia da sorreggere quella massa spropositata? Come minimo si doveva ingoiare una tonnellata di vegetazione ogni 24 ore, eppure molti studiosi hanno messo in dubbio che bastasse. Adesso Jürgen Hummell (Università di Bonn) ha simulato i processi di fermentazione di alcune piante note per le scarse qualità nutritive e ha scoperto che, se i tempi di digestione si allungano grazie all’azione di microbi specifici, anche un pasto apparentemente povero si trasforma in uno ad alto valore. E non solo. Con il loro collo smisurato i sauropodi spazzolavano vaste aree di terreno senza muoversi, risparmiando così forze preziose.
Quinto interrogativo. Potrebbero ricomparire creature tanto enormi? Non è affatto impossibile, ma la Natura ha bisogno delle condizioni giuste, intrecciate con tempi necessariamente lunghi. Prima di tutto una non augurabile estinzione di massa (che probabilmente spazzerebbe via anche la nostra specie) e poi almeno 30-40 milioni di anni per «resettare» i propri modelli biologici e tornare al design dell’Argentinosaurus.
Essere immensi, quindi, è tutt’altro che illogico. Chi vuole provare l’emozione dell’incontro ravvicinato deve andare al Museo di Storia Naturale di Buenos Aires. Lì il Mostro aspetta una futura rivincita.