M. T. C., Corriere economia 8/6/2009, 8 giugno 2009
LA «FAME» CINESE ORA E’ UN RSCHIO
Pechino fa il pieno di greggio, ma anche di olio di palma. Squilibrando i prezzi
Il ministro del Tesoro americano Timothy Geithner è tornato a Washington dal suo viaggio a Pechino la settimana scorsa con parole di conforto per il suo capo Barack Obama: i cinesi capiscono la nostra politica economica, gli ha detto, si fidano della nostra responsabilità nel gestire il bilancio, continueranno quindi a usare il dollaro come moneta per gli scambi internazionali e a comprare titoli di Stato Usa. I dirigenti del regime comunista da parte loro hanno promesso di andare a Washington in luglio per il primo incontro del nuovo «Dialogo Strategico ed Economico Usa-Cina », un G2 destinato ad eclissare gli altri vertici fra superpotenze, ristretti (G7 e G8) o allargati che siano (G20). Fra due mesi Geithner e i suoi colleghi cinesi forse parleranno più concretamente delle misure da prendere insieme per stabilizzare i mercati finanziari e rilanciare l’economia globale. Sperano di avviare un nuovo circolo virtuoso di rapporti, in cui i cinesi consumino un po’ di più e gli americani risparmino un po’ di più, riducendo così lo squilibrio commerciale e finanziario fra i due Paesi. Ma intanto Pechino non sta con le mani in mano: continua ad accumulare materie prime e a discutere con i partner commerciali non americani se usare la propria moneta, lo yuan, per le transazioni.
Al centro delle preoccupazioni dei cinesi c’è il futuro della valuta Usa, come ha detto chiaramente il loro premier Wen Jiabao: se continua a svalutarsi, deprime il valore dei 767,9 miliardi di dollari che hanno investito in Treasury bond e, parallelamente, spinge all’insù le quotazioni delle materie prime, di cui l’economia cinese è affamata. Due buoni motivi per lanciarsi in un’ondata di acquisti di commodities, da accumulare come riserve per un uso futuro e per diversificare la gestione della ricchezza nazionale. Così le importazioni cinesi di rame sono aumentate a quasi 400 mila tonnellate in aprile e quelle di ferro a 57 tonnellate, un record mensile; mentre le riserve della banca centrale cinese in oro sono raddoppiate da meno di 500 tonnellate nel 2003 a 1.054 oggi.
Appena partito Geithner da Pechino, poi, vi è arrivato il primo ministro malese Najib Abduul Razak che, dopo essersi incontrato con Jiabao, ha dichiarato: «Stiamo considerando se usare le valute locali per facilitare il commercio fra i nostri due Paesi. Quello che ci preoccupa è che il deficit Usa venga finanziato stampando più banconote. Ed è proprio quello che il Tesoro americano sta facendo». La Cina, insieme al Giappone, è il maggior importatore di petrolio, gas naturale, olio di palma e gomma dalla Malesia e, se il progetto discusso fra i due premier andasse avanti, un domani potrebbe pagare queste materie prime in yuan. Un’ipotesi già avanzata dalla Cina anche con il Brasile, altro suo grande fornitore di commodities. stato lo stesso governatore della banca centrale di Pechino Zhou Xiaochuan a proporre la creazione di una nuova valuta globale per rimpiazzare il traballante dollaro: gli accordi bilaterali possono essere un primo passo in questo senso, anche se molti esperti avvertono che la strada non è semplice. « difficile trovare un’alternativa al dollaro con sufficiente liquidità e volumi – ha osservato parlando a un forum di Forbes Liz Ann Sonders, strategist per gli investimenti del broker fin anziario Charles Schwab ”. Lo yuan non è convertibile e i tassi d’interesse cinesi sono fissati dal governo».
Ma la tendenza è avviata e può essere molto dannosa per gli interessi geopolitici degli Stati Uniti, ha fatto notare Bill Singer, avvocato d’affari esperto di finanza per lo studio legale Stark & Stark: «Per portare avanti il suo programma di accumulo delle materie prime la Cina sembra pronta a stringere patti con il diavolo, cioè con i molti regimi anti-americani ricchi di risorse naturali, dalla Venezuela di Chavez alla Somalia dei signori della guerra. Un’involontaria conseguenza dell’alleanza con governi repressivi del Terzo Mondo è che alla fine l’Ugly American (il brutto/sgradevole americano), simbolo dello sfruttamento del Terzo Mondo, venga rimpiazzato dall’Ugly Chinese». Ma Pechino, come si è visto per l’anniversario della strage di Piazza Tienanmen, non si preoccupa molto della sua immagine internazionale e pensa solo a non far deragliare la propria economia emergente.