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 2009  giugno 09 Martedì calendario

NORD COREA, LAVORI FORZATI PER LE REPORTER


Condanna a dodici anni. Obama: «Sono profondamente preoccupato»

PECHINO – Laura Ling, 32 anni, ed Euna Lee, cittadine Usa, giornaliste tv, accusate di «crimine grave» e di attra­versamento illegale dei confi­ni di Stato: condannate cia­scuna a 12 anni di rieducazio­ne attraverso il lavoro. La Co­rea del Nord si è presa la sod­disfazione covata a lungo di emettere un doppio verdetto che fa rabbrividire l’America. La Corte suprema della Re­pubblica Democratica Popola­re ha abbattuto le speranze delle due reporter di Current Tv, la creatura on line dell’ex vicepresidente (e premio No­bel) Al Gore. Il 17 marzo era­no state catturate da guardie nordcoreane lungo il confine fluviale con la Cina. Secondo l’accusa, le due donne avreb­bero varcato la frontiera, mentre un’altra tesi è che una pattuglia di militari non si sa­rebbe lasciata sfuggire l’occa­sione di arrestare due «nemi­che ».

Con Laura, di origine cine­se, ed Euna, famiglia coreana, è condannata anche la diplo­mazia statunitense. Che si ri­trova immersa nella crisi acu­tissima di un’emergenza cro­nica. Hillary Clinton aveva ap­pena minacciato di riportare la Corea del Nord nella lista dei Paesi sponsor del terrori­smo, mentre il Pentagono va­lutava se dare corso ai con­trolli, e agli eventuali blocchi, di navi nordcoreane sospetta­te di trasportare tecnologia militare o nucleare. Con l’Onu che non ha ancora for­mulato una risposta al test atomico di due settimane fa, il regime di Kim Jong-il fa sa­pere che eventuali sanzioni verranno intese come una «dichiarazione di guerra». Il panorama è completato da in­tensi movimenti intorno alle basi missilistiche del Nord e a voci di nuovi lanci balistici. Laura ed Euna sono sposa­te, la seconda ha anche una bambina di 4 anni. Finora trattenute separatamente a Pyongyang, sono state tratta­te bene, come constatato dai diplomatici svedesi che rap­presentano gli interessi Usa. Il processo, però, si è svolto in 5 giorni senza testimoni esterni e non può avere appel­l o. In un primo tempo Washington e le famiglie han­no tenuto un profilo bassissimo per non scompaginare le possibilità di trattative discre­te: ora il caso appare un re­make, se possibile più compli­cato, di quello di Roxana Sa­beri, la giornalista di origine iraniana che Teheran ha scar­cerato il mese scorso. Ieri il presidente americano Barack Obama, tramite il suo porta­voce Bill Burton, si è detto «profondamente preoccupa­to per la condanna delle due giornaliste. Abbiamo attivato tutti i canali possibili – ha aggiunto Burton – per per­mettere la loro liberazione». Tra l’altro i campi di lavoro nordcoreani sono indicati, da Ong come Amnesty e Human Rights Watch, come abissi di privazioni e abusi. Gli analisti considerano l’arresto e la con­danna delle due come tasselli chiave nella strategia di pro­vocazioni e ricatti di Kim Jong-il. Una delle ipotesi è che Pyongyang, magari non subito, possa proporre la libe­razione delle donne sulla ba­se di considerazioni «umani­tarie » barattandole con aiuti «umanitari». Un rebus. Con un’appendice. Anche un su­dcoreano è detenuto al Nord dopo che nel presidio indu­striale nordcoreano di Kae­song (costruito e gestito da ditte del Sud) sarebbe stato sorpreso a incitare personale locale alla rivolta. Come Lau­ra ed Euna, pure lui è ora un’arma di Kim.