Mirella Serri, La stampa 9/6/2009, 9 giugno 2009
LA PREVALENZA DEL CASCHETTO
Cara Mara... meglio il castigato caschetto che allontana lo stereotipo da star da calendario». No, non è stato il suo «hair stylist» di riferimento a indirizzare il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, al gran passo. A sostenerla verso il difficile guado a suo tempo fu il premier Silvio Berlusconi (non nuovo a ingerenze e incursioni nel guardaroba e nel look dei fedelissimi) che le consigliò un taglio netto. Di capelli, s’intende. Così la bellissima Mara, ex showgirl che nelle foto di cover appariva spesso un po’ scarmigliata e in mise leopardata, diede addio ai lunghi, medusei e intriganti capelli neri.
Lo scopo? Far dimenticare, una volta assurta agli scranni parlamentari e poi ministeriali, la valletta dei «Cervelloni» e del calendario di «Max», assai ammiccante e decisamente ammaliante anche per via di quella chioma allusiva e boccoluta. Optando, invece, per un taglio liscio e dritto, ritenuto più austero e «pudico», tipo istitutrice inglese. Obiettivo, dunque, conseguito per la Carfagna? Forse no, almeno stando alla storia del caschetto o bob - come lo chiamano nel mondo anglosassone - ideato in Francia da un parrucchiere polacco, Antoine de Paris.
Il mitico bob quest’anno compie i suoi primi cento anni. E li festeggia alla grande con un gran ritorno di fiamma. Infatti attualmente l’esercito delle celebrity che lo hanno adottato è numeroso e in crescita: va dalla chicchissima Anna Wintour, direttore di «Vogue America», antica aficionada fin dagli anni Novanta, alle nuove adepte, come le pop star Rihanna e Natalie Imbruglia, alla top model Agyness Deyn e poi ad Helen Mirren, Katie Holmes, Anne Hathaway, Eva Longoria, Gwyneth Paltrow e tante altre. Le ragioni dello strepitoso successo? Era il taglio delle femmes fatales, questa sforbiciata lasciva che scopre il collo nudo mentre la mobile frangetta rende cupi e impenetrabili gli occhi. Oggi è divenuto lo stile preferito di tante cattive ragazze del mondo dello spettacolo.
A far scuola è proprio quel primo, celebre, bombastico carré (così chiamato in Francia) di Lulù, interpretata dalla torbida Louise Brooks, diva degli anni del cinema muto. Il bruno ammasso tricologico di Lulù, piegato sul ventre sussultante dei suoi adoratori nel film «Il vaso di Pandora» di Wilhelm Pabst, dava vita, carne e sensualità alla vicenda di una ninfomane. Sempre con il peccaminoso carré, Louise si immedesimava in una prostituta che conquistava libidinosa i suoi uomini (nel «Diario di una donna perduta»). La Brooks era un modello che andava oltre il set o il teatro: si percepivano proprio come lei, seducenti e perverse, casalinghe e shampiste, segretarie e commesse, ovvero le migliaia di flapper girls che, labbra rosso vermiglio, sigaretta, bocchino e caschetto, impazzavano al ritmo del charleston.
Il bob non è mai stato simbolo casto e morigerato, neppure per le tante artiste che lo hanno adottato: come la pittrice polacca Tamara de Lempicka che aveva profondamente deluso il Vate, Gabriele D’Annunzio, sdegnando le sue attenzioni. Ma il gran rifiuto del poeta era un’eccezione: bisessuale, si concedeva numerose amanti e delle sue avventure saffiche rendeva complici i partner, come il barone Raoul Kuffner. Le amiche le ritraeva nei suoi quadri, anche loro con il corto carré.
Altrettanto ricco di implicazioni erotiche il taglio drastico impresso alla sua chioma, stirata come uno spaghetto, da Juliette Gréco, musa degli esistenzialisti. Nei bistrot di Saint-Germain-des-Près, in calzamaglia nera, alimentava il sogno di giochi proibiti intrecciati con i suoi capelli fini. Come del resto faceva con carré, pelliccia e sotto assolutamente niente - oppure solo calze e reggicalze in pizzo nero - la Valentina di Guido Crepax. «Mi è sempre piaciuto questo tipo di donna con i capelli corti, in anni in cui non era ancora così di moda...», confesserà il disegnatore. «Valentina venne fuori con i capelli alla Brooks perché erano il mio debole». La creatura ideata dal gran mago del fumetto, con il suo filiforme corpo nudo, diventerà la vera icona sexy grazie al taglio deciso della chioma. Che poi Mary Quant imporrà assieme alla minigonna: la sforbiciata netta sarà il connotato decisivo delle ragazze dei favolosi Sixties. In particolare delle più disinibite, di quelle che con Caterina Caselli - soprannominata Casco d’oro (sfrangiato dai Vergottini) - intonavano l’inno alla libertà di tradire: «Nessuno mi può giudicare nemmeno tu».
Il bob a tre punte (più lungo davanti e corto dietro) è stato poi anche l’emblema della tentazione sotto le lenzuola, potenziata dalla bianca polverina: l’attraente Uma Thurman in «Pulp Fiction» interpreta la parte di Mia, cocainomane ed erotomane, che, con le movenze agili del suo caschetto, cerca di sedurre l’incorruttibile Vincent Vega.
E per il futuro? Cosa si prevede per il taglio più malizioso e impertinente? La Paltrow ce lo proporrà in una nuova versione di «Iron Man». In che modo? Autoreggenti nere, bikini in cuoio, borchie e staffile: e il caschetto sarà sado-maso. Come dire: Mara, pensaci, altro che «castigato»!