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 2009  giugno 06 Sabato calendario

SUOR MARIE, UGOLA DIVINA



«Era una chiesa bizanti­na. Scura, piena di can­dele. Un’atmosfera misterio­sa, come si conviene di Setti­mana Santa. D’un tratto quel­le voci... Un canto che pareva il paradiso. Avevo sette anni, non avevo mai ascoltato nien­te di più bello. Strinsi la mano di mia madre, mi unii al coro. E mi trovai di colpo anch’io tra gli angeli. Decisi che avrei votato la mia voce a Dio».

Colpita da doppia vocazio­ne in simultanea, la piccola Marie Keyrouz, libanese di fe­de cristiano-maronita, vide in quel momento tutta la sua vi­ta: avrebbe cantato e sarebbe diventata suora.

«Un doppio modo per ren­der lode al Signore. Cantando si prega due volte», assicura al telefono da Parigi, dove vi­ve in un convento, Soeur Ma­rie Keyrouz, religiosa delle Ba­siliensi, musicologa diploma­ta alla Sorbona, fondatrice e presidente dell’Istituto Inter­nazionale di Canto Sacro della capitale francese. Ma soprat­tutto interprete magnifica di un repertorio ecumenico, che unisce in un sincretismo ispi­rato alle origini del Cristianesi­mo, musica sacra d’Occidente e canti maroniti, bizantini, si­riaci, ambrosiani...

Suor Marie li ha imparati uno a uno, in un crescendo estatico di passione e gioia. «Il canto è un ponte tra Dio e gli uomini. Ma cantare a Dio sen­za emozionarsi non ha sen­so », assicura. Prima da sola, poi con il suo gruppo, l’En­semble de la Paix, composto da musicisti e coristi di religio­ni e nazionalità diverse.

«Dio è musica e tutta la mu­sica è sacra – sostiene ”. Non solo quella religiosa. Mo­zart e tanti altri compositori fanno parte di quell’apogeo di bellezza divina. Ma il canto coinvolge la voce, lo strumen­to primo dell’uomo. Il canto è la Parola perfetta, uno stato di grazia che ancora oggi, dopo tanti anni, affronto ogni volta con i palpiti di una debuttan­te. Proprio come allora, a sette anni».

Chissà cosa disse sua ma­dre. «Amava moltissimo can­tare anche lei. Capì subito la mia passione. Anche se in cuor suo forse sperava per sua figlia un futuro più tradiziona­le, un marito, dei figli... Oggi però è molto contenta di quel che sono».

Certo, fosse entrata in una chiesa cattolica di adesso, do­ve imbattersi in musiche de­gne di questo nome è sempre più raro, forse la storia sareb­be andata diversamente. « una delle cose che più stupi­scono anche me. Non riesco a capire come mai la Chiesa, de­tentrice di un patrimonio mu­sicale magnifico, abbia ripie­gato su quelle scialbe melodie così in voga oggi nelle messe. Pensano che la musica «faci­le » sia più accessibile, coinvol­ga di più. Invece è vero pro­prio il contrario. La banalità non emoziona nessuno. La bel­lezza sì. Anche se difficile, il bello vince sempre. Non biso­gna averne mai paura».

Musica e religione, un bino­mio difficile. Sia il Cristianesi­mo sia l’Islam hanno spesso guardato al canto e alla melo­dia con sospetto. Talora li han­no proibiti. «Alcuni Padri del­la Chiesa li consideravano strumento per lottare contro l’eresia, altri strumento del de­monio, fonte di corruzione e lascivia. E così è ancora oggi in alcuni ambienti fondamen­talisti musulmani... La musica fa paura perché ha un gran po­tere: smuove gli animi, coin­volge in afflati comuni. Guari­sce le anime e persino i cor­pi... ». Crede nel suo potere tau­maturgico? «Certo. Ho segui­to il lavoro di alcuni medici impegnati nella musicotera­pia. Gli effetti fisici del canto sono sorprendenti. Il palato è la prima cattedrale, fa risona­re tutto il corpo. E la forza del­la verticalità spinge a percor­rerlo. Cristo era un guaritore, Cristo cantava».