Gustavo Zagrebelsky, la Repubblica 10/06/2009, 10 giugno 2009
LIBERT E RESPONSABILIT DELLE FONDAZIONI
A dieci anni dalla «riforma Ciampi» e a sei dalle sentenze della Corte costituzionale che ne hanno fissata la natura, si può tentare, se non un bilancio, almeno qualche considerazione generale circa la corrispondenza tra l´essere e il dover essere delle fondazioni di origine bancaria: qualche considerazione generale destinata principalmente a formulare domande, la risposte alle quali è di competenza di coloro che del modo d´essere e di operare delle fondazioni portano, a qualche titolo, la responsabilità.
Le fondazioni sono il risultato della trasformazione ope legis degli originari «enti conferenti» che, all´inizio degli anno ”90, hanno operato la trasformazione degli enti creditizi in società per azioni. Esse sono diventate persone giuridiche private senza fine di lucro, la cui dotazione patrimoniale consiste nei risultati economici dell´amministrazione dell´originaria partecipazione azionaria al capitale delle società bancarie e sono chiamate a perseguire « esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico «. Questi scopi sono assorbenti. Nulla residua, al di fuori di essi. Non solo la destinazione del reddito derivante dagli investimenti del capitale (le «erogazioni»), ma il capitale stesso è totalmente vincolato, e da questi scopi sono radicalmente escluse le attività d´impresa o di finanziamento diretto o indiretto di attività d´impresa, compresa, per esplicita e diretta sottolineatura, l´attività creditizia. L´origine bancaria dovrebbe dunque oggi essere solo il ricordo di una vicenda ormai chiusa, appartenente non alla storia ma alla preistoria delle fondazioni volute dalla legge Ciampi. Le «dismissioni» delle partecipazioni nel capitale delle società bancarie, imposte per legge, avrebbero dovuto segnare, per l´appunto, la cesura tra preistoria e storia attuale.
Nel 2003, le fondazioni sono state oggetto di due sentenze della Corte costituzionale che ne ha precisato il «posto istituzionale» che compete loro., ascrivendole alla sfera delle «libertà sociali». Esse - è stato detto - appartengono a una dimensione della vita collettiva che non si lascia ridurre alla «grande dicotomia» di cui parlava Norberto Bobbio, tra il pubblico, come gestione autoritativa di interessi collettivi, e il privato, come libero perseguimento di fini d´interesse individuale. In breve, si tratta (a) di soggetti giuridici privati, (b) espressione di auto-organizzazione sociale, (c) dotati di un proprio patrimonio, gestito in modo non speculativo, (d) operanti per la cura d´interessi non politici ma, ugualmente, generali o collettivi, delle comunità di riferimento, al di fuori di qualsiasi intento o scopo di lucro. Né stato né mercato, ma socialità. Così, le fondazioni sono venute a collocarsi in uno spazio che ha un preciso significato costituzionale cui si riferiscono gli artt. 2, 18, 41 e 43 della Costituzione, come ispirazione generale di una «democrazia sociale»: ispirazione che, secondo l´art. 118, assurge a criterio di organizzazione delle funzioni di rilevanza pubblica.
Le Fondazioni occupano dunque uno spazio che è tipico, ma è anche precario perché esposto alle pressioni e alle tentazioni che vengono dai due lati dell´esposizione, l´economia e la politica. Il raggiungimento e la difesa dell´equilibrio tra l´una e l´altra sono tutt´altro che facili, in un contesto come il nostro, dominato da stretti legami tra politica e finanza, entro i quali le fondazioni sono chiamate a destreggiarsi. (...)
