Paolo Di Stefano, Corriere della sera 9/6/2009, 9 giugno 2009
GADDA E IL FASCISMO, GLI ANNI CANCELLATI
Non si staccò nel ”34, ma chiese aiuto al regime e ottenne sussidi fino al ”42
Vi ricordate la furia verbale con cui Carlo Emilio Gadda si scagliava, in Eros e Priapo, contro il Duce, detto anche il Buce, «Consule Federsonio, Rosamaltonio enixa: Maledito Merdonio, dictatore impestatissimo…»? Quel pamphlet fu scritto nel ”45. Gli articoli consegnati a vari giornali tra il 1932 e il 1941 e inneggianti ai Littoriali fascisti (articoli raccolti qualche anno fa in volume) già mostravano tutte le contraddizioni politiche (o meglio impolitiche) dell’Ingegnere. Per il quale, fino a non molto tempo fa, faceva testo un’intervista del ”68 rilasciata a Dacia Maraini in cui dichiarava: «Solo nel ”34, con la guerra etiopica, ho capito veramente cos’era il fascismo e come mi ripugnasse». Ora, un saggio di Sergio Raffaelli, uscito nella rivista «Studi Italiani», nel mettere a fuoco i rapporti che Gadda intrattenne con la Reale Accademia d’Italia, dimostra la sua iscrizione al Partito nazionale fascista dal ”33 in poi.
Lo studio si fonda su una serie di lettere conservata nell’Archivio storico dell’Accademia nazionale dei Lincei. Nel ”39, Gadda è l’autore, già ben noto, di tre libri, l’ultimo dei quali, Le meraviglie d’Italia, uscito da poco per l’editore Parenti. L’11 novembre è la data della prima lettera che lo scrittore manda alla Reale Accademia per chiedere una sovvenzione, dichiarando di «appartenere al Partito Nazionale Fascista, al Fascio di Combattimento di Roma, al Gruppo Rionale Nomentano ’Mariano Catena’ e di detenere la relativa tessera (…); di non percepire alcun emolumento dallo Stato Italiano, salvoché la pensione di L. 88 = ottantotto annue, per una medaglia di bronzo al valore militare (…)». Aggiunge, rivolto agli «Ecc.mi Giudici Accademici », che «la condizione economica del sottoscritto è delle più modeste» e che le spese di stampa per i libri finora pubblicati sono state assunte dall’autore «con grave sacrificio economico ». Dopo aver verificato, attraverso la prefettura di Milano, la «regolare condotta morale e politica» del richiedente, il 9 aprile 1940 l’Accademia elargisce a Gadda una somma superiore alla media ma pur sempre modesta, 2000 lire. Il 2 maggio 1940, lo scrittore manda una deferente lettera al presidente Federzoni pregandolo «di voler accogliere l’espressione della mia viva gratitudine per questa deliberazione», da cui è sicuro di trarre «il miglior conforto a perseverare e a tentare il meglio ». Quell’anno, tra gli scrittori favoriti dalle decisioni dell’Accademia, ci sono, oltre a Gadda, Elsa Morante (1000 lire), Savinio (2000), Montale (5000).
Morta la madre, venduta la villa di Longone (il suo «verme solitario»), chiuse le ultime consulenze da ingegnere, nel ”40 Gadda si trasferisce a Firenze, dove intende fare lo scrittore a tempo pieno. Quella di via Repetti 11 sarà la sua prima casa, dopo tante pensioncine e camere in affitto. Il «trauma del trasloco» amplifica le sue preoccupazioni economiche. In novembre torna dunque a chiedere un sussidio alla Reale Accademia. Nella lettera di richiesta comunica l’uscita a puntate de La cognizione del dolore su «Letteratura » e dà come imminente la pubblicazione dei racconti (che usciranno invece più tardi). Dilugandosi in varie precisazioni: «Partecipo alla attività letteraria della nazione con scritti e articoli, alcuni dei quali concernenti il lavoro italiano» e informando di essere iscritto al Partito. Dal ”38 – fa notare Raffaelli – l’Accademia fu guidata da Federzoni «con sostanziali e ostentati criteri fascisti». È per questo che, a scanso di equivoci, Gadda tiene anche a rivendicare l’«arianità » propria e della sua famiglia, nonché le benemerenze militari ottenute nella guerra del ”15-18.
