varie, 10 giugno 2009
STUDIARE ALL’ESTERO PER VOCE ARANCIO
In un anno sono stati 25 mila i ragazzi italiani che hanno studiato o lavorato all’estero.
Il più noto progetto grazie al quale gli universitari possono studiare in altri Paesi è l’Erasmus. Nato nel 1987 su iniziativa della Comunità Europea, permette a uno studente di sostenere esami (per un periodo che va da 3 mesi a un anno) in un’università straniera dell’Unione europea. Per gli anni 2007/2013 la Comunità Europea ha stanziato 3,1 miliardi di euro per il progetto. Da questi soldi provengono le borse di studio. Lo studente che vuole partecipare all’Erasmus fa la domanda alla propria facoltà, una commissione valuta la candidatura. Nell’anno seguente lo studente, con il sostegno della borsa di studio (calcolata in base alla fascia di reddito e al merito) potrà partire nel semestre da lui scelto e svolgere nell’università straniera gli esami che poi vengono riconosciuti anche dal proprio ateneo.
Tra i 17 mila studenti italiani che hanno partecipato nel 2007 all’Erasmus, oltre 6.350 hanno studiato in Spagna (che è scelta dal 17% di tutti gli studenti europei). Il secondo posto è occupato dalla Francia che ha accolto 2.687 italiani, seguita dalla Germania con 1.708 e dal Regno Unito con 1.326 universitari. Il maggior numero di studenti Erasmus arriva dalle facoltà di Lingue e Filologia (3.144), da Scienze sociali (2.214) e dall’area disciplinare di indirizzo Economico e management (2.053).
L’ateneo italiano da cui parte il maggior numero di studenti per l’Erasmus è quello di Bologna, che è anche l’università dove gli stranieri vengono di più. Sono 1.311 gli studenti iscritti all’ateneo emiliano che, nell’anno accademico 2006-2007, hanno partecipato al programma. La Sapienza di Roma mantiene la seconda posizione con 942 Erasmus, seguita dai 767 provenienti dall’ateneo di Padova. Per il Sud Italia si distingue il Federico II di Napoli con 497 studenti.
Sei studenti su dieci che usufruiscono dell’Erasmus sono ragazze. Oltre il 60% di queste ha tra i 21 e i 23 anni.
Un parere di Umberto Eco: «Ho sempre sostenuto che il progetto Erasmus ha non solo valore intellettuale, ma anche sessuale, o se volete genetico. Mi è capitato di conoscere molti studenti e studentesse che, dopo Progetto Erasmusun certo periodo trascorso all’estero, si sono sposati con una studentessa o uno studente locale. Se la tendenza s’intensifica, visto che poi nascerebbero figli bilingui, in una trentina d’anni potremmo avere una classe dirigente europea almeno bilingue. E non sarebbe poco».
Il 16% di chi ha fatto l’Erasmus, un anno dopo la laurea lavora all’estero (una percentuale quattro volte superiore rispetto ai non Erasmus).
Negli ultimi anni però anche l’Erasmus si è evoluto e adesso c’è l’Erasmus student placement che offre la possibilità di fare uno stage (da tre mesi a un anno) in imprese, enti o organizzazioni europee con un contributo comunitario di 600 euro al mese (solo per i primi sei mesi). In certi casi addirittura le aziende che ospitano lo stagista aggiungono al contributo europeo una sorta di piccolo stipendio. Al termine del periodo di tirocinio, le attività svolte sono riconosciute nel curriculum universitario. I posti però sono ancora pochi: finora sono state assegnate 800 borse, oltre 250 per la Spagna, 134 nel Regno Unito e poco meno di 200 tra Francia e Germania. Aida Riolo, coordinatrice dell’ufficio Stage/JobGate dell’università Bocconi, dice che le opportunità non sono solo in grandi aziende, ma anche in piccole realtà come gallerie d’arte, musei, piccole imprese e studi professionali. Quest’anno l’università Carlo Cattaneo – Liuc (in provincia di Varese) ha offerto ai suoi studenti possibilità in multinazionali, istituti bancari e studi legali in Spagna, Romania, Lussemburgo, Irlanda. L’università di Bologna manderà gli universitari a fare stage al Museo Louvre di Parigi, oppure presso il colosso chimico tedesco Basf, o nella casa farmaceutica americana Eli Lilly.
