Violetto Polignone, Libero 9/6/2009, 9 giugno 2009
L’ARTE DEI FALSI ’AUTORE
Niente da obiettare, a prima vista. Solo apprezzamento e ammirazione per quanto era sotto gli occhi di tutti. Impeccabile ogni dettaglio. Sembrava che ne fossero convinti anche esperti di lungo corso, presenti in massa. Condizione ancor più brillante - e rassicurante - dovuta pure al fatto che c’erano le telecamere dei più importanti tg. Come poter mettere in dubbio la qualità offerta nel contesto di un avvenimento culturale di alto livello? Tutto ok. Applausi. Complimenti che si sprecavano. Il massimo del consenso e dell’eccellenza creativa.
Purtroppo, subito dopo, una colossale, agghiacciante sorpresa. In quella che era una nota galleria d’arte di Milano si scoprì che si trattava di un vernissage di autentici falsi. Possibile? Una sfilza di mistificazioni in piena regola, senza precedenti, costituita da ben 1.300 quadri, tra cui un Manzù, un Mirò e un De Chirico. Tutti ben plagiati, riccamente incorniciati, per un valore che avrebbe fruttato una decina di milioni.
Ma la produzione delle opere contraffatte appartiene alla quotidianità. E gode di un’estensione sempre più larga. Tanto che nel 2008 c’è stato un vero boom di sequestri, con ben 2.328 dipinti, per un valore calcolato intorno ai 183 milioni di euro (contro gli 82 del 2007). Grandiosa retata durante la quale sono state denunciate 1.239 persone, di cui 43 arrestate (con aumento del 6 per cento rispetto al 2007). Un risultato ottenuto anche grazie a un aumento dei controlli a tappeto tra antiquari e negozi vari, fiere e mercati.
Merito tutto, manco a dirlo, di una squadra specializzata di altissimo livello, il Reparto Operativo Tutela Patrimomio Artistico e Culturale di Roma. Un’istituzione, attualmente diretta dal generale Giovanni Nistri, che il mondo ci invidia per un’operosità meravigliosa. Nata nel 1969, ha riscosso di anno in anno un crescente successo. Dal 1970 al 2008 ha scoperto la bellezza di 250.000 opere false. Senza contare il gran numero di quelle rubate o trafugate.
Fabbrica di imbrogli
Fenonemo, naturalmente, non solo italiano. Anche se il più consistente. Di falsari ce n’è un esercito, specie in Europa e America. E tutti più o meno abili. Anzi, tempo fa c’è stato in Francia un caso emblematico, più unico che raro. Riguarda il pittore Camillo Corot, ”saccheggiato” come mai senza risparmio. Incredibile, egli è autore di 300 dipinti di cui... 10mila venduti all’estero. Proprio così. Evento che sfiora la ”taumaturgia” come la moltiplicazione dei pani. Oltre 9.600 opere in più rispetto a quelle realizzate effettivamente da lui. Business colossale (sarebbe stato) per un artista che non fu mai ricco. Come si spiega questo cromatico ”prodigio”? Semplice. Gli è che dopo la morte di questo paesaggista dell’800, numerosi suoi estimatori, pratici di tavolozza, si son giustamente preoccupati di proseguire la sua arte. Sine die. O a tempo indeterminato. Incomparabile devozione, no? Ritenevano forse che 300 elaborati fossero pochini per consegnarlo ai posteri? Non si sa. Certo è che provvidero anche a firmare con il suo nome quelle creazioni (o ”ricreazioni”), dato che lui ormai non poteva più farlo. E la cosa commosse tutti. Soprattutto quei compratori che solo dopo - e troppo tardi - s’accorsero di questa stupenda operazione di proselitismo senza fine.
Ma non è il solo a ottenere questa - disinteressata - attenzione post mortem (e anche vita natural durante verso gli artisti più quotati). A nessuno di loro mancano simili manifestazioni di stima, affetto e fedeltà da parte di nutrite schiere di fan. I quali, com’è logico, ne combinano di tutti i colori.