Un appunto riservato del prefetto di Firenze precisa che Gadda ha aderito di nuovo al Partito dal 1932, dopo un’interruzione di qualche anno. L’iscrizione sarebbe stata replicata fino al ”40 e probabilmente oltre. Grazie anche al patrocinio degli accademici Antonio Baldini, Francesco Pastonchi e Alfredo Schiaffini, Gadda ottiene nuovamente una sovvenzione di 1500 lire. La comunicazione gli arriva da Federzoni, il quale sottolinea il «carattere strettamente interno» della decisione. E in effetti – come osserva opportunamente Raffaelli – di questo come del precedente sostegno non si è mai saputo nulla per oltre sessant’anni.
Ma i rapporti di Gadda con l’Accademia non si fermano qui. Nel ”42, a Gadda viene elargito un Premio di ben 10 mila lire stabilito a sua «totale insaputa» (come avrebbe confessato in una lettera), ma dalla gestazione piuttosto tormentata. La sua candidatura viene proposta da Bacchelli e sostenuta da un nutrito e prestigioso gruppo di intellettuali, tra cui Baldini, Cecchi, Bontempelli e Schiaffini. Tra gli altri candidati c’è anche Vittorini, voluto da Bontempelli: si crea così una concorrenza imbarazzante, che potrebbe generare qualche dissidio all’interno della giuria. L’imbarazzo viene però risolto dallo stesso Vittorini. Il quale, venuto a conoscenza della cosa e «mosso da amicizia e stima dell’avversario », chiede a Bontempelli di «far in modo» che il premio fosse assegnato all’Ingegnere. Le 10 mila lire andranno infatti a Gadda, ma i commissari, per spegnere il possibile risentimento di Bontempelli, decidono di assegnare un riconoscimento anche a Vittorini, sia pure minore (5000 lire). L’affaire avrebbe provocato la contestazione, destinata a cadere nel vuoto, di un altro accademico, Angelo Gatti, assente nelle sedute deliberanti, dove, secondo lui, si sarebbero consumate «abituali scorrettezze procedurali ».
Incaricato dal suo grande estimatore Federzoni di preparare una relazione su Gadda (da discutersi nell’adunanza finale), Bacchelli avrebbe poi steso un encomio molto articolato e convinto, giudicato però troppo lungo e complesso per l’occasione e dunque sforbiciato da Baldini (il cui ruolo nella vittoria di Gadda, insieme a quello di Bacchelli, viene definito da Raffaelli «eminente»). Gadda sarà presente alla cerimonia di proclamazione, celebrata solennemente in Campidoglio il 21 aprile 1942 con Federzoni e il ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai. Seguirà una lettera, piena di slancio ossequioso, allo stesso presidente: «L’alta distinzione concessami e le parole di compiacimento onde Vostra Eccellenza ha voluto accompagnare la notifica de’ motivi, trovano nel mio animo viva rispondenza di gratitudine e costituiscono impegno a un’ulteriore disciplina di lavoro (…). Esprimo all’Eccellenza Vostra il mio desiderio di poterVi salutare personalmente, a Roma». L’incontro auspicato non avverrà e così si chiudono i rapporti dell’Ingegnere con l’Accademia. Ma la prosa tanto iperbolica, deferente e cerimoniosa delle lettere finisce per apparire, a chi conosce lo spirito barocco dell’Ingegnere impolitico, come un esercizio di stile esattamente speculare rispetto a quello furioso e sferzante di Eros e Priapo.