Altre proposte di formazione all’estero. Ogni anno il Programma Fulbright offrirà più di cento borse di studio per frequentare corsi di specializzazione post-laurea, master o dottorati, presso università statunitensi. L’università King Abdullah in Arabia Saudita propone il programma Kaust discovery scholarship per gli iscritti ai corsi di laurea triennali in facoltà tecnico-scientifiche di altri Paesi. Sempre destinato a studenti di facoltà tecnicoscientifiche è il Vulcanus, programma che offre soldi a stagisti in industrie giapponesi: dura un anno (quattro mesi di corso intensivo di lingua giapponese e otto mesi di tirocinio) e il contributo è di 16.500 euro più le spese per l’alloggio. Per i laureati in materie umanistiche c’è la borsa di studio offerta dal Coasit per un tirocinio di otto mesi per l’insegnamento della lingua e della cultura italiana in Australia e Tasmania.
Avere uno stage all’estero nel curriculum procura uno stipendio più alto. Un’indagine di Almalaurea rivela che l’Erasmus non ha, almeno all’inizio della carriera, una grande influenza sulle remunerazioni. Un tirocinio invece sì. Angelo Miglietta, segretario generale della Fondazione Crt (che ha finanziato centinaia di tirocini in tutto il mondo ai giovani più brillanti degli atenei piemontesi e della Valle d’Aosta), calcola che chi fa stages all’estero guadagna un 32% in più rispetto agli altri. C’è da considerare però che lo stage è costoso: si calcola che servano almeno 1.000 euro al mese (e di solito l’eventuale borsa di studio è inferiore a questa cifra).
Quali le professioni per le quali le borse sono più gettonate e aiutano maggiormente? Risponde Giuseppe Caldiera, direttore generale della Fondazione Cuoa di Vicenza, centro di studi economici che svolge attività di ricerca, insegnamento e diffusione della cultura imprenditoriale e manageriale: «Ritengo che oggi siano utili soprattutto le borse che finanziano i corsi di general management e i master in business administration. Infatti sono molto richieste figure professionali nel settore del retail (marketing e distribuzione) e della finanza (sia bancaria sia aziendale), per cui sono utili questi tipi di master».
Comunque lo studio all’estero non è destinato solo agli universitari. Infatti si può fare anche un anno di liceo all’estero. il progetto Intercultura, che permette agli studenti di vedere come funzionano le scuole all’estero. Quest’anno sono arrivate oltre 3.200 domande per partecipare ai programmi che cominceranno a giugno. Intercultura ha selezionato 1.446 studenti, principalmente di 17 anni di età, il 30% in più rispetto all’anno scorso. Novecento ragazzi passeranno da sei mesi a un intero anno scolastico oltre confine: di Studentiquesti il 67% è in partenza per destinazioni non anglofone. Per due terzi dei ragazzi sono previste borse a copertura totale o parziale dei soggiorni, erogate dal fondo Intercultura ma anche da aziende, banche, fondazioni ed enti locali.
Come funziona il programma di scambio Intercultura. Lo studente (età tra i 15 e i 18 anni) fa la domanda online. Indica i paesi in cui vuole andare e la durata dell’esperienza (da qualche settimana a un anno). Si può avere diritto a una borsa di studio, che copre tutte le spese o anche solo in parte. Quelle di Intercultura vengono concesse in base ai redditi famigliari. Poi ce ne sono altre messe a disposizione dalle aziende: alcune sono destinate ai figli dei dipendenti, altre sono riservate ai clienti (per esempio, lo fanno alcune banche). Una volta presentata la domanda si deve superare una selezione (test di idoneità, colloqui individuali, attività di gruppo, incontri con i genitori ecc.). I ragazzi selezionati andranno a vivere in famiglie e frequenteranno scuole locali.