Figuracce per tutti
Banali copiatori? Non proprio. Essi si limitano a fare e rifare daccapo, e possibilmente alla perfezione, i capolavori dei loro ”beniamini”. E poi - giacché si trovano col pennello in mano - vi appongono anche la di loro firma. E tutto è a posto. (Per loro). La faccenda si complica un tantino per quelli che sono interessati a un acquisto. «Arte o artificio?», tale è il loro assillo. Dilemma che turba direttori di musei e pinacoteche, censori osservatori e acquirenti. Il Bello c’è e si vede. Ma è vero o verosimile? Qui ti voglio. Persino espertoni - capelli bianchi e un cumulo di esperienza addosso - ci cascano come allocchi. E il traffico s’ingrossa sempre più. Di recente è stato scoperto un gigantesco import-export di opere ”fasulle” con succursali a New York, Los Angeles, Londra, Praga e Parigi. Una vera ”Internazionale dell’Imbroglio”.
Ma come si sviluppa questo commercio? Non è un fatto moderno. Succedeva anche secoli addietro. Questo perché, accanto ai grandi pittori, ci sono stati sempre grandi manipolatori. Forse così come si nasce genio si nasce anche plagiario. E, a parte i ”grossi calibri”, se con l’Arte genuina si può strappare una certa gloria e non molto denari, (salvo quando si diventi celebri), con l’arte del falso non si raggiungerà mai la gloria, ma si potran fare soldi a palate. Regola fissa che però ha clamorose eccezioni. Falsari che son diventati anche ”popolari”, ricalcando lavori altrui, ce ne sono a bizzeffe. Talora alcuni salgono agli onori della cronaca più di quanto non sia avvenuto per molti degli stessi autori ”defraudati”.
Storico il caso dell’olandese Van Meegeren, da cui è stato tratto un film. Dopo la Seconda guerra mondiale, era stato processato per collaborazionismo con i nazisti avendo ceduto alcuni capolavori nazionali a Goëring, uno dei maggiori tirapiedi di Hitler. E stava per guadagnarsi la pena capitale. Ma nel corso del dibattimento l’accusato si difese, dichiarando che quei quadri erano falsi. «Sono stati creati da me, perché io sono un pittore! Tanto è vero che sono anche miei, benché la paternità risulti di altri, i dipinti che si trovano al Museo di Rotterdam».
Nessuno credette alle affermazioni dell’imputato. Tutte le composizioni che Van Meegeren indicava come sue erano firmate da Vermeer, scomparso nel 1675. Una di esse, ”I discepoli di Emmaus”, pagata ben 150 milioni di marchi, era considerata dai critici una delle più importanti creazioni di questo artista. I giudici pensarono che l’incriminato imbastisse questa storiella per risparmiarsi una fucilata alla schiena. Legittimo desiderio. Ma proprio perché la cosa non gli piaceva troppo, non s’arrese. Nelle more del processo ebbe modo - in cella - di ridipingere ”I discepoli”, affidandosi solo alla sua prodigiosa memoria. Lavoro che riuscì talmente fedele che gli inquirenti non ebbero più dubbi sul talento del prigioniero. Non era soltanto un falsario (che s’era permesso il lusso di volpeggiare contro una volpe qual era il fido del Führer), ma era soprattutto un geniale pittore. Tanto che, facendo un lavoro ”oscuro” e dando meriti ad altri, aveva racimolato una sommetta pari a 2 miliardi di marchi. Cifra che tanti autori di vaglia non si sognerebbero neppure, in vita.
