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 2009  giugno 09 Martedì calendario

ADDIO A NISTICO’ IL GIORNALISTA CHE SFIDO’ GIORNALI E POTERE


Vittorio Nisticò, indimenticabile direttore dell’Ora di Palermo, è morto ieri a Roma a casa sua. Aveva quasi novant’anni. Malato da tempo, è stato amorevolmente assistito dalla moglie, Iole Calapso, e confortato dagli amici e dai colleghi, che anche in questi ultimi tempi andavano a trovarlo nella casa di via Simeto.
Nei vent’anni della sua direzione siciliana, Nisticò, ribattezzato, con una felice intuizione di Roberto Ciuni, «uomo-testata», in nome della sua passione giornalistica, era stato il maestro di tre generazioni di cronisti, molti dei quali partiti a un certo punto da Palermo per approdare nelle redazioni dei più importanti quotidiani nazionali, dal Corriere della Sera a Repubblica alla Stampa, o all’estero come corrispondenti, e poi salire per i gradini della carriera fino a diventare, in alcuni casi, direttori.
La mafia, l’antimafia. La cronaca e la politica. Il ping-pong con una sinistra (L’Ora era di proprietà del Pci) da sempre restia a rinnovarsi. I grandi eventi. Nel «pacchetto» Nisticò, già a partire dagli anni 50, c’era tutto questo, e c’era la capacità, anticipatrice per quei tempi, di «spettacolarizzare» l’informazione sfidando il giornalismo paludato, le convenzioni e il potere. Fu così che, nell’isola, diventò subito un personaggio della vita pubblica: sua la prima, storica, inchiesta contro la mafia che gli costò una bomba in tipografia; sua la regia dell’«operazione Milazzo», che portò all’opposizione una Dc ultramaggioritaria e motivò l’intervento, nientemeno, della Cia; sua l’incredibile catena telefonica di solidarietà (una specie di Telethon anzitempo) tra gli emigrati siciliani all’estero e le loro famiglie terremotate nel Belice del ”68; sua la scoperta di Leonardo Sciascia e dei maggiori intellettuali siciliani, Consolo, Bufalino, Guttuso, Caruso, Sellerio, e il loro coinvolgimento nella fattura quotidiana del giornale a cui aveva dedicato la vita; suoi, purtroppo suoi, nel senso che mai aveva smesso di interrogarsi sulla loro fine, i tre cronisti martiri dell’ Ora, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Cosimo Gristina, ammazzati perché facevano il loro mestiere.
Qualche anno fa, ai tempi in cui dirigevo La Stampa, Vittorio era venuto a Torino per portarmi il suo libro, L’Ora dei ricordi (Sellerio). Era arrivato al momento in cui si fa la prima pagina, una sera in cui la giornata non era chiara e c’era qualche incertezza sull’apertura e sul titolo di taglio. Dal modo in cui seguiva il lavoro, si capiva che non era d’accordo sulla mia scelta. E quando uscimmo per cena, mi chiese: «Sei sicuro che sia quella l’apertura, e non il taglio?». Non ero affatto sicuro, ma, pur suo allievo, o forse proprio perché suo allievo, tenni fermo ciò che era stato deciso. L’indomani mattina presto, mentre prendevamo il caffè con la mazzetta dei quotidiani squadernata sul tavolo, Vittorio si divertiva a prendermi in giro perché gli altri giornali gli davano ragione.
Una volta all’anno Nisticò amava anche organizzare un pranzo, per cui una ventina di ex-L’Ora, di tutte le generazioni, confluivano a Roma da ogni parte d’Italia e del mondo per stare un po’ insieme. E quel che a dirsi potrebbe sembrare un’occasione malinconica, era invece un appuntamento imperdibile, un incontro assai vivace, come una specie di riunione redazionale, in cui naturalmente era Vittorio a dare il «la».
La cosa era talmente stravagante che giunse all’orecchio di un produttore cinematografico, Carlo Degli Esposti, che volle farla riprendere, per poi forse farne un film. Bisognava vedere Vittorio durante la prima intervista preparatoria, mentre parlava con la responsabile di produzione Gloria Giorgianni e con il regista Andrea Salvadore, per prendere confidenza con un mezzo che, si vedeva benissimo, lo attirava ma non gli apparteneva. Così quando tutto fu pronto, le luci accese, il «ciak» scattato, e le telecamere puntate sul tavolo, per fissare le espressioni dei volti di questa insolita compagnia di commensali, uno di noi levò il calice per il brindisi, fece un piccolo discorsetto, e alla fine: «Adesso che ci hai riuniti tutti qui - domandò sorridendo -, direttore, dicci cosa vuoi fare». Vittorio si guardò intorno e rispose: «Un giornale!».