Luca Canali, Il Riformista 10/06/2009, 10 giugno 2009
«Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisamente inutili…. Così la pensano tre ex studenti su quattro»
«Cartesio, Aristotele e Rousseau? Noiosi, sorpassati e decisamente inutili…. Così la pensano tre ex studenti su quattro». Un’intera pagina pubblicata di recente su un quotidiano, se non fosse agghiacciante potrebbe apparire degna di riso amaro. Il titolo su sei colonne: «A scuola meno latino e più italiano»: è ciò che dicono 1500 «giovani adulti» intervistati, ex studenti delle scuole medie superiori, delle università, e altri già fortunatamente al lavoro oppure «bamboccioni»: tutti fra i 19 e i 25 anni. I territori scelti per questa indagine sono quelli di Lecce, Siena, Bologna. Ma leggiamo poche righe impressionanti per la rozzezza che esse documentano: «Alla domanda sull’importanza assegnata alle singole materie d’insegnamento, solo 5 sulle 10 inserite nel questionario sono state valutate "molto importanti" da almeno la metà degli intervistati…; la terna delle competenze ritenute essenziali comprende l’inglese (85%), la "capacità di scrivere correttamente l’italiano" (sic!) (78%), la "capacità di usare le tecnologie informatiche" (72%)… Non la storia della letteratura, non la matematica… Al polo estremo della classifica, ecco le nuove Cenerentole: la filosofia… e la musica». In sostanza questi improbabili «giovani adulti» vogliono saper usare qualche centinaio di parole italiane, qualche congiuntivo, e ripetere topiche locuzioni TV o politiche («assolutamente sì», «portare avanti», etc). Stesso discorso sull’inglese (probabilmente senza aver mai letto Chaucer, Shakespeare, Sterne, Keats, Woolf Thomas, Joyce, etc; vietata dunque la storia della letteratura), ma sapendo alla perfezione chattare, mandare messaggini sul cellulare quando non lo si tiene all’orecchio gesticolando, e navigare su Internet fino alle due di notte preoccupando le madri per la perdita di sonno, e magari per qualche tappa in un sito porno dei loro figlioloni. Ma com’è possibile imparare davvero una lingua senza conoscerne la storia e l’uso da parte dei suoi più geniali rappresentanti? Apprendere una lingua senza conoscere almeno gli essenziali snodi della letteratura corrispondente, è solo un’offesa alla propria identità personale e culturale. Il latino e greco al classico sono ovvii. Il latino allo scientifico, con i suoi Lucrezio (La natura delle cose), Vitruvio (De architectura), Celso (De medicina), Manilio (Astronomica), Plinio (Storia naturale), etc., è necessario per non sfornare futuri ingegneri, chimici, medici, praticoni senza fantasia né carisma professionale. Insomma la pseudocultura dell’ utile subito non è che un’illusione, oppure una condanna a vivere in condizioni di subalternità ai più colti che magari hanno studiato e metabolizzato Machiavelli. Quanto ai professori, i giudizi negativi sulla loro capacità formativa di molti di essi sono in generale motivati, ma nessuno degli intervistati ha avuto la sensibilità di cercare la causa di questa carenza: cioè la difficoltà della loro entrata nei ruoli, gli stipendi miseri, l’arroganza spesso aggressiva delle famiglie, la difficoltà di governare classi spesso turbolente e abituate alla violenza assorbita da irresponsabili spettacoli televisivi (che usurpano la definizione di programmi d’intrattenimento), oltre che dalla cronaca nera di molti quotidiani che nei dettagli più orribili o pruriginosi dei delitti c’inzuppano il pane. Si aggiungano i molti supplementi di carta patinata d’una superficialità sconcertante e d’un quasi totale anche se lucroso asservimento all’ossessione pubblicitaria, una vera orgia di donne seminude e prive di grazia, bocche dalle tumide labbra rifatte, volti d’uomini tosti, com’è ora di moda dire, o dall’espressione perdutamente depressa. Del resto il pessimo esempio d’una classe dirigente e d’un ceto politico decaduti a incredibili livelli di dilettantismo e di rissosità, finisce per distruggere nei giovani quelli che un tempo si chiamavano, ed erano, idealità e utopia, divenuti ora vocaboli derisi o addirittura disprezzati in nome del brutale pragmatismo che è poi alla radice della costituzione di bande di giovanissimi stupratori in giro per la città, di bulli senza pietà fra le pareti o fuori dai portoni delle scuole, di vittime predestinate obnubilate dal flusso della droga e dal fragore delle discoteche il sabato notte. Da tutto ciò non può che derivare quella mancanza di cultura, o meglio quell’utilitarismo piatto e sfrenato che le risposte di questi «giovani adulti» rivelano. Non è forse inutile ricordare a tutti, padri e figli, che il disprezzo della cultura è sempre stato caratteristico delle dittature. Ricordate la frase di Baldur von Schirach, segretario generale della Hitlerjugend? Era il vero annuncio d’un programma distruttivo: «Quando sento la parola cultura, la mia mano corre istintivamente alla fondina della pistola». Anche lui avrebbe forse voluto parlare bene una lingua straniera, e anche la propria, e disprezzare la filosofia, il greco, il latino, e la letteratura in genere, esclusi naturalmente i pensatori e gli scrittori nazisti. Si dice giustamente che il livello di una democrazia si misura da quello della scuola, degli ospedali, delle carceri. Per quanto riguarda la scuola è inevitabile coinvolgere nelle inadempienze e persino colpevolezze i governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni. Una sola prova di ciò: insostituibili criteri di selezione dei docenti sono sempre stati i concorsi a cattedre e abilitazione nelle scuole medie inferiori e superiori. Ebbene, l’ultimo concorso avvenuto risale a dieci anni fa. Nel frattempo, corsi di aggiornamento, master etc., e insieme ammissione in ruolo di masse di precari giustamente affamati di lavoro stabile, e rimbalzati da una supplenza all’altra al fine di accumulare "punti" per le graduatorie di chiamata, hanno costituito soltanto un debole palliativo nell’assenza di regolari concorsi nazionali. Come può una scuola siffatta assolvere il suo compito di formazione culturale, ma anche morale, di moltitudini di ragazzi?