Presso l´opinione pubblica avvertita, che è quella che spesso risulta determinante tra i fattori di pre-comprensione che guidano anche gli atteggiamenti dei giudici in materie dove dominano fattori tecnici, come quello di cui ci stiamo occupando, non risultano facilmente giustificabili, alla luce della posizione e dei compiti che sono attribuiti alle nostre fondazioni - oggi si dice della loro mission - comportamenti che sembrano pregiudicare negativamente la loro posizione sui due versanti rispetto ai quali essa si gioca e nei confronti dei quali deve preservarsi la loro autonomia. Noi non ignoriamo affatto che sempre, e particolarmente in un momento come è l´attuale di crisi economica dalle pesanti conseguenze sociali, tutti gli attori istituzionali devono cooperare per non disperdere le energie e per concentrare le scarse risorse esistenti, in vista di un interesse comune che li trascende tutti. Ma questo deve avvenire nel rispetto dell´originalità dei ruoli rispettivi.
Così, presso quell´opinione pubblica avvertita, non giovano le contese politiche che accompagnano la vita delle fondazione nei momenti di formazione dei loro organi e nei momenti importanti della loro attività; contese da cui viene talora accreditata l´impressione ch´esse siano concepite come enti strumentali delle amministrazioni pubbliche locali, da occupare con i propri uomini. D´altra parte, non giovano nemmeno i coinvolgimenti con le politiche finanziarie delle banche da cui, pur al di là del rispetto formale delle norme di legge, sembra risultare la perduranza di intrecci d´interesse con i quali le fondazioni dovrebbero ormai avere sciolti i propri legami. Queste impressioni alimentano l´idea che l´amministrazione dei grandi patrimoni delle fondazioni serva ad altro che a fornire le rendite migliori per alimentare le proprie attività erogative a favore della collettività, attività per le quali anche la struttura organizzativa e funzionale - la governance, si dice oggi - non è adatta, e che l´autonomia di cui gli enti gestori godono non sia, in pratica, giustificata dal loro particolare legame di responsabilità sociale nei confronti delle comunità di cui essi devono essere la rappresentazione, e sia invece uno schermo per scelte politico-amministrative e imprenditoriali sottratte alla responsabilità ora della politica, ora del mercato. (...)
La strada per consolidare la posizione delle fondazioni, riempirla di significato conforme alla democrazia in senso sociale e sottrarla a quello che è stato definito il pericolo della loro «autoreferenzialità» non può che essere di stabilire nessi e collegamenti circolari di affidabilità e ricettività con l´ambiente in cui esse operano, dove circolino informazioni, si esprimano bisogni, si formulino progetti e domande, entro un sistema di «libertà sociali» accompagnate a «responsabilità sociali». I due concetti di libertà e responsabilità sono naturalmente correlati e la loro correlazione è condizione per poter parlare delle fondazioni come soggetti appartenenti alle comunità territoriali di riferimento e per far sì che le prime vengano sempre più percepite come elementi portanti delle seconde. Non sovrappiù, aggiunte, sovrapposizioni, ma parti integranti, anzi integratrici. L´autonomia delle fondazioni ha questo primario obbiettivo, di formazione e tenuta del tessuto sociale.
In questa direzione, può concorrere la pubblicità dei loro progetti, alla cui realizzazione siano chiamati a concorrere tutti i soggetti interessati, la selezione tra quali sia fatta con criteri di trasparenza, oggettività e imparzialità, secondo procedure che assicurino forme di partecipazione cooperativa; il diritto degli interessati alla motivazione delle decisioni di diniego, utile particolarmente nel caso del concorso di pluralità di domande d´accesso al medesimo finanziamento; procedure di rimostranza presso organi di garanzia, dotati di autonomia funzionale, da attivare in caso di decisioni che si ritengano discriminatorie (...); la pubblicità preventiva dei progetti di finanziamenti di rilevante importo (...); l´istituzione di una Autorità indipendente, cioè non governativa – eventualmente, in assenza di iniziativa legislativa in proposito, anche per determinazione autonoma del sistema stesso delle fondazioni -, garante della legalità, della trasparenza e della "buona gestione" - nell´interesse dei soggetti terzi - delle attività istituzionali delle Fondazioni e della destinazione dei loro patrimoni.
(Questo articolo è un ampio stralcio dell´intervento che l´autore terrà oggi a Siena al congresso delle Fondazioni di origine bancaria)