RAPPORTO EIRE, Milano Finanza 9/6/2009, 9 giugno 2009
Regione che vai, piano casa che trovi - Dopo la crisi, il Piano casa è il tema immobiliare su cui si è più dibattuto negli ultimi mesi
Regione che vai, piano casa che trovi - Dopo la crisi, il Piano casa è il tema immobiliare su cui si è più dibattuto negli ultimi mesi. Un tema però ancora difficile da valutare in tutte le sue implicazioni, tanto più che spetta poi alle Regioni procedere a declinarlo sul territorio, dopodiché i Comuni potranno ancora dire la loro. Ecco comunque qual è oggi lo stato dell’arte, come spiegato da Guido Inzaghi, avvocato e partner responsabile del dipartimento urbanistico dello studio legale Dla Piper, già professore di Diritto urbanistico e ambientale al Politecnico di Milano e all’Università di Bergamo, facoltà di ingegneria. Il piano casa, ossia le misure per rilanciare l’economia attraverso la riprese delle attività imprenditoriali edili - è una partita giocata a tre, Stato, regioni e comuni. Durante la prima mano le carte migliori le aveva lo Stato: il decreto legge (mai approvato dal Consiglio dei Ministri) concedeva, in deroga agli strumenti urbanistici, l’ampliamento del 20% delle volumetrie residenziali esistenti e la possibilità di demolire e ricostruire gli edifici con più di 20 anni ampliandoli fino al 30%. Alle regioni spettava solo precisare ed eventualmente limitare il godimento degli incentivi statali. Le regole del gioco erano però contrarie alla Costituzione, che nel governo del territorio riconosce alle regioni competenza legislativa concorrente con lo Stato, al quale spetta solo l’individuazione dei principi fondamentali della materia. La successiva intesa siglata il primo aprile nella Conferenza Unificata ha ricomposto gli equilibri: le regioni sono impegnate ad approvare entro il 31 giugno leggi ”preferibilmente” dirette: i) a regolamentare l’ampliamento sino al 20% degli edifici residenziali non eccedenti la volumetria di 1.000 metricubi, ii) a disciplinare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento fino al 35% degli edifici residenziali. Allo Stato spetta l’emanazione di un decreto legge per semplificare alcune procedure edilizie. Le carte migliori le hanno ora le regioni, ma anche i comuni hanno un ruolo rilevante, visto che – secondo le prime leggi regionali - possono decidere dove e come permettere l’utilizzo delle agevolazioni edilizie. Insomma, dal piano casa ai piani casa secondo incentivi distribuiti a macchia di leopardo, comune per comune, quartiere per quartiere. Lo stimolo al volano dell’economia italiana ne soffrirà, ma il principio costituzionale della sussidiarietà verticale (per cui le funzioni amministrative sono esercitate al livello il più possibile vicino al cittadino) non consentiva altra soluzione. A oggi, la sola Toscana si è dotata di una legge sul piano casa, Veneto, Lombardia, Umbria, Piemonte, Campania e Sicilia hanno predisposto delle bozze in attesa di approvazione definitiva, mentre le altre regioni stanno ultimando i rispettivi disegni di legge. Secondo i testi disponibili, le regioni sostanzialmente disciplinano gli incentivi all’ampliamento volumetrico (generalmente del 20%, il 25% è concesso solo in Sicilia) e la sostituzione edilizia (il cui ampliamento è generalmente del 30%, il 35% è concesso solo in Sicilia e, sotto condizione, in Umbria e Lombardia) nei termini previsti dall’intesa (imposizioni di elevati standard energetici e di sicurezza, preclusione degli incentivi nelle aree vincolate, nei centri storici salvo eccezioni, e negli immobili abusivi), ma si differenziano rispetto alla possibilità di agire sugli edifici a destinazione non residenziale e nella previsione di ulteriori agevolazioni al recupero del patrimonio edilizio. Al riguardo, è d’ostacolo all’auspicata ripresa economica che la Lombardia, la Toscana e la Campania non consentano la demolizione e ricostruzione con ampliamento degli edifici produttivi o ad uffici, ingiustificatamente limitando gli interventi di sostituzione edilizia che rappresentano invece l’occasione per le nostre città di riqualificare il patrimonio edilizio esistente in termini di sicurezza, efficienza energetica, qualità urbana, risparmio di territorio. Da sottolineare con favore è invece la previsione lombarda per il recupero delle parti non utilizzate degli edifici, che consente di sfruttare gli edifici rurali e i capannoni inghiottiti nelle città e rimasti inutilizzati, i piani interrati e, soprattutto, pare consentire la realizzazione di soppalchi e interpiani per utilizzare le altezze esuberanti di cui sono dotati molti edifici.