L’anno prossimo dovrebbe uscire il bando per il programma Individual pupil mobility, più noto come Erasmus junior, che nella fase sperimentale conclusa nel 2008 ha visto la partecipazione di 81 italiani tra i 14 ei 18 anni. I prescelti hanno frequentato gratuitamente un trimestre o un semestre di scuola in un altro paese europeo (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Portogallo).
Il primo programma di scambi internazionali per studenti in Italia è stato inaugurato dall’università Bocconi nel 1974 con la New York University. La Bocconi oggi vanta partnership con oltre 180 atenei nel mondo: nel 2008 più di 2.500 studenti hanno studiato all’estero, di questi 700 hanno svolto stages. Europa e Nord America le mete più gettonate, che catturano oltre 700 studenti ciascuna. All’università di Bologna circa 1.500 studenti sono coinvolti nel programma Erasmus e altri 400 sono in Argentina, India, Cina e Stati Uniti. Chi può chiede di uscire dalla Ue: alla Cattolica, ad esempio, su 906 ragazzi che hanno partecipato ai programmi di mobilità solo il 35% è rientrato nell’Erasmus, mentre 520 hanno scelto Stati Uniti, Argentina e Australia. Per gli studenti Luiss è la Cina il Paese di riferimento.
Ci sono anche gli studenti che all’estero ci vanno non per un breve periodo, ma per tutto il corso di laurea. Nel 2006 gli studenti iscritti a un ateneo straniero erano 38.690, con una preferenza per le università tedesche (20%, 6.802 presenze nel 2007). Nel 2005, in Francia, gli italiani erano 2.805, contro i 2.879 negli atenei svizzeri. Nello stesso anno in Gran Bretagna erano 3.552. A determinare le scelte è sicuramente la qualità delle università, ma anche i costi. Alla Freie Universität di Berlino, per esempio, si pagano circa 850 euro di iscrizione. In Svizzera si va da un massimo di 500 euro nel pubblico, ai 3.000 e oltre del privato. Un anno alla Columbia di New York costa in media 26 mila euro l’anno, all’Imperial College di Londra si va dai 18.500 ai 46.500 euro.
E gli stranieri che vengono a studiare in Italia? Tra il 2004 e il 2006 i corsi delle nostre università hanno attratto un 20% in più di studenti di altre nazionalità: da 40 mila a 48 mila. Nel flusso mondiale di studenti universitari che si iscrivono all’estero (2 milioni e 700 mila), la percentuale che arriva in Italia è bassissima: 1,67%, dietro a Regno Unito (11,3%), StudentiGermania (8,9), Francia (8,5). Siamo superati anche dalla Spagna (1,74) che tende a crescere. Gli studenti stranieri che frequentano le nostre università arrivano In massima parte dall’area del Mediterraneo. La più numerosa è la comunità albanese, con 8.500 iscritti: dieci volte più grande della comunità francese e venti volte quella spagnola. Pochissimi dagli Stati Uniti e dai Paesi emergenti (India, Cina, Brasile).
Anche gli studenti Erasmus stranieri scelgono poco l’Italia. I risultati di un sondaggio rivela che l’83% degli intervistati dichiara di spendere di più in Italia rispetto al proprio Paese. La voce più costosa è l’affitto (per il 69%). Seguono il cibo per il 14,4% e il divertimento per il 12,6. Il 4% trova troppo cari i libri. L’università italiana che il 71% degli intervistati è peggiore di quella del proprio Paese. Di questi il 39,6% trova pessimo lo stato delle strutture. Seguono la scarsità dei servizi web (24,4%), la difficoltà ad avere informazioni che servono (19,5%) i professori (16,5%). Ulteriore difficoltà è la lingua. Il 47% giudica insufficiente o scarsa la propria conoscenza dell’italiano, il 30,6% sufficiente e solo il 22,4% la ritiene buona. Quasi tutti invece dichiarano di aver visto migliorare il proprio italiano durante la permanenza nel Belpaese. Il merito però non è stato certo dei corsi organizzati nelle università, bocciati dal 52,6% degli intervistati, fra i quali il 30,6% non ha neanche cominciato a frequentarli.