Giancarlo Dotto, La Stampa 08/06/2009, 8 giugno 2009
«MEDIASET COME LOURDES»
La Mini ultimo tipo, la cappotta aperta, la notte tiepida, uno schianto di ragazza dentro un abito vintage Anni Cinquanta, Chiambretti al volante, la chioma al vento. E’ corso Re Umberto a Torino, ma potrebbe essere un boulevard qualunque a Los Angeles. Si va dai «Fratelli La Cozza», uno dei tre ristoranti di Pierino. Chiambretti ha fame. E la dinamite, come sempre, nel sedere. Divora la pizza Margherita in centoventi secondi netti. Reduce da un exploit esilarante nella sede dell’Unione Industriali, un’ora e mezzo di monologo, ovazione alla fine. Tutto liscio se non fosse che scoppia il caso Picchio. Chi è Picchio? «Picchio è la mia cartina di tornasole, un termometro fondamentale per la mia stabilità emotiva. Sta a lì a testimoniarmi che la vita reale non è quella dello share e della vanità televisiva».
Chiambretti aveva promesso all’amico una dedica. Si è dimenticato di farla e ora Picchio si è dato alla macchia, offeso di brutto. Chiambretti non si dà pace. Lo cerca, Picchio non risponde. «L’ho conosciuto nei primi Anni Novanta, Picchio, che faceva l’operaio e continuo a conoscerlo oggi che fa il cassintegrato. Con quella faccia da Carlo Delle Piane si offrì di accompagnarmi per una serata a Brescia. Dopo cento metri si addormentò al volante. Da lì nacque un sodalizio eterno. Non escludo che andremo a vivere insieme un giorno».
Aspettando Picchio, c’è al suo fianco questa niente male ragazza. Sarà che finalmente crolla lo scapolo irriducibile?
«Macché. Non posso. Lei è una ragazza intelligente, ha una simpatia per me, ma io sono appena uscito da una storia di sette anni, non ce la faccio a ricominciare. E non so mentire».
Tante storie importanti, tante belle donne attorno, poi qualcosa ogni volta si guasta.
«Sono stato un pasticcione nella vita sentimentale. Il lavoro è sempre stata la mia prima passione e alla fine questo pesa. Nonostante tutto, mi considero fortunato. Non essendo un bellone, i miei grandi amori non sono mai dipesi dal fatto che mi chiamassi Chiambretti. Il mio biografo personale, Arturo Violone, sostiene che da sposo diventerei meno selvaggio».
A 52 anni si è definitivamente quello che si è.
«Mi sembra d’aver vissuto almeno tre vite. So di averli avuti 25 anni ma non li ricordo. Il mio calendario mentale lo abbino ai programmi televisivi, possibilmente di successo».
Rimosso tutto il resto?
«Tutta la mia infanzia. Soffrivo di complessi enormi, il problema di farmi accettare. E poi una famiglia non ortodossa. Vivo con pienezza da quando ho cominciato ad esprimermi, intorno ai trent’anni. Quando mi sono autorizzato a dirmi: sì, sono Piero Chiambretti».
Una famiglia non ortodossa?
«Una mamma esemplare, Felicita, sognatrice e genialoide. Mio padre non mi ha riconosciuto. E’ sparito. Non so chi sia e non voglio saperlo. Felicita mi ha fatto da madre e da padre. Mi ha insegnato anche a farmi la barba con la schiuma della ceretta».
Mammone e scapolo, un italiano da manuale.
«Ho preso quasi tutto da mia madre, taglia inclusa. Sempre moribonda, mille dolori, ma basta metterla a tavola o su un pullman e diventa leader, improvvisa show clamorosi».
Dove sta ora?
«Alle Terme di Riccione con una sua vecchia amica, di ritorno da Medjugorie, dove è andata a pregare la Madonna assieme a Paolo Brosio e a Sinisa Mihajlovic».
Sinisa Mihajlovic?
«Sì, c’era anche lui. Licenziato in tronco dal Bologna è andato a pregare che precipitasse in B. Non è stato esaudito».
A proposito di B...
«Ci abbiamo messo tre anni, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo una squadra di brocchi, giustiziata dagli errori arbitrali. I cento anni del Bologna non si potevano festeggiare in B. Penso a Novellino. Sembra Scaramacai. La partita non è ancora cominciata e lui è già lì che sbraccia e manda a fanculo i suoi giocatori. E poi Urbano Cairo. Sembra Napoleone. Sta sempre sul Waterloo. Una sfortuna nera con i presidenti. E’ mancato solo Al Capone. Cairo almeno ci ha salvato dalla bancarotta».
Chiambretti Night. Una scommessa vinta?
«Alla fine Piersilvio non sapeva come trattenere il suo entusiasmo. So per certo di essere sempre stato un suo pallino. Ho conosciuto anche i fratelli e le sorelle, tutti ragazzi fin troppo educati, gentili. Potrei dire migliori del padre. Che, in futuro, vedo perfetto più come baby sitter che come presidente della Repubblica. Franceschini, nell’occasione, ha fatto un autogol clamoroso».
Da Telekabul a Mediaset, pupillo di Guglielmi e poi di Piersilvio, passando per Tronchetti Provera. Il cerchio si chiude.
