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 2009  giugno 10 Mercoledì calendario

MOUSSAVI (MOUSAVI) Hossein Khameneh (Iran) 29 settembre 1941. Politico. Nel 2009 candidato alle presidenziali iraniane • «[

MOUSSAVI (MOUSAVI) Hossein Khameneh (Iran) 29 settembre 1941. Politico. Nel 2009 candidato alle presidenziali iraniane • «[...] Primo Ministro, prima dell’abolizione costituzionale della carica, architetto e pittore, presidente dell’Accademia dell’Arte iraniana e membro del Consiglio del Discernimento, Mousavi aveva guidato l’Iran dal 1980 al 1989 sotto la presidenza di Khamenei [...]» (Roberta Del Principe, ”Il Riformista” 26/5/2009) • «[...] un ”riformista” vecchia – anzi vecchissima – maniera di quelli statalisti, tradizionalisti, terzomondisti, di quelli senza grilli per la testa, mai un’iniziativa azzardata, un accento o un’esagerazione. Di quelli nati per dire che il pluralismo in Iran esiste perché ci sono i ”riformisti” e peccato che non abbiano mai saputo o voluto riformare nulla. Con l’ayatollah Ali Khamenei [...] Moussavi vanta una lunga conoscenza, ma i rapporti, soprattutto negli anni Ottanta, sono stati tutt’altro che cordiali [...] ha il carisma di un sasso [...] Parla di rilanciare l’ economia ma resta vago. Interviene sui diritti umani però sempre con il freno a mano tirato perché altrimenti i conservatori oltranzisti si inquietano e lui non vuole rischiare [...] Zahra Rahnavard [...] la moglie di Moussavi [...] si è conquistata articoli sulla stampa iraniana ma anche sul Guardian e sul Washington Times. [...] è una donna nota che ha diretto un’università femminile (al Zahra) e lavorato per Khatami [...] è una donna con un’alta opinione di sé, e questo traspare. Messa accanto al marito lui scompare. [...] Il giornalista Mohammed Atrianfar ricorda che quando fu vagliato il curriculum di Moussavi come possibile primo ministro molti si stupirono: "Moussavi chi? Ah, il marito di Zahra Rahnavard”. Negli anni ruggenti della passione khomeinista Rahnavard non è passata inosservata. Ha cavalcato femminismo e islamismo riconciliandoli in una sintesi ambigua e contraddittoria che l’ha allontanata dal movimento e avvicinata al potere. Con la benedizione dell’establishment è stata insignita dello status di ”intellettuale” e con questo passaporto ha scritto innumerevoli saggi e 15 libri su islam e tematiche femminili. Si è anche scoperta scultrice e nell’ultimo de cennio la definizione con cui preferisce descriversi è quella di ”artista”. Laureata in scienze politiche ha allungato le fila dei consiglieri di Khatami. Anni fa se le chiedevi di terrorismo ti rispondeva che terroristi sono gli imperialisti americani che attentano alla libertà altrui, schiavizzano i loro popoli e le loro donne. Se le domandavi quali fossero i suoi obiettivi politici ti spiegava che può esserci un solo obiettivo: combattere gli infedeli ”come un martire pronto a versare fino all’ultima goccia di sangue” e che c’è un’unica ambizione per cui valga la pena di avere vissuto: vedere il giorno in cui i musulmani di tutto il mondo si alzeranno e il globo si trasformerà ”in un giardino islamico di fede eguaglianza e giustizia”. Con gli anni i suoi toni si sono ammorbiditi. Non ha rinnegato il passato, ma in tema di libertà i suoi orizzonti si sono ampliati. Ha difeso Hashem Aghajari, lo storico iraniano accusato di apostasia nel 2002 ed è intervenuta sull’autodeterminazione femminile in tema di abbigliamento. Lei che un tempo osannava il chador nero integrale come antidoto ai guasti del neocolonialismo occidentale oggi dice ”le donne devono poter indossare i colori”. Se c’è qualcuno per cui Rahnavard ha combattuto è stato per le sue studentesse: da rettore si è spesa contro i tradizionalisti che osteggiavano l’apertura della ricerca scientifica alle donne. Convinta delle proprie ragioni e di aver fatto abbastanza per dimostrare la sua adesione agli ideali rivoluzionari Rahnavard si è concessa qualche licenza come invitare all’università Shirin Ebadi che non è una pericolosa sovversiva ma un’altra che si è fatta molto notare e non solo per il Nobel. Tra i falchi c’è chi non ha dimenticato. Nell’ondata di epurazioni che hanno caratterizzato l’avvio dell’Amministrazione Ahmadinejad, Rahnavard è stata una delle prime teste a cadere. [...]» (Tatiana Boutourline, ”Il Foglio” 21/5/2009).