Gianluca Marziani, Il Riformista 10/06/2009, 10 giugno 2009
Il Pop conservatore con effetto Nike: U2, Moccia e Carta Pop: parola universale che suona come uno scoppio senza fine, l’unica realtà col rumore da bolla senza essersi mai rivelata bolla mediatica
Il Pop conservatore con effetto Nike: U2, Moccia e Carta Pop: parola universale che suona come uno scoppio senza fine, l’unica realtà col rumore da bolla senza essersi mai rivelata bolla mediatica. Sul fenomeno storico molto è stato detto, su come le sue radici si siano estese al presente non si parla quanto e come si dovrebbe. Esiste un fenomeno che più del Pop rappresenti uno tsunami di automatica e inconsapevole ramificazione sociale? Diciamo pure che l’involontarietà del pop ha determinato strane ibridazioni tra i "partecipanti" di classi, gruppi, caste o altri accorpamenti sociali. Volgarità ed eleganza slittano ormai confondendo lo sguardo, fino a non farci capire più se "l’uomo in Smart" sia l’archetipo dell’assicuratore in cravattona o una categoria aperta a cui apparteniamo tutti assieme, diversi ma simili dentro quella scatola mobile a benzina. Per capirci meglio, potremmo parlare di "effetto Nike", una categoria trasversale che passa dalla fetta suburbana alle eccellenze intellettuali di un contesto. Tutti dentro le stesse scarpe all’insegna di un’apparente democrazia pop. Solo apparente, però. Così come apparente era il gesto democratico di Andy Warhol, re degli snob mondani, maestro geniale che ha compreso, tra le molte cose, che la ricchezza chiedeva feticci somiglianti ma mai identici. Serigrafie tutte uguali ma ritoccate con smalti che davano il tocco di unicità e il timbro di autenticità lussuosa. In sintesi: molti avevano un poster di Marilyn, pochissimi il "poster" serigrafico di Warhol. Con le Nike è quasi la stessa cosa: perché tutti le portano eppure qualcuno sfoggia limited edition, modelli di Marc Newson, vintage rielaborate in Giappone da Junia Watanabe. Pezzi per pochi dai costi relativamente alti che esclusivi negozi, selezionati alla base, rendono accessibili per clientele "speciali". Diamo per scontato che il Pop sia un linguaggio ormai acquisito nel quotidiano involontario, una sorta di spirito del tempo che raggiunge magnifici esempi nel design e pessimi esempi in ambito televisivo. Basti paragonare i giorni milanesi del Salone del Mobile con il gossip d’accatto delle stesse ore sui canali generalisti. Da una parte il magnifico recupero di una cultura ecocompatibile all’insegna di materiali leggeri, colori aggressivi, qualità organica e una spudorata voglia di essere pop dentro la contemporaneità. Dall’altra le storie private di uomini pubblici, i loro scontati vizietti che vorremmo confinati fuori dalle cronache, lontani dai nostri occhi e dalle nostre orecchie. Lasciamo alle arti visive il ruolo di stimolatore sensoriale a distanza, così come avveniva a Via Tortona, Superstudio, via Forcella, via Savona, dentro vetrine e cortili, sempre tra lampi d’idee, allestimenti sensoriali, maestri e promesse, ecocompatibilità, riciclo funzionale, lampi scultorei. Potremmo dividere le forme spontanee del Pop in tendenza "conservativa" e "progressiva". La natura storica del Pop ha insegnato l’importanza della sintesi e della semplicità comunicativa, anche quando usiamo il linguaggio per spiegare un concetto. Quindi consideriamo le due categorie come un ironico spartiacque sociale, una bilancia del privato snobismo, forse un salvagente mediatico per filtrare il buono nella melma ipertelevisiva del presente. Pop Conservativo è un pop statico e meno propositivo, limitato nel suo coraggio espressivo, vincolato alle radici storiche, accondiscendente col pubblico generico, senza lo scatto che la ricerca chiede ad un atto creativo. Pop Progressivo indica, invece, un pop rielaborativo e combinatorio, plasmato sullo spirito del proprio tempo, amorevole con le proprie radici ma orientato al passaggio in avanti e al giusto rischio. Il lato conservativo del pop degenera verso le manie sociali, verso i codici di riconoscibilità urbana, verso il fatidico "effetto Smart" che uniforma gli utenti poco o per nulla consapevoli. Federico Moccia è un perfetto esempio di pop conservativo, Aldo Nove di pop progressivo. Marco Carta e Gigi D’Alessio sono conservativi, Arisa e Caparezza sono progressivi. Aeroporto Malpensa è un’opera conservativa di Sottsass, le sue ville multicolore sono opere progressive. Frank O. Gehry è vero pop progressivo in architettura, così come Gaetano Pesce rimane un maestro di design progressivo. Gli U2 sono invece un perfetto esempio di pop progressivo ormai degenerato nel conservativo: l’ultimo disco è puro mainstream senza anima, suoni costruiti per una riconoscibilità facile, messaggi edulcorati, edonismo turistico da Times Square. Tornando ai successi meritati del Salone del Mobile, un giusto esempio di pop progressivo è il designer Fabio Novembre. Poetico e trasversale il suo progetto "Il Fiore di Novembre" alla Triennale. Il designer dimostra di aver assimilato le migliori lezioni del pop storico, di aver metabolizzato gli anni 60 ma anche gli 80 di Memphis e Studio Alchimia. Usa la poesia scritta e la poesia delle forme disegnate, collega il corpo alla natura, evoca i cinque sensi e la bellezza delle cose semplici ma non semplificate. Recupera i valori del pensiero morale e li applica alle catene plastiche del suo immaginario 3D. Crea ambienti architettonici, oggetti, accessori con l’amore astratto da vero aartista con cui cura le sue mostre. Ragiona per pezzi unici, anche quando produce in formato industriale. Disegna sculture ideali, luoghi per il corpo che sono protesi poetiche del corpo stesso. Inclassificabile nei suoi slittamenti. Stupendamente pop. Progressivo. Giustamente in progress…