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 2009  giugno 06 Sabato calendario

Un’enorme bambola nuda in scena e l’Opera avverte: «Solo per adulti» A Roma è già polemica sullo spettacolo della Fura dels Baus Fura dels Baus - Le Grand Macabre ROMA – Quei pazzi geniali della Fura dels Baus, alle prese con la paura della morte, ne hanno combinata un’altra

Un’enorme bambola nuda in scena e l’Opera avverte: «Solo per adulti» A Roma è già polemica sullo spettacolo della Fura dels Baus Fura dels Baus - Le Grand Macabre ROMA – Quei pazzi geniali della Fura dels Baus, alle prese con la paura della morte, ne hanno combinata un’altra. Il 18 all’Opera di Roma la compagnia spagnola mette in scena, diretta da Zoltàn Peskó,Le Grand Macabredi Ligeti. La loro forza visionaria e iconoclasta aderisce come un guanto a un’opera surreale, scritta alla fine degli anni ’70, quando il melodramma era l’esempio massimo del ciarpame conservatorista. Dal Financial Times a Le Monde, la prima a Bruxelles fu un trionfo. In futuro girerà mezzo mondo, Londra e Barcellona, Amsterdam e Torino, e perfino l’Australia. A Roma, in un teatro mortificato dal commissariamento che ha prodotto tagli artistici sulle novità (da Rihm al debutto dello scrittore McEwan come librettista), gli uomini dell’interregno restauratore pensano di lavarsene le mani, o di prendere le distanze, allegando ai manifesti dello spettacolo questa scritta: «Si consiglia la visione a un pubblico adulto». «Il sesso della donna? D’accordo, è molto realistico. Ma è di una bambola!», dice il regista Alex Ollé. Alex, che condivide la regia con Valentina Carrasco, non si dà pace, «lo so che c’è questa strana aria all’interno del teatro», apre il computer e mostra delle foto: «Guarda, ti sembra uno scandalo? Non siete voi, a Roma, che avete tante statue nude antiche nelle piazze? Lo avete inventato voi il barocco. Mi fa tristezza pensare che in una città di 2000 anni possa essere sconveniente una bambola nuda». La scena è occupata dalla scultura di una enorme donna in versione nature. qui l’azione, dentro un grande corpo umano che si sente assediato da una malattia immaginaria. Il male è lo stesso cataclisma che minaccia (ipoteticamente) l’esistenza dei personaggi; si nascondono, entrano e escono da questa creatura umana che si lascia abitare e manipolare, la testa gira, le gambe si aprono, gli occhi roteano. A un certo punto l’ingresso è la vagina. «Ma è un attimo», dice Alex. Lo mostra al computer, sembra una tenda che si apre. «A Bruxelles ho visto tra il pubblico bambini di dieci anni coi genitori e si sono divertiti perché c’è molta ironia». Anzi, dicono che sono stati pudichi: nel libretto, Nakrotzar, che raffigura la morte, fa ripetutamente l’amore con Mescalina: «E noi li nascondiamo, senti che cantano la scena dell’amore ma non si vede nulla, sarebbe uno scandalo troppo stupido, e non c’è niente di più bello che immaginare. Se a Roma si verrà senza pregiudizi, sono sicuro che piacerà». Il vero pericolo forse è che lo spettacolo venga inghiottito dalle mille idee che guizzano come lapilli di un falò. Il corpo nudo nello spettacolo è iper-realistico: «Non è un archetipo, la chiamiamo Claudia come se fosse un’amica. La scultura è modellata sulle fattezze di una nostra vera amica, una cantante lirica». così cicciona? «Nel riprodurla abbiamo un po’ esagerato ». Quando la vera Claudia appare nelle proiezioni, quella falsa ha le stesse espressioni. A ogni personaggio corrisponde un organo della scultura, «che è come una casa, o una città. La morte è il sistema nervoso, rappresenta l’idea della fine del mondo creata dalla paura; la polizia è il sistema linfatico, la difesa del corpo, di colore verde come le mimetiche dei militari». Il Grand Macabre ci annuncia l’Apocalisse. Un asteroide sta per abbattersi su Bruegelandia e la gente in prossimità della fine del mondo come una mandria impazzita si lascia andare a ogni tipo di pazzia. Ma l’asteroide cambierà direzione e la morte, per la prima volta, viene sconfitta. Può morire la morte?, chiediamo ad Alex con un po’ di provocazione. Ma a un maestro della provocazione l’osservazione piace e se ne appropria sul taccuino di regia: «La morte si ubriaca e si dimentica il suo mestiere, fino all’ultimo si mantiene l’ambiguità: ha le sembianze di un ciarlatano o fa sul serio? ». Cosa ci vuol dire quest’opera? «Avete temuto la morte e non è successo nulla. Godetevi la vita finché si può. Un messaggio niente male in tempi di crisi». Di Ligeti anche il libretto, adattò La balade du Grand Macabre (1929) di Michel de Ghelderode, «scrittore dell’assurdo», belga come le tele di Brueghel a cui si fa riferimento. E i motivi dei suoi quadri, riaggiornati, ritornano nelle proiezioni, che forgiano lo stile della Fura dels Baus. L’altro leit motiv è (benché suoni paradossale) l’aderenza al testo: « una musica da guardare, più che da ascoltare». Lo stesso Ligeti, il grande anticonformista del XX secolo, in un afflato di moderazione cambiò i nomi dei protagonisti, Spermando e Clitoria, in Amando e Amanda. L’ouverture è un concerto di clacson d’automobili. La musica rimanda a ritmi di strada con echi di Mozart, Donizetti e Stravinskij. «Molto rivisitati», tiene a chiarire Alex. Ligeti paragonò i suoi lavori a una macchia di marmellata sul tappeto. L’impronta che rimane era per lui la Storia della musica. Valerio Cappelli 06 giugno 2009