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 2009  giugno 09 Martedì calendario

A RIAD IL CINEMA NON E’ PIU’ PECCATO MA RIMANE «PER SOLI UOMINI»


Cade divieto trentennale. Fallito il boicottaggio degli integralisti

Terra di record importanti (i luoghi islamici più santi, le riserve di greggio più ricche), l’Arabia Saudita è anche Paese dai molti, asso­luti divieti. Nessuna donna, come tutti sanno, può ancora guidare. Nessuna chiesa o sinago­ga o tempio indù esistono sul suo suolo. Ma nemmeno è permessa l’esistenza di cinema. Ed è così considerato un evento «storico» la prima visione pubblica di un film nella capita­le Riad, con modalità quasi normali: un centro culturale trasformato in sala cinematografica, il corredo di bibite e popcorn, i biglietti acqui­stabili da tutti, o quasi.

Vietato, infatti, l’accesso a donne e ragazze sopra i 10 anni, per lo stesso motivo che da 30 anni ha fatto dell’andare al ci­nema unadelletanteatti­vità haràm (peccato) per i sauditi. Ovvero la commistione tra sessi, ancora oggi assoluta­mente proibita dall’Islam wahhabita in scuole, uffici, ristoranti, palestre, ovunque possa esse­re evidente (in casa è diverso) un contatto tra uomini e donne non parenti tra loro.

Grande attenzione, quindi, per la prima a Riad di Menahi, dal nome del protagonista, un ingenuo beduino saudita travolto dalla mo­dernità della vicina Dubai e dai misteriosi mec­canismi finanziari dell’emirato, impersonato dall’attore Fayz Al Malki, già popolarissimo per le sue serie tv. A parte l’esclusione delle donne, la première è stata preceduta da una pubblicità sottotono, dai permessi richiesti a ministeri e varie autorità, soprattutto dalla ta­cita benedizione di Re Abdullah, impegnato dalla sua nomina nel 2005 in una cauta ma co­stante opera di riforme. Anche perché autore dell’iniziativa è un membro della famiglia rea­le.

Il principe Al Walid Bin Talal, nipote del so­vrano, 13esimo uomo più ricco del pianeta, azionista di colossi bancari e immobiliari in mezzo mondo, già socio in Italia di Berlusco­ni, negli ultimi anni ha aggiunto alla sue pro­prietà il gruppo Rotana, primo dell’entertain­ment nei Paesi arabi, attivo nella musica, nelle tv, nell’editoria. E ora nel cinema: già nel 2006 il principe aveva prodotto la prima pellicola nel Regno, Keif Al Hal? (Come va?), «comme­dia alla saudita» ma girata a Dubai e distribui­ta ovunque tranne che in Arabia perché i tem­pi non erano maturi. I sauditi cinefili erano sta­ti costretti, per vederla, a trasferte negli Emira­ti o in Bahrain; la mobilitazione per mettere fi­ne al divieto dei cinema era iniziata. Anche su Facebook, diventato in Arabia (e non solo) il veicolo preferito da giovani e dissidenti per or­ganizzare campagne e proteste, spesso vitto­riose.

Con Menahi, finalmente, il tabù è stato in­franto: già prima che a Riad, il film era uscito a Gedda, a Taif e a Jazan, dove «25 mila uomini e 9 mila donne – annuncia Rotana – l’hanno visto». Senza problemi: le spettatrice erano in galleria e gli spettatori in platea, nessuno scan­dalo. Ma Riad è un’altra cosa: la capitale e la sua regione, il Nejd, sono la roccaforte dei tra­dizionalisti e degli integralisti, chiusi nell’orgo­glio di essere l’unica terra islamica mai conqui­stata da stranieri, isolati da tutti per secoli. E non sorprende che sia stato qui, e non nella costiera e rilassata Gedda, che sia avvenuta la contestazione di una quindicina di «mutawa». Giovani uomini ferventi e iperconservatori, ri­conoscibili da barbe, tuniche informi e nessu­na concessione al lusso, hanno tentato di bloc­care la visione del film, insultando gli attori e intimando agli spettatori di «non peccare». Nelle ore precedenti, il protagonista aveva rice­vuto minacce via telefono e sms: se oltre a reci­tare nel film ne avesse permessa la visione, di­cevano, gli sarebbe venuto un cancro e sareb­be stato maledetto da Allah.

«Questa gente non ha più una vera influen­za, non rappresenta l’Islam né la virtù, non conta niente», ha minimizzato Al Malki. E la potente organizzazione ufficiale dei «mu­tawa » ha preso in effetti le distanze: il tentato boicottaggio era un atto individuale, ha detto la Commissione per la protezione della virtù e la prevenzione del vizio. Anche questo un se­gnale importante che i tempi stanno cambian­do. La promessa fatta pochi mesi fa ai giovani del Golfo dal principe al Walid – «voglio cor­reggere un grave errore: voi avete il diritto di divertirvi, e di guardare i film» – sembra così vicina ad avverarsi. E non solo nel chiuso delle case, nei cine-club fatti tra amici come avvie­ne pure in Iran, o sul computer: in cinema ve­ri. Magari, perfino, aperti a donne e ragazze.