Andrea Bassi, Milano Finanza 10/6/2009, 10 giugno 2009
No del governo a Telecom-Telefonica - Paolo Romani, nel suo nuovo ruolo di viceministro delle Comunicazioni, lo ha detto per la prima volta chiaro e tondo: Telecom Italia deve restare italiana
No del governo a Telecom-Telefonica - Paolo Romani, nel suo nuovo ruolo di viceministro delle Comunicazioni, lo ha detto per la prima volta chiaro e tondo: Telecom Italia deve restare italiana. Lo ha detto a Franco Bernabè, lo ha chiarito al numero uno di Telefonica Cesar Alierta, lo ha assicurato anche al ministro brasiliano delle Comunicazioni, Helio Costa, che ieri era a Roma proprio per incontrare Romani. Insomma, se sarà necessario, il governo porrà il veto a una fusione Telefonica-Telecom che sposti verso Madrid la cabina di comando della società. Romani è stato chiaro anche su un’altro punto. Telecom è una società privata, ma il governo è un «forte uditore» di quello che accade in Corso Italia riguardo al modo in cui Bernabè pensa di sistemare i 36 miliardi di debiti. L’infrastruttura strategica, secondo il viceministro, deve restare sotto il controllo italiano. Lo scorporo della rete Telecom, ha detto Romani, «non è un’ipotesi di lavoro», ma resta un’opzione. Come dire, l’arma finale che il governo tiene nella fondina casomai gli spagnoli avessero intenzione di alzare la testa. Le rassicurazioni di Romani sulla proprietà di Telecom sembrano aver convinto anche Costa. Il ministro brasiliano ha garantito a Romani che l’Anatel darà esito positivo al cosiddetto «total di svincolaçao», il procedimento che deve stabilire se Telefonica ha un controllo, seppur indiretto, su Tim Brasil. La decisione potrebbe arrivare già nei prossimi giorni, sicuramente prima della fine del mese e, come anticipato da Costa, sarà positiva. In realtà sarebbe la quarta verifica intermedia fatta da Anatel sugli impegni imposti a Telefonica (tra i quali quello di non partecipare ai board di Telecom in cui si decide sul Brasile), ma dopo le vicende argentine era una decisione particolarmente attesa e non del tutto scontata. Il vento volge al buono anche su un altro fronte per Bernabè: quello del rapporto Caio. Sospesa (ma non archiviata), l’ipotesi dello scorporo della rete, la rielaborazione fatta da Romani del piano Caio nella parte in cui indica come ridurre il digital divide sembra non dispiacere troppo all’ex monopolista. Romani, a valle del piano Caio, ha deciso di stabilire due obiettivi, uno di breve termine e uno di medio termine. Il primo consiste nel portare banda larga tra 2 e 20 Mega a tutti quelli che oggi sono scollegati. L’obiettivo di medio termine, invece, sarà il miglioramento delle infrastrutture del Paese con una rete di nuova generazione in fibra e con un investimento di 10 miliardi di euro. Del come sarà perseguito questo secondo obiettivo, tuttavia, non se ne parlerà prima di 6-12 mesi. Per ora si partirà solo con il progetto di azzeramento del digital divide. In che modo? Romani ha scelto una strada diversa da quella indicata da Caio (illustrata nella tabella in pagina). Il consulente del governo ha stimato che per eliminare il digital divide (12% della popolazione), sono necessari 1,2-1,3 miliardi di euro. Per portare la banda larga in tutte le case, Caio aveva indicato un mix di tecnologie. Quasi la metà degli investimenti (4-5% dell’intero digital divide) si sarebbe dovuto riversare sulle reti mobili. Un altro 4% di quel 12% di digital divide avrebbe dovuto essere superato con tecnologie fisse, mentre la parte restante con un mix fisso-mobile. La scelta di Romani, invece, è stata differente: si userà soprattutto fibra ottica su rete fissa, mentre si interverrà con l’accesso radio solo laddove non risulti conveniente intervenire con investimenti nel fisso. Il 95,6% della popolazione sarà quindi raggiunto dalla fibra, mentre solo il 3,9% con tecnologie mobili. Quanti soldi serviranno per colmare il digital divide e quanti ne tirerà fuori lo Stato? Secondo i calcoli di Romani saranno necessari 1,471 miliardi di euro. Ce li metterà quasi tutti lo Stato (i privati dovranno coprire solo 200 milioni). Ottocento milioni arriveranno dai fondi Fas per la banda larga che dovrebbero essere sbloccati dal Cipe, altri 264 milioni sono già disponibili per il vecchio progetto di Infratel sul digital divide e altri 188 milioni arriveranno da Fesr per le aree rurali. A chi andranno questi soldi? Il governo organizzerà delle gare divise per macroregioni su progetti che dovranno essere presentati dagli operatori ma anche dai fornitori di tecnologie (Ericsson, Alcatel ecc.). Chiunque vinca la gara, però, dovrà in pratica investire nella rete Telecom. Romani, infatti, ha spiegato che 564 milioni serviranno per connettere 2.900 centrali (sottinteso Telecom) in fibra ottica, altri 161 milioni serviranno a rinnovare vecchi apparati in 8 mila nuove centrali e 747 milioni per bonificare la rete di accesso incrementando la connettività sia fissa che mobile. «La proposta del governo», ha detto ieri Jonny Crosio, deputato leghista in commissione Trasporti, «sembra essere quella di garantire, o meglio, di finanziare, l’adeguamento della vecchia rete in rame di Telecom Italia». L’interpretazione di Romani del piano Caio, dunque, sembra più favorevole a Bernabè che, forte del suo recente accordo nel wi-max con Aria, potrà candidarsi a gestire anche il superamento del digital divide con tecnologia radio.