Scoppia la ”bomba”
Episodio pressoché analogo nella Germania Federale. Durante i restauri della chiesa di Santa Maria in Lubecca, semidistrutta dai bombardamenti, erano stati rinvenuti interessanti graffiti e pitture gotiche. I tedeschi gongolarono di gioia. «Er lebe hoch! Non tutti i conflitti vengono per nuocere!». Profondi studiosi convennero trattarsi di ”parti” di gran valore, tanto da indurre il ministero delle Poste a coniare una serie di francobolli commemorativi. Sul posto piombarono inviati speciali e specialissimi esperti, anche italiani. Ci scappò finanche un libro e diversi cortometraggi. Diffusi in mezzo mondo, essi inneggiavano al genius teutonico che, quando si mette di buzzo buono, ti va a partorire prodigi che non temono confronti...
Ma ecco che, nel 1961, subito dopo la riapertura al culto del tempio rimesso a nuovo (presente lo stesso Adenauer), scoppia una bomba. Non fu un attentato, ma qualcosa di peggio. Quei decantati capolavori erano usciti - ohibò! - dalle mani di un muratore. Donnerwetter! Costui era tale Lothar Malskat di Amburgo, il quale aveva inventato quei ”gioielli” su incarico dell’appaltatore dei restauri. Come? Avendo apprezzato le doti del suo dipendente, l’imprenditore gli ordinò tutta una serie di ”composizioni”, con l’intento di riscuotere, dopo, il riconoscimento della ”scoperta”. E incassare qualche milioncino dell’epoca. Ci riuscì appieno. E fu nominato persino ”cavaliere” o qualcosa del genere, mentre accontentò l’esecutore dell’opera con pochi spiccioli. Ma costui, poiché navigava in brutte acque, quando vide che il suo principale conseguì onori a non finire, si morse il fegato per l’invidia. Non digerì più la commedia. E svelò il malfatto alle autorità competenti che avevano dimostrato tutta la loro incompetenza...
Tratti di famiglia
Per testimoniare la veridicità delle sue asserzioni, fece notare come i tratti somatici di quei soggetti avessero tutti un segno in comune con i suoi figlioli, la moglie e la suocera. Schnell! Corpo di mille diavoli! Cascò il muro di Berlino addosso al Cancelliere... che cancellò tutte quelle benemerenze conferite a chi l’aveva turlupinato.
chiaro a questo punto che non tutti i contraffattori sono bravi come i due teutonici. E tanti altri. Più spesso son artigiani preparatissimi che difettano d’inventiva. E allora scopiazzano. Non mancano poi anche artisti falliti o incompresi che, non riuscendo a imporsi con la propria identità, si riducono a dipingere sotto il nome di celebri maestri. E riescono a vendere con guadagni che, diversamente, non avrebbero raggiunto. Piaga di sempre. Senza dire che tanti non riescono ad affermarsi non per incapacità, ma perché è incapace chi li giudica. O non sono buoni venditori del proprio talento.
Paradossale. Resta però un dubbio. Come si riesce a infinocchiare, non di rado, anche i più smaliziati periti? Trucchi vari. Il fatto che è che essi vengono scoperti (se e quando) solo dopo mesi se non anni di esposizione al pubblico, e dopo una pioggia di inebrianti recensioni e adulazioni. Scoperto poi l’inghippo, la critica finisce per essere criticata. Ma c’è di più. Se ”ingegnosi” sono i sistemi adottati per la sofisticazione (si cerca di adottare tipi di tele, colori e cornici in uso all’epoca in cui è vissuto il maestro da imitare), ben architettati sono i piani e i metodi di ”piazzamento” di una o più ”croste”. Gli spacciatori si mettono in bocca anche romanzesche vicende. Parlano, tanto per far qualche esempio, di un anziano parente che, alla sua morte, ha lasciato in eredità vere preziosità. Oppure se ne escono con la ”favola” di un ritrovamento in soffitta o in una casa di campagna abbandonata.
