Guido Ruotolo, La stampa 10/06/2009, 10 giugno 2009
I TRAFFICANTI DI MERCE UMANA
Procuratore Vittorio Borraccetti, cinquanta arresti in tutta Europa. Migliaia di clandestini curdi-iracheni sbarcati a Venezia, ad Ancona, a Bari e a Brindisi. Dunque, non è solo Lampedusa la porta d’ingresso in Europa dei disperati...
«Abbiamo neutralizzato un’organizzazione transnazionale che trasferiva cittadini di etnia curda prevalentemente dall’Iraq verso territori dell’Europa. La nostra inchiesta, nell’arco di due anni ha documentato un trasferimento di circa cinquemila persone. Ma è ipotizzabile che in realtà siano molti di più quelli che sbarcano in Italia attraverso i porti dell’Adriatico».
Come era articolata l’organizzazione criminale?
«In cellule presenti in tutti i Paesi coinvolti dal traffico. La caratteristica principale di questa organizzazione era la flessibilità, ovvero era in grado di rispondere a ogni esigenza organizzativa posta dalla gestione del traffico».
Agli atti dell’inchiesta, anche episodi di violenza sessuale, di resa dei conti - tentati omicidi - tra i vari sodali. Quale era il rapporto tra l’organizzazione e le sue vittime. Ovvero i clienti-clandestini?
«Noi non abbiamo contestato la tratta di esseri umani ma l’associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In sostanza, questa organizzazione lucrando sul bisogno delle persone di scappare dalla guerra, dalla fame e dalla violenza ha assicurato loro una prestazione. E cioè l’organizzazione del viaggio. Facendoselo pagare a un prezzo molto caro. E imponendo ai clienti un contratto che non potevano rescindere».
Durante le indagini, sono stati trovati anche cadaveri di extracomunitari, morti asfissiati durante il viaggio...
«Purtroppo questi episodi sono stati la conferma che le modalità di trasferimento, che le condizioni di viaggio delle persone spesso al limite dell’umano. Naturalmente, per l’organizzazione questi erano incidenti non voluti. Insomma, tutti dovevano arrivare sani e salvi a destinazione».
Morti annegati durante i viaggi dalla Libia a Lampedusa. Morti asfissiati nei tir diretti in Germania o in Svezia...
«C’è troppa gente che scappa dalla fame, dalla guerra, dalla violenza. E che è disposta a tutto, anche a sfidare la morte». /Xapo e Safò parlano del trasferimento dei «ragazzi». Delle tre auto che viaggeranno distanziate di una quindicina di chilometri l’una dall’altra. Perché non si sa mai... A un certo punto chiede Xapò: «Li facciamo salire come in un autobus normale, come capre?». Si offende, Safò: «Ma cosa dici come capre, mancava solo questo... no, non come capre, facciamo (salire, ndr) come pecore...».
Scampoli di intercettazioni telefoniche che raccontano l’immondo traffico di «merce umana», di quelle migliaia e migliaia di disgraziati, di poveracci, di uomini e donne che scappano dalla guerra, dalla fame, dalle violenze e che si consegnano alle organizzazioni criminali per poter raggiungere l’Eldorado-Europa. Non solo l’Italia, ma i Paesi Scandinavi (Svezia, Norvegia e Danimarca), la Germania, la Francia, la Svizzera, la Gran Bretagna, l’Olanda e il Belgio. Organizzazioni che sono radicate e in rete tra loro in tutti i Paesi interessati dal traffico.
Peccato, che solo oggi, a urne chiuse, una bella inchiesta della Procura di Venezia, degli investigatori della Mobile di Alessandro Giuliano, della seconda divisione del Servizio centrale operativo diretta da Edgardo Giobbi, sia riuscita a raccontare concretamente quali e quanti sono gli interessi economici (milioni di dollari) che muovono le organizzazioni criminali internazionali che trafficano «merce umana».
Pensavamo che fosse Lampedusa la porta d’ingresso dei flussi di disperati in Italia-Europa. Per impedire gli sbarchi, con i respingimenti in mare sono state violate le leggi internazionali. E invece, questa operazione della polizia e della magistratura veneziana racconta che solo una organizzazione criminale, in due anni, ha trasferito in Italia e da qui nel resto dell’Europa almeno 5.000 clandestini, fatturando circa 30 milioni di dollari (sono le stime degli investigatori). E il viaggio avveniva utilizzando traghetti di linea salpati dalla Grecia e attraccati nei porti dell’Adriatico, Ancona e Venezia soprattutto. Ma, naturalmente, anche Bari e Brindisi. E che gli «spalloni» dell’organizzazione radicata ad Ancona, Roma, Milano, Rimini, Como, garantivano ai clandestini il trasferimento in Francia (attraverso Ventimiglia) o in Germania.
Insomma, Lampedusa rappresenta soltanto una piccola fetta (7-10%) dei flussi di irregolari che transitano nel nostro Paese. Una fetta del 40% è invece rappresentata dagli ingressi via mare e terra soprattutto attraverso le coste adriatiche. E il resto sono gli stranieri che arrivano con un permesso di soggiorno o un visto turistico e poi si inabissano, entrano in clandestinità.
L’inchiesta veneziana prende l’avvio dal ritrovamento, il 23 maggio del 2006, di 36 clandestini nascosti un un autoarticolato sbarcato nel porto di Venezia da una nave di linea greca. Racconta uno dei 36 clandestini, Mohammed Omar: «Circa un mese fa ad Istanbul ho pagato a una agenzia circa 2.500 dollari perché mi portasse clandestinamente in Grecia. Questa agenzia, legata all’organizzazione, rilasciava anche la ricevuta, perché qualora il viaggio non andasse a buon fine potevamo avere i soldi indietro. Il viaggio dalla Turchia verso la Grecia è durato sei giorni e l’ho fatto a piedi con due guide dell’organizzazione. Durante questi sei giorni siamo rimasti senza mangiare. Camminavamo soltanto di notte, di giorno restavamo fermi. Con me c’erano circa 24 persone di varie nazionalità. Giunti al confine con la Grecia le due persone dell’organizzazione si facevano consegnare le ricevute di pagamento dell’agenzia turca. Sul confine di notte sono arrivati due furgoni e siamo stati condotti ad Atene, dentro un appartamento dove ci era impedita l’uscita».
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, l’organizzazione era strutturata in «cellule» operative in tutte le stazioni di transito dei clandestini. Queste cellule erano dotate di una grande flessibilità. Se era necessario, i suoi uomini si trasferivano da una sede all’altra. Dalla Grecia all’Italia, da Ancona a Ventimiglia. Solo a Roma erano operative tre cellule: «il gruppo di Erbil», quello dei «Chamchamali» e il gruppo «dei Badini». Ogni cellula gestiva i clandestini provenienti da Erbil, da Kirkuk, Monsul, Dohuk. Città del Kurdistan iracheno. Da ogni clandestino, l’organizzazione si faceva pagare dai 4.000 agli 8.000 dollari. I pagamenti avvenivano anche utilizzando il circuito finanziario dei «money transfer». Gli arresti, una cinquantina, sono stati eseguiti in Italia e nei Paesi europei coinvolti nel traffico.