«Andare a Cologno Monzese è stato come andare a Lourdes. Un viaggio della speranza. Un miraggio. Mi cercarono anche cinque anni fa, ma mancavano le condizioni. Non avevo la determinazione di oggi e nemmeno un’idea così forte».
Non è stato semplice all’inizio.
«Più che altro, la preoccupazione di essere rigettato. Entravo in un sistema televisivo che non conoscevo. Come si sarebbero comportati? Mi avrebbero difeso o cancellato alle prime difficoltà? Alla fine ha funzionato, io ho portato a casa i risultati e loro hanno mantenuto le promesse. Nessuno dei due ha barato».
Non tutti hanno apprezzato.
«Aldo Grasso ha scritto tredici pezzi contro di noi. Un’enormità. Ogni volta che scriveva, il giorno dopo il programma andava alla grande. Me l’aveva detto Antonio Ricci. Quell’uomo porta bene».
Con Ricci vi accomuna anche la scarsa ammirazione per Fazio.
«Chiambrettismo e fazismo sono due mondi opposti e inconciliabili. Non capisco e non capirò mai la sua televisione. Detesto il buonismo, anche quando è quello delle suore».
Di Victoria Cabello però il critico ha tessuto elogi.
«Questo spiega il suo due per cento. Grasso è fazioso. Stronca noi e salva il diretto concorrente. Prendendo il mio posto a La7, ”Victor Victoria” ha tentato una strada perigliosa, fingendo risse come quella con Ambra Angiolini per costruire il caso. Non ho visto il video, ma sono certo che è finto».
Con la moglie di Milingo e la Paradiso siete andati giù pesanti.
«Le incursioni manesche della Sung e i tuffi della Paradiso non erano costruiti a tavolino. Chiamando certi ospiti, i guai me li cerco, lo so, ma in questo caso la realtà ha superato l’immaginazione.
Ospiti strapagati, si dice.
«Per Milingo hanno chiesto diecimila euro, il nostro top. Mi dissero che monsignore avrebbe ballato su base di Michael Jackson e che ci avrebbe consegnato un video di messe nere. Alla fine, ci hanno sfilato 25 mila euro. Un’enormità per un programma di mezzanotte e un anziano signore un po’ suonato. Lo spettacolo lo ha fatto la moglie con le sue incursioni. Posso dire che la Sung ci è costata quanto Kakà».
L’intervista a Mourinho. La svolta?
«La consacrazione. Lo Special One ospite del programma dedicato ai numeri uno. Anche un bel colpo giornalistico».
E’ sembrato arroccato lo Special One, non proprio a suo agio.
«Non era convinto di essere al posto giusto nel momento giusto. Ci temevamo l’un l’altro. Io ero preparato su di lui, lui su di me, cosa che ho ammirato molto».
Strapagato anche lui, si sussurra.
«Macché, è venuto gratis. Hanno preso soldi Capello, Gattuso e Briatore, ma li hanno girati in beneficenza. Ultimamente davamo a quasi tutti duemila euro, l’equivalente di un rimborso spese».
Nel suo caso, l’amore di Piersilvio ma anche un pacco di bigliettoni.
«Se le cifre te le danno, vuol dire che tornano. Non conosco nessuno, a parte Moratti, che regali soldi alla gente».
Squadra che vince non cambia?
«Fuori di qui sarò anche la più grande testa di c.. del mondo, ma per questo gruppo sono un riferimento apprezzato. Non faccio la star, mi vedono come uno che protegge la mia e la loro creatività. A volte durissimo, ma sempre per la causa comune».
Un circo il suo che tutto include e nulla esclude?
«La cronaca nera. Il criminale sdoganato dai media da me non avrebbe il lasciapassare. I miei personaggi sono tutti positivi. Possono essere antipatici, mai negativi».
Non al suo massimo Diego Abatantuono.
«Diego è un pigro, un uomo di una correttezza e di una gentilezza rare, ma con un passo diverso dal nostro. Forse anche un po’ smarrito per via della mia determinazione feroce. Non so se ci sarà ancora. Sostituirlo non sarà comunque facile».
Danah Matthews, la rivelazione.
«La perderemo. Sposerà il suo cameriere italo-francese, conosciuto al Moulin Rouge e se lo porterà dalla mamma in Australia, tra i canguri e le praterie. Stiamo cercando la sua sostituta, tra Las Vegas e Parigi, una figura che si stacchi dal velinismo imperante».
Chi fa ridere, di solito non ride.
«Almeno un minuto al giorno penso alla morte. Frequento l’aldilà. Woody Allen ne ha fatto uno stile cinematografico, io delle mie nevrosi non parlo mai. Ho girato la boa e voglio lasciare qualcosa che non sia un dvd. In termini di solidarietà ma anche di talenti giovani da coltivare per la televisione del futuro».
Valdostano di nascita, torinese nel midollo.
«Vivo nello stesso palazzo dove è stato ucciso Casalegno, a tre metri da dove hanno falciato Gigi Meroni, non distante da dove si è buttato nella tromba delle scale Primo Levi. Amo questa città. Percepisco l’invidia di Genova e di Milano, dopo le Olimpiadi del 2006».
La televisione è un paese per vecchi?
«In televisione è una corsa verso il peggio. Lo dicono i focus di Italia Uno: ho acchiappato in controtendenza un pubblico di quindicenni che non sapevano chi fossi. Ragazzini che mi seguono alle due di notte, con picchi del quaranta per cento».