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 2009  giugno 08 Lunedì calendario

"Sarò la first lady iraniana". Una donna sfida Ahmadinejad Indossano tutti qualcosa di verde, i ragazzi e le ragazze che aspettano, nell´aula magna dell´Università Azad, l´arrivo di colei che sperano di poter chiamare presto la prima First lady della Repubblica islamica

"Sarò la first lady iraniana". Una donna sfida Ahmadinejad Indossano tutti qualcosa di verde, i ragazzi e le ragazze che aspettano, nell´aula magna dell´Università Azad, l´arrivo di colei che sperano di poter chiamare presto la prima First lady della Repubblica islamica. Verde è il colore di Mir Hossein Moussavi, suo marito, il candidato che secondo i sondaggi potrebbe sconfiggere un osso duro come Ahmadinejad, se non tra una settimana, almeno al ballottaggio. Moussavi è un moderato, anche se era stato un hardliner ai tempi della rivoluzione, un architetto che si è tenuto fuori dalla politica per vent´anni dopo aver servito come primo ministro (una carica successivamente abolita) durante la "guerra imposta" contro l´Iraq, quando l´esercito di Saddam attaccò la Repubblica islamica con il beneplacito dell´Occidente e contro ogni previsione fu ricacciato oltre lo Shatt al arab. Insieme ai sostenitori di Moussavi l´aspetta nell´aula un accanito gruppetto di tifosi di Ahmadinejad che non vogliono farla parlare. Lei non perde il controllo. «Senza libertà di parola il pensiero non sarà mai libero», dice. Ribatte con ironia e puntiglio alle loro accuse. Una laurea insufficiente? Ragazzi, dove eravate mentre io ho studiato per dieci anni arte all´Università di Teheran, ho scritto dieci libri, ho preso una laurea in scienze politiche. Da giovane non era religiosa? Voi conoscete la parola del Corano: there is no god but god? (non c´è altro dio all´infuori di Dio): ecco, io sono passata da no god a God. Sessantaquattro anni, scultrice, rettore dell´Università femminile Al Zahra fino a quando Ahmedinejad, non appena diventato presidente, la mandò in pensione insieme a tutti quei professori che non condividevano le sue idee, Zahra Rahnavard è una novità assoluta in questa campagna elettorale. Non era mai successo nella Repubblica islamica che la moglie di un candidato avesse una parte di primo piano. Lei e il marito arrivano ai comizi mano nella mano, modello della coppia presidenziale Obama, ma a chi le chiede se vuole essere come la First lady Usa, Zahra replica: «Non sono come Michelle, ma rispetto tutte le donne, specie quelle molto attive nella vita civile». E´ lei che presenta il marito ed entusiasma il pubblico dicendo che perché il paese possa cambiare, le donne devono arrivare ai posti di comando. Ahmadinejad deve temerla, se nel faccia a faccia televisivo con Moussavi l´ha accusata di avere una laurea breve invece di un dottorato. Ma il suo gesto non è piaciuto nemmeno ai suoi sostenitori, mentre tra le donne si è creata un´ondata di simpatia per Moussavi, che aveva guardato stupito: vedi che uomo per bene, si sono rallegrate le signore di Teheran, dopo tanti anni la vede sempre giovane, l´ama ancora… Se Moussavi è uomo pacato, lei al contrario è sicura di sé. Ha appena girato una parte del secondo spot che suo marito presenterà prima delle elezioni, un colloquio con Fatemeh Motamed Aria, la più amata e la più grande tra le attrici iraniane. Questo spot, dice, sottolineerà di più le visioni riformatrici di Moussavi e meno i suoi meriti di quando era stato primo ministro negli anni di guerra. Alla produzione hanno partecipato i più importanti registi iraniani (settecento artisti hanno invitato a votare per Moussavi). L´onore della nostra patria ha molto sofferto, lei ha detto agli studenti. Che cosa potrà fare un nuovo presidente per ripristinarlo? «Prima di tutto voglio ribadire che la Rivoluzione aveva dato dignità al nostro paese, dignità, libertà e indipendenza. Ma alcuni dei princìpi della rivoluzione sono di fatto cambiati sotto questo governo e questo è un pericolo per il paese. Invece di puntare sullo sviluppo economico si distribuiscono elemosine, il governo galleggia sull´elargizione delle patate (negli ultimi mesi Ahmadinejad ha distribuito, con l´ovvio intento di comprare voti, tonnellate di patate gratis agli agricoltori, oltre a circa 70 euro mensili a famiglia). La libertà è ai minimi livelli dopo la rivoluzione e l´oppressione sociale, specie sulle donne, è altissima. C´è di fatto uno Stato di polizia». Come cambiare? «Mio marito si propone di togliere la censura, avere giornali liberi è la prima necessità, di aiutare le donne, cercando di renderle più libere nell´ambito s´intende della Costituzione, di stimolare l´economia, diminuire la disoccupazione. Gli studenti esclusi dalle università per ragioni politiche devono ritornare a studiare. Oggi gli iraniani sono insultati in tutto il mondo, mentre qui viviamo di slogan paranoici e di posti preparati a tavola per l´arrivo del Messia. Non abbiamo diritto solo all´energia nucleare ma anche al pane, al benessere, alla libertà. Ci vuole un presidente che sia apprezzato nel mondo, che ci renda partecipi della politica internazionale». Prima della rivoluzione, quando stava in America, lei pubblicò un libro sull´hejab, sostenendo che era l´abito più corretto per la donna musulmana.. «Ma poi rifiutai di farlo pubblicare dopo che l´hejab diventò in Iran obbligatorio. Io sono passata dal non portare l´hejab a portarlo, ma per me è stata una scelta, non qualcosa di imposto.