Aneddoti ce ne possono essere tanti. A danno dei gonzi. Che sono migliaia. Né mancano i cosiddetti ”esperti” che la sanno lunga. (Come è capitato con le ”sculture” di Modigliani, rinvenute in Toscana, abborracciate da tre studenti mattacchioni). A chi bisogna credere? Beh, solo i tecnici di professione sono spesso attendibili. Studiosi che prima di giungere a delle conclusioni, fanno passare molto tempo. Se necessario, anche decenni (come avviene per la Sacra Sindone custodita a Torino). Si tratta di chimici, fisici e radiologi specializzati che usano i raggi x e altri strumenti d’indagine. E procedono ad accurati esami di laboratorio che posson durare settimane. Attraverso la loro diagnosi, alla fine sono quasi sempre in grado di stabilire se una pittura è vecchia di cento anni o se è vecchia... solo di cento giorni. Grazie a soluzioni e varie ”alchimie”, accertano se oli e tempere sono dell’epoca cui si vuol far risalire la creazione, o se son prodotti attuali. Analizzano finanche la polvere che s’annida nelle screpolature o le ”rughe” di un dipinto, invisibili a occhio nudo.
Ciò nonostante, non sempre è possibile vincere la diabolica ingegnosità dei contraffattori. Anche perché i falsi talvolta son più perfetti - e non meno interessanti - degli originali. E chi li esegue ha, come si è accennato, l’unico torto di voler ciurlare nel manico, non certo quello di essere un imbrattatele. Improvvisatori in questo ramo non avrebbero successo. Oggi come ieri. Già, di siffatti personaggi abili quanto ”ignoti”, l’arte è stata infestata da sempre. Medio Evo e Rinascimento furono gremiti di pittori sconosciuti - e non per questo meno provetti - che assieme ai Grandi avevano appunto il vezzo o il vizio dello ”scimmiottare”. Ma c’è un aspetto curioso della questione. Geni di gran livello si resero a loro volta complici di questo bluff, appoggiando chi lo commetteva. Tanto per citare a caso, Pietro da Cortona, presunto iniziatore del Barocco (1569-1659) rimaneggiava gli abbozzi dei discepoli, avvicinandoli al suo stile per quanto possibile, al fine di promuoverne l’acquisto da parte dei suoi ammiratori. Rubens siglava dipinti di conoscenti per motivi analoghi. Altrettanto Bousset, acquafortista belga che, lasciando il suo "autografo" su creazioncelle non sue, fece la fortuna di colleghi sfortunati. E tanti polli abboccavano.
I ritratti di Leone X
per questo che circolano opere e operette reputate ”insigni”, proprio in virtù della connivenza dei ”colossi” cui si ispirano. Una di queste è il duplice ritratto di Leone X, di cui uno è di Raffaello e l’altro - si dice - di Andrea del Sarto, ma pure firmato dal Sanzio. Sospetti corrono inoltre su alcuni ”schizzi” di Michelangelo, che pare siano frutto degli allievi che si nascondevano dietro la sua barba. Curioso poi l’episodio di una cera esposta ancora una volta in un museo germanico. Già attribuita a Leonardo, era stata acquistata da un trafficante d’arte a Firenze, e autenticata come un «da Vinci puro» da un équipe di cervelloni. Ma finalmente il lestofante rivelò che si trattava di uno ”scherzo”. L’opera l’aveva plasmata lui. Per dimostrarlo, ruppe il manufatto e vi estrasse una copia recente, ma ben nascosta, del quotidiano ”Times”. Il bello è che l’impiccio gli aveva reso un centinaio di milioni; che più tardi scontò con alcuni mesi di galera.
Come si vede, dunque, proprio perché il falso è - se si vuole - una forma d’arte anch’essa (l’arte di gabbare), nei formidabili ”bagni” o ”sole”, per dirla nel gergo romano di via Margutta, cadono pesantemente anche gli intenditori. Questa è una delle ragioni per cui, in sostanza, non esistono mai termini precisi per definire e riconoscere un capolavoro. Spesso non lo è solo quello che porta una grande firma. Perché ciò che sembra un parto di genio può essere l’’aborto” di un manipolatore, così come ciò che appare un lavoricchio da dilettante può essere un